Dal dottor Davide Coroniti, Pianificatore territoriale esperto del settore dei beni culturali, particolarmente attento alle problematiche espositive, riceviamo e pubblichiamo un contributo sul rapporto fra la fruizione della cultura e lo sviluppo metropolitano.
(E.C.)
I contenitori culturali nella crescita del territorio e delle comunità locali
di Davide Coroniti
Nel mese della prevista riapertura del Museo Nazionale di Reggio Calabria dopo i lavori di ristrutturazione, e nell’anno in cui molti musei, spazi espositivi, luoghi d’incontro culturale a volte riscoperti, dislocati in tutta la regione e non solo, offrono mostre ed eventi, per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, volte a valorizzare la storia e la memoria segnata dal Gen. Giuseppe Garibaldi, è opportuno considerare le potenzialità ed il ruolo che queste strutture o contenitori culturali possono offrire in termini di crescita.
E senza “crescita” non è ipotizzabile la nascita di Reggio Calabria Città Metropolitana, altrimenti destinato ad essere l’ennesimo ente sovra comunale di dubbia utilità.
Il rinnovato Palazzo Piacentini sede del Museo Nazionale della Magna Grecia, fiore all’occhiello della città e della regione,, sarà presto pronto ad ospitare i nuovi flussi di visitatori. I dati parlano chiaro, nel censimento del 2008 sui Monumenti e Aree Archeologiche Statali, si contano 130.000 visitatori su un totale regionale di 278.000: Il solo Museo Nazionale di Reggio Calabria riesce a coprire quasi il 50% dei flussi di tutta la Calabria, e questo numero, in considerazione della rivisitazione architettonico-funzionale dello stesso contenitore, è considerevolmente destinato ad aumentare. Nuove funzioni per un surplus qualitativo di servizio più attento alle necessità del visitatore sono state introdotte nel ripensamento di questo sistema museale: tra i primi l’area ristoro posta sul terrazzo, che oltre a gratificare la vista sul “chilometro più bello d’Italia”, offre scorci di visuale, attraverso la pavimentazione a vetrata, sul cortile interno ripensato come spazio/piazza di socializzazione dall’artista Alfredo Pirri, il tutto garantendo un armonioso dialogo tra edilizia storica e stile moderno; non mancherà inoltre l’inclusione di un Bookshop per la vendita dei testi scientifici e dei gadget/immagine (e molto si dovrà investire sul marketing pubblicitario internazionale, anche attraverso la creazione di un logo/immagine riconoscibile e di un portale web che offra accessibilità globale, come è stato già fatto per la visita virtuale dell’esposizione temporanea/laboratorio di restauro dei due Bronzi a Palazzo Campanella, sede del Consiglio regionale); più spazi saranno destinati ai laboratori didattici nella ricerca dinamica di moderni strumenti di apprendimento destinati ai diversi target di visitatori.
È ormai noto a tutti quanto la crisi economica, abbia comportato tagli nel settore della Cultura in generale, andando ad incidere pesantemente sulla premessa di sviluppo socio-economico e sulla crescita qualitativa dei territori, ed in particolare di quelli geo-culturalmente svantaggiati, e tra questi in primis la Calabria.
Sebbene quello dei Beni Culturali sia in Italia un settore che grava in particolar modo sulle tasche dei contribuenti – ma non è detto che non debba produrre ricchezza: è una questione di scelte strategiche e culturali, purché la priorità alla tutela ed alla salvaguardia sia garantita –, e malgrado l’autonomia economica dei servizi erogati nell’ambito dei Beni Culturali sia più difficile da raggiungersi là dove persiste il sottosviluppo – ma il turismo, aumentando il ventaglio dei fruitori culturali, può in questi casi svolgere la propria parte nell’avviare processi economici “virtuosi” –, la cultura resta il principale fattore di implementazione alla crescita di un territorio.
Le amministrazioni centrali e locali, i professionisti, gli organi di governo e gestione dei servizi culturali– ma anche i privati –, dovrebbero interrogarsi quindi sul ruolo delle strutture espositive nell’età contemporanea; sulle potenzialità di aiuto che i contenitori possono dare alle comunità per affrontare la crisi e la globalizzazione; su quali debbano essere le relazioni tra questi, il territorio e le comunità locali.
La struttura di Villa Genoese Zerbi, nata con la cooperazione della biennale d’architettura di Venezia nel 2004, è una prova inequivocabile di laboratorio progettuale autonomo e dinamico, basato su risorse umane e professionali locali, a volte su base volontaria, capaci di attingere soprattutto alle disponibilità presenti sul territorio. Della sua capacità creativa ed economicamente sostenibile ne è un esempio originale la mostra “Segni della città che c’era”, nata da un input politico di valorizzazione di pietre e carte testimoniali di un patrimonio culturale sommerso, abbandonato nei depositi e negli uffici archivistici. che attraverso un processo progettuale strutturato dal basso (e non come al solito legato ad un pacchetto preconfezionato e venduto all’amministrazione) di cooperazione tra enti, professionisti e imprese locali: sta suscitando un enorme successo di visite (per numero paragonabile alla mostra “Egitto mai visto” dello scorso anno) a dimostrazione della portata operativa e di dialogo di una struttura cresciuta nel corso degli anni in un contesto popolare, aimè poco disponibile agli approfondimenti culturali legati all’arte.
La ricerca di un nuovo modello di gestione sistemica, nell’ottica della città metropolitana, che si occupi della missione dei contenitori culturali, della sostenibilità della spesa attraverso una visione partecipata di più attori, il tutto supportato da strumenti quali sussidiarietà, cooperazione e volontariato, è inevitabile oggi giorno nei processi di governance d’area vasta.
Il territorio della Reggio metropolitana, come la maggior parte d’Italia, può essere considerato come un “museo diffuso”, tanti i beni culturali, le strutture e le aree museali da statali a non statali dislocate su tutta l’area vasta, a differenza del panorama europeo tendenzialmente centralizzato, incentrato su poli che ambiscono a costituire i contenitori unici, storici e certificati del patrimonio nazionale. Le tematiche ed i settori approfonditi sono molteplici, per citarne alcuni: le testimonianze archeologiche del museo Nazionale della Magna Grecia e di Locri Epizefiri; le opere artistiche diocesane presenti nelle numerose chiese e non solo; le pinacoteche e le gipsoteche di molti centri a valorizzazione spesso di artisti locali minori; i numerosi musei legati all’artigianato, ai costumi e all’archeologia industriale locale; quelli che raccontano i grandi personaggi storici come il nuovo museo virtuale garibaldino di Delianuova.
Occorre avere il coraggio di innovare profondamente. Costruire sistemi di relazione favorendo il dialogo con i cittadini, col volontariato, con le scuole, le associazioni e nello stesso tempo favorire progetti condivisi, che coinvolgano più strutture allo scopo di dare visibilità e valorizzare il patrimonio culturale del territorio, attraverso la promozione congiunta e la progettazione di attività didattiche, di animazione e di eventi, promosse con l’ausilio dei nuovi strumenti di diffusione informatica come la costruzione di un portale web congiunto per la rete museale metropolitana, che possa essere di riferimento per tutte le attività culturali promosse.
Gli attrattori di flussi legati alla cultura quali teatri, sale auditorium, archivi, sale cinematografiche, pinacoteche, musei, spazi destinati ad esposizioni temporanee, aree archeologiche, ma anche attività quali spettacoli all’aperto, attività circensi, sagre e manifestazioni in generale, se correttamente pianificati e gestiti sotto il profilo della fruibilità e accessibilità, anche in funzione dei vari segmenti di domanda, possono rappresentare un sostanziale sostegno all’imprenditoria locale e quindi alla crescita economica e non soltanto a quella puramente culturale.
Purtroppo in Italia coesiste una visione generalizzata, di cattiva gestione del bene culturale, considerato da sempre pubblico (quasi una res nullius, di tutti e di nessuno) e, pertanto legato alle sempre più esigue risorse statali e ai dettami calati dall’alto indifferentemente dalla specificità del luogo. Ma la normativa che regola il settore, il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, se da una parte assegna allo Stato, tramite il Mibac, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la tutela dei beni culturali, dall’altro lascia aperto uno spiraglio, pur con le necessarie garanzie, all’intervento privato nella valorizzazione degli stessi.
L’utilizzo di modelli europei di valorizzazione del patrimonio culturale secondo criteri economici, da immaginare affidati ad una gestione più manageriale, più razionale, maggiormente attenta ai costi, e in condizione di soddisfare meglio l’utenza finale, può rappresentare un sostenibile metodo di risoluzione, sia pur parziale, dei problemi che affliggono il settore. In questa chiave le istituzioni culturali non possono svolgere più esclusivamente una funzione educativa e formativa, ma devono quindi cominciare a considerare la propria mission anche in relazione a fattori economici e finanziari, proiettandosi verso il conseguimento di obiettivi molteplici quali la promozione, il contesto e la specificità territoriale, il marketing, l’attrazione turistica, ecc., tenendo sempre e comunque in debita considerazione due fattori importanti: il target e il territorio.
E, nel nostro caso, la complessità di una città metropolitana.