Reggio Calabria. Ogni anno quando la bella stagione volge al termine del proprio ciclo evolutivo, si iniziano a trarre come di consuetudine, considerazioni e analisi su tutto quanto ha caratterizzato il periodo della sua durata.
Un’estate 2014 anomala dal punto di vista meteorologico che si appresta dunque a lasciarci tra le solite polemiche sollevate a riguardo della qualità delle acque marine, fatti di cronaca drammatici, momenti di svago ma anche eventi manifestatisi nel “silenzioso” mondo sottomarino che verranno sicuramente ricordati per l’interesse scientifico in esso contenuto.
Fra questi, due avvenimenti che in un certo qual modo hanno “colpito” più da vicino l’attenzione dei numerosi frequentatori del nostro mare.
Il crescente e preoccupante numero del vermocane, (fireworm) o verme di fuoco, che ha turbato non di poco in diversi punti delle spiagge della Calabria le giornate dei vacanzieri, ma anche la scoperta della nascita di numerosi bivalvi, Pinna Nobilis, nelle acque prospicienti il Lido Comunale della città di Reggio Calabria.
Su entrambe le manifestazioni si è espressa la biologa Maria Vittoria Marra che ha fornito delle autorevoli spiegazioni in materia.
Esattamente come sta avvenendo nel resto della costa reggina – esordisce la Marra – anche sui fondali del Lido Zerbi, a pochi metri di profondità, è stato possibile osservare già dall’inizio della stagione balneare l’incremento a dir poco significativo della popolazione di vermocani (Hermodice carunculata). Tali anellidi sono tipici di acque tropicali e sono conosciuti come organismi saprofaghi, in quanto si nutrono principalmente di resti di altri animali morti in decomposizione, ma possono anche essere voraci predatori. In altri mari del mondo, infatti, i vermocani si alimentano attivamente su coralli ingoiando le estremità ramificate di questi animali nella loro faringe rigonfiata e rimuovendo, o più precisamente “leccando via” (non essendo provvisti di mascelle per mordere) il tessuto del corallo dal suo esoscheletro. In Mediterraneo il vermocane era originariamente noto solo nel bacino orientale, ma si è poi rapidamente diffuso lungo tutte le cose meridionali del nostro paese e, negli ultimissimi anni, la sua presenza ha iniziato ad essere registrata anche sulle coste settentrionali italiane. Si ipotizza che l’aumento di temperatura delle acque del Mediterraneo constatato negli ultimi anni ha particolarmente favorito la diffusione di questo organismo nel bacino centrale dello stesso mare anche a scapito di molte altre specie bentoniche, dal momento che la “scarsità” di carcasse disponibili per alimentare una tale quantità di vermocani ha spinto quest’ultimi a diventare feroci predatori di spugne, cnidari, molluschi, altri anellidi, crostacei, echinodermi e persino pesci.
Hermodice carunculata, comunque, non è l’unico esempio di organismo che quest’anno ha registrato un notevole incremento nelle acque del Lido comunale di Reggio Calabria. Sui fondali racchiusi dalle boe di delimitazione, infatti, i subacquei dell’A.S.D. “Ausonia Sub” (le spettacolari immagini a corredo dell’articolo sono state fornite dall’istruttore subacqueo Matteo Cama) hanno fatto la scoperta certamente piacevole dell’apparizione di un vero e proprio “campo” di giovani Pinna nobilis. Nota comunemente come nacchera, P. nobilis rappresenta il mollusco bivalve più grande del Mediterraneo ed è specie tutelata dalla Convenzione CITES e inserita nella lista rossa della Direttiva 92/43/CEE dell’Unione Europea in quanto a rischio di estinzione; in passato, è stata infatti largamente prelevata per la tessitura del suo bisso o dai collezionisti per via della bellissima conchiglia (le cui valve di forma triangolare possono superare la lunghezza di un metro), ma più recentemente, purtroppo, l’intensificarsi della pesca a strascico ha rappresentato un pesante deterrente alla sua diffusione. Nell’ambiente riparato creato dalle boe di demarcazione devono quindi essersi create le condizioni ideali per la proliferazione di tale mollusco dall’accrescimento piuttosto rapido che vive generalmente in prossimità delle praterie della fanerogama marina Posidonia oceanica, ma non è raro da incontrare anche su fondali sabbioso-fangosi nudi, come quelli del Lido Zerbi. C’è da dire, inoltre, che la P. nobilis, al pari del già citato cavalluccio marino, costituisce un indicatore di buona qualità delle acque testimoniando che quindi il Lido di Reggio sembra conservare caratteri di naturalità nonostante l’elevata pressione antropica che lo contraddistingue.
Al momento, sul perché le due specie considerate abbiano registrato un tale incremento, si possono solo fare delle ipotesi, ma i fattori che entrano in gioco possono essere tanti. Come sempre quando si parla di ecosistemi naturali, infatti, prima di avanzare spiegazioni occorrerebbe raccogliere una serie di dati sui fattori biotici ed abiotici che caratterizzano l’ambiente in esame e certamente ormai da tempo il Lido Comunale di Reggio Calabria sta dimostrando alla sua città la necessità di prestarvi più attenzione tanto per tutelare le specie protette che paiono prediligerlo, quanto per considerarlo una sorta di “laboratorio di biologia marina” utile per comprendere i meccanismi che determinano la biodiversità di questa come di altre aree dello Stretto.
Guglielmo Rizzica
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