Reggio Calabria. Il professor Guido Leone commenta la difficile situazione finanziaria in cui versano enti ed associazioni del Terzo Settore, nei cui confronti il Comune è debitore per una cifra che ormai supera i due milioni di euro.
Il coordinamento del Terzo Settore continua a denunciare il credito che vanta nei confronti del Comune di Reggio Calabria. La stima attuale è di circa due milioni di euro. Il problema è stato sollevato fin dall’inizio dell’anno e da allora questa cifra è lievitata fino a raddoppiare. E’ stato di recente pubblicato il bilancio preventivo del Comune. La situazione di incertezza per le politiche sociali, che caratterizza il momento attuale, non sembra trovare risposte al problema del sostegno finanziario certo, né vie d’uscita dalla condizione di debito; forse il bilancio va letto con maggior attenzione e ovviamente deve essere seguito da adeguati processi di programmazione operativa, ma al momento la sensazione è questa. Durante il mese di aprile, in piena campagna elettorale,avevo già affrontato il tema delle politiche sociali, soprattutto nell’accezione di politiche giovanili e della famiglia. E’ stato il mio territorio d’azione durante la mia esperienza nel mondo della scuola, esperienza che ha fatto maturare solide convinzioni e concezioni sul come dovrebbero operare le istituzioni per avere ruoli positivi nella costruzione di benessere delle comunità. Avevo, ad esempio, affermato che le politiche sociali sono essenzialmente politiche per la famiglia, perché essa è il luogo privilegiato delle relazioni, ciò vale sia come riferimento alle famiglie “normali” sia a quelle “fragili” sia a chi non può giovarsi della risorsa familiare nelle difficoltà della propria esistenza. Nella mia esperienza scolastica l’alleanza con la famiglia, dove è stata possibile, ha costituito una forma efficace di corresponsabilità e ha consentito di realizzare scuole migliori, luoghi di vita più salutari. Ma dicevo, grazie all’informazione fatta dal coordinamento del Terzo Settore, la situazione di Reggio è all’attenzione fin dall’inizio dell’anno e i due problemi di fondo sono sempre uguali. Gli enti che operano per conto del Comune in favore di persone e famiglie in difficoltà sono alla fame e alla sete; è sostanzialmente un problema di mantenimento di promesse fatte: i servizi sono stati comunque erogati e le famiglie e i cittadini hanno ricevuto alcune risposte. Allora invocavo la necessità di seguire strade formali e trasparenti per riconoscere ciò che è legittimo, ovvero il lavoro svolto da tanti operatori; affermavo che c’era anche un problema di buona amministrazione (nella mia storia nel mondo della scuola ho dovuto affrontare numerosi problemi di amministrazione e li so riconoscere). Affermavo persino che era un problema serio e di dimensioni consistenti, ma poteva essere o soltanto un problema transitorio (se si fossero cercate le adeguate vie per risolverlo), oppure può diventare l’inizio della fine se non si fosse affrontato con tutta la forza possibile il problema del futuro del sistema dei servizi. Affermavo anche che il focalizzarsi solo sul problema del debito verso le associazioni avrebbe potuto cancellare del tutto il futuro dei servizi stessi, cioè il secondo dei problemi che vedo persistere se non peggiorare. Sostenevo allora che era indiscutibile la riduzione di risorse, ma per contro mettevo in evidenza come fosse necessario pensare ad un sistema dei servizi che tenesse ben presenti le priorità delle nostre comunità senza rinunciare ad alcuni principi di fondo, come quello di partire dagli ultimi, di mettere la famiglia al centro delle politiche sociali, di concertare per scegliere al meglio, di garantire a lungo termine la risposta a problemi prioritari. Avevo anche lanciato uno slogan, del quale non mi assumo la paternità perché è della Caritas Italiana, ovvero che bisogna “spendere meno per spendere meglio”, dichiarando che ogni singolo euro speso dovesse avere un ritorno nel possibile miglioramento delle condizioni dei cittadini che ai nostri servizi si rivolgono, perché questo è degno di una città che vuole sentirsi pienamente solidale con tutti i suoi cittadini. Questo è e continua ad essere un problema politico ma prima di tutto un problema di concezione della politica. Una città che vuole chiamarsi solidale e che vuole onorare la sua tradizione di città all’avanguardia per il proprio sistema di solidarietà può sottovalutare il fatto che si tratta di programmare risorse che attengono a percentuali ridotte del proprio bilancio ma che a fronte dell’investimento fatto generano sollievo, sostegno, migliori condizioni, per molte migliaia di persone, forse oltre il dieci per cento della popolazione complessiva? L’oblio della ragione genera mostri, diceva il filosofo, forse non siamo ancora all’oblio della ragione, ma il rischio della cancellazione della memoria di cosa voglia dire Politiche Sociali mi sembra crescere sempre più, fino a contagiare la programmazione economica. Allora, scrivo oggi queste cose per non dimenticare, per essere fedele alle mie analisi compiute qualche mese fa, e non per farmi chiamare Cassandra o mettere casa a Delfi. Scrivo perché voglio conservare la memoria e la consapevolezza, perché non voglio rinunciare a credere che questa città abbia in sé capacità e risorse per essere luogo per restare e impegnarsi a costruire e mantenere relazioni comunitarie di solidarietà e benessere sociale. Scrivo perché non voglio rinunciare a credere che nel più vasto mondo dell’impegno intellettuale non ci sia spazio per temi di questa portata e rilevanza. Scrivo perché ho la sensazione che il selettivo mondo del Terzo Settore sia stato lasciato da solo a rivendicare il pane, mentre il problema più generale è quello dell’idea di città e di politica per la città. Scrivo per lanciare un appello all’adesione ampia delle “persone di buona volontà” a pensarsi cittadini attivi e affezionati a Reggio. Scrivo perché mi auguro che in questi giorni di festività la sensazione molto più forte di essere parte della comunità possa parlare ad alta voce alle coscienze dei reggini e far maturare la consapevolezza dei rischi di un futuro in cui la tradizione luminosa delle politiche sociali non sia più neppure un ricordo lontano.