Ci sono tanti piccoli capolavori individuali nell’insieme d’opera collettivo di un Napoli leggendario. Ci sono partite che, per il solo fatto di essere state giocate, cambiano il punto di messa a fuoco di un attimo lunghissimo, ridicolizzando il passato, aprendo scenari nuovi, tracciando frontiere fin lì inimmaginabili. Metafisica condensata in novanta minuti. Il fischio dell’arbitro, il sudario perfetto su una partita che muore lì, ma che lascia ai posteri le chiavi della storia. Non sappiamo ancora se il Napoli sarà tra i sedici eletti che infiammeranno le grandi platee, ma sappiamo che qualcosa si è mosso, che l’Italia non è lontana dagli altri Paesi, che serviva una notte azzurra per risollevare il calcio… azzurro. L’Italia delle notti tristi sembra acqua passata e di questo dobbiamo esserne consapevoli tutti. L’alba di un giorno nuovo, diverso, si è alzata su Fuorigrotta quando ancora le luci dei fari si allungavano sull’asfalto bagnato di una città muta, corretta agli angoli delle strade dal silenzio assordante dei bisbigli. Nei bar si parlava di Napoli, nelle case pure. E poi un punto luminoso che splendeva su Fuorigrotta. Come nell’isotropia espansionistica dell’universo. L’esplosione del San Paolo è il Big Bang del calcio italiano, il punto leggendario da cui far ripartire tutto. Per questo martedì sera non ha vinto solo Napoli. Ha vinto l’Italia spaghettara, il “the italians” pizza ed entusiasmo che vale più dei 910 milioni dello sceicco Mansur.
Dalla apocalittica disfatta sudafricana è passato tanto tempo. Sembrava che del nostro calcio fossero rimaste le macerie, un passato a quattro stelle che rifutava di confrontarsi con i cambiamenti degli altri. Un calcio troppo aggrappato alle tradizioni, a giocatori anziani, che sbatteva la porta in faccia ai giovani talenti. L’età media più alta d’Europa con 27-44 anni (solo Cipro ci superava, ma quello è altro calcio), con club che si affidavano sempre meno a talenti cresciuti nel proprio settore giovanile (l’Italia arrivava dopo Francia, Spagna, Germania e Inghilterra). Abbiamo vissuto mesi di sconfitte, di speranze (l’Udinese) che si sono eclissate al cospetto di club con maggiore esperienza e maggior capitale. L’Italia stava tutta nel minimo ricambio dell’Inter, nei mal di pancia di Ibra, nel “tu vo’ fa’ l’americano” della Roma. Le altre “civiltà calcistiche”, mentre noi stavamo a guardare su YouTube i video delle grandi imprese del passato, allestivano un modo nuovo di interpretare il calcio. In Spagna, il Barcellona (la prima squadra al mondo per numero di tesserati cresciuto nel settore giovanile, solo Arsenal e Montpellier sfiorano quelle cifre), faceva vedere un tiki-taka ipnotico; il Real, il più “inglese” dei club iberici, metteva su l’organico che, a livello di nomi, resta il più forte della storia; anche in Francia sono arrivati i soldi e così il Paris Saint Germain ha messo in piedi una compagine che, in una sola estate, è diventata migliore di tutti quelli italiani; in Inghilterra, poi, si è assistito alla nascita della realtà Manchester City, con le certezze dello United e il brio dell’Arsenal; anche in Germania restavano le conferme del Bayern, così come la nascita di piccoli sogni di squadre destinate a entrare nel calcio che conta, proprio a discapito delle nostre quarte forze.
Una storia lunga due anni che, forse, potrà essere rivisitata con la partita di martedì sera. Quando Cavani mette in rete con il piattone, non è Napoli a gridare: è l’Italia tutta, manco giocasse la Nazionale. Come d’incanto, i 57.575 spettatori diventano milioni, tutti uniti da Nord a Sud. Così come quando De Sanctis leva dalla rete il controbalzo di Balotelli: nello stomaco abbiamo sentito, per un attimo, i refoli della durezza dell’illusione. E invece niente. Napoli (l’Italia) può sorridere. Una vittoria con il cuore, con la civiltà (il popolo napoletano ha dato una risposta grande così a tutti i tabloid inglesi), con il gioco. Il Manchester City, ieri sera, si è piegato. Perché dietro quella maglia azzurra c’era un Paese intero, che calcisticamente si è rispecchiato in toto in quegli undici eroi. De Sanctis che incassa tiri come le critiche al nostro calcio: ma para praticamente tutto; Maggio che al novantesimo trova la forza per battere tutta la fascia, spinto dalle urla di un popolo che non voleva smettere di crederci; Gargano, che stringe i denti come le italiane che non sapevano più vincere in Champions; Hamsik, che con un tocco apre scenari tattici impossibili, proprio come la partita di ieri proiettata in chiave verticale; Lavezzi, che slalomeggia tra gli inglesi; Cavani, che segna con la freddezza dei migliori attaccanti. Una lezione di calcio mandata a Spagna, Francia, Germania e Inghilterra. E una lezione di grinta mandata a noi stessi, agli italiani. Serviva una notte così per capire che l’oro azzurro dell’entusiasmo vale più dell’oro nero degli sceicchi.
Francesco Mansueto