di Monica Bolignano
Reggio Calabria. Scontro di civiltà. Parco Pentimele domenica scorsa ore 15: gli attivisti volontari animalisti di “Reggio Veg” sono già arrivati e si posizionano determinati di fronte al cancello d’ingresso della proprietà privata che ospita il Circo, i cartelli illustrativi sono indossati in bella mostra; in principio sono solo una manciata, poco alla volta le fila dei dimostranti si infittiscono.
La presenza degli animalisti non viene gradita dagli operatori circensi che provvedono a chiamare le forze dell’ordine… eppure la libertà di manifestazione del pensiero è – ancora – un diritto costituzionalmente garantito ed in alcun modo la presenza degli attivisti intralcia le attività circensi o l’ingresso del pubblico al cancello.
Quando arrivano le Volanti i poliziotti possono – infatti – solo constatare la regolarità dell’autorizzazione rilasciata, a tempo debito, per la manifestazione pacifica.
Gli animalisti – noncuranti – dell’atmosfera decisamente scortese, ostile ed a tratti caratterizzata da sterili provocazioni, continuano a intonare slogan e a distribuire dépliant informativi al pubblico che mano a mano comincia ad arrivare per lo spettacolo delle 16.
Tanti bimbi si fermano incuriositi… ed altrettanti genitori li tirano via frettolosamente senza un chiarimento.
Anche in questa occasione nessuno si è soffermato a chiedere una spiegazione e ad approfondire le motivazioni sottese al presidio, in tanti hanno addirittura schivato bruscamente gli animalisti intenti a distribuire il materiale informativo.
Eppure è di dominio pubblico – e pacificamente riconosciuto – che la vita vera all’interno di un circo è ben lontana da quella percepita dall’immaginario collettivo che richiama romanticamente l’idea di una simpatica e bizzarra carovana di allegri girovaghi che si impegnano per realizzare uno spettacolo frutto di particolari abilità ed antica passione: ogni circo è oramai – e senza ombra di dubbio – un’impresa commerciale il cui fine unico è produrre utili ed il miglior modo per attirare l’attenzione è – chiaramente – pubblicizzare la presenza di animali selvatici come attrattiva principale. Peccato che, negli ultimi anni, l’interesse nei confronti degli spettacoli circensi ha avuto un significativo calo, ciò sarà dovuto principalmente alla necessità di rinnovare ed ammodernare le abilità degli uomini e non certamente nell’incrementare il massiccio e coercitivo utilizzo di inconsapevoli animali.
Il magico mondo dei… finanziamenti statali.
Ma perché – alle soglie del XXI secolo, quando i gruppi in difesa dei diritti degli animali si espandono a macchia d’olio – mantenere ancora in vita uno spettacolo che si regge quasi esclusivamente sulla schiavitù, sulla tortura e violenza gratuita sugli animali?
Una risposta plausibile potrebbe essere data dal concetto di finanziamenti statali.
Forse, infatti, non tutti sanno che dietro quel bel tendone colorato, ai pagliacci e agli animali costretti a viaggiare chiusi nei container di città in città, c’è una bella fetta di rendita ottenuta da finanziamenti pubblici derivati dalla quota del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo).
Il FUS è un fondo preposto a fornire i contributi economici a varie aree del mondo dello spettacolo: una di queste aree è appunto «Circhi e Spettacolo viaggiante». Il Fondo è gestito da un apposito settore del MiBACt tramite una Commissione Consultiva all’interno della quale il mondo circense è sempre ben rappresentato.
Nel 2003 la Camera dei Deputati ha approvato un testo che costituisce il primo riferimento legislativo certo in tema di circhi emesso dopo uno sconsiderato numero di circolari pubblicate. All’interno di questa normativa vengono di fatto confermate le impostazioni generali dei finanziamenti pubblici nel settore dello spettacolo circense così come individuati nel lontano 1995.
I circhi non sono nuovi all’acceso ai contributi pubblici: il contributo è infatti legato in modo particolare all’art. 1 della Legge n. 337/1968 che stabilisce che lo Stato Italiano riconosce la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante e pertanto sostiene il consolidamento e lo sviluppo del settore.
Per quanto riguarda le voci contributive viene corrisposto – ad esempio – 50 mila euro, per i circhi di piccole dimensioni (100/200 posti), 130 mila euro, per i circhi di media dimensione (200/600) posti fino a 250 mila euro per i circhi di grande dimensione (oltre 600 posti). Ma il circo viene anche sostenuto per le iniziative promozionali, assistenziali ed educative… per fare un esempio concreto l’Accademia di Arte Circense di Verona – che è una struttura privata – nel 2011 ha ottenuto 475.000 euro e nel 2012 485.000 euro e bisogna ovviamente sottolineare che dall’anno della sua fondazione, il 1988, ha diplomato ben 90 allievi! In dettaglio, ad esempio, sommando tutti i capitoli, il circo di Moira Orfei, ha ottenuto:
– nel 2000 360 milioni di lire (a cui sommano 222 milioni di lire ottenuti per il capitolo attrezzature),
– nel 2001 185.601 milioni di lire,
– nel 2002 222.722 mila euro,
– nel 2003 240 mila euro,
– nel 2006 300 mila euro, una cifra che ha addirittura superato i massimali previsti per quell’anno.
Per il 2015 il MiBACt ha stanziato per le attività circensi e di spettacolo viaggiante ben 4.468.510,00 euro (Decreto Ministeriale del 7 maggio 2015).
Un tendone… che appare e scompare.
Tra l‘altro c’è una vera e propria difficoltà a stabilire quali e quante siano le insegne circensi in Italia, perché manca un registro nazionale accessibile in modo trasparente; in termini generali si può affermare che le imprese circensi – che svolgono attività in modo continuato – sono riconducibili ad un’ottantina di impresari che spesso non sono personaggi appartenenti al mondo circense.
Ma è abbastanza complicato riuscire a seguire le evoluzioni/accorpamenti/scissioni delle società circensi, che mutano insegna di stagione in stagione, anche per una sola tournee: nel 2004 il Circo Città di Roma – ad esempio – era gestito dai fratelli Elio ed Alvaro Bizzarro, quando nel 2006 si separarono ed Alvaro apre un altro circo che viene conosciuto con insegne diverse Circo Bizzarro, Circo Viviana Orfei e oggi di nuovo Circo Internazionale Città di Roma. Ma ci sono tre diverse società legate alla stessa famiglia: Circo Bizzarro di Picard Elvira, Circo Città di Roma di Bizzarro Alvaro Ernesto e Circo Città di Roma di Bizzarro Elio. Non è l’unico esempio.
Senza identità.
Quanti animali sono realmente detenuti all’interno dei circhi che girovagano lungo la Penisola? Purtroppo non esiste un’anagrafe nazionale ufficiale… l’unico riferimento sono le cifre diffuse dall’ENC (Ente Nazionale Circhi) che ha fornito – negli anni passati per l’Italia – soltanto delle cifre approssimative: in totale 120 cavalli, 70 felini, 50 elefanti, 40 tra cammelli, lama, guanachi e bovini.
È chiaro che la stima non è assolutamente attendibile, posto che ad esempio, durante uno spettacolo – di un circo di medie dimensioni – un domatore fa un numero con non meno di 8/10 felini. Ma alle 8/10 tigri – che di recente vengono preferite ai leoni – dello spettacolo bisogna aggiungere quelle che rimangono in sostituzione a disposizione nelle gabbie e che, pertanto, viaggiano comunque con il circo, oltre a quelle in addestramento nei campi invernali.
Una ricerca in scala nazionale della LAV del 2010 – basata su documentazione acquisita con foto e video degli spettacoli, elenchi dei programmi circensi e comunicati stampa – sostiene che gli animali prigionieri – con riferimento a circa 100 insegne circensi che svolgono attività continuativa in Italia – siano oltre 2000.
Un altro elemento che induce a riflettere è la provenienza di questi animali. Alcuni nascono all’interno dei circhi stessi … ma ci si domanda come sia possibile che se nei parchi zoologici, laddove gli animali certamente conducono una vita migliore, è difficilissimo riprodurre, come è possibile che in condizioni di vita assai peggiori gli animali selvatici si riproducano?
Oppure l’ipotesi di acquisto di cuccioli in esubero dagli zoo, e qui si torna alla riflessione precedente: un parco zoologico è finalmente riuscito a riprodurre un cucciolo di leone bianco – ad esempio – e preferisce venderlo al circo invece di utilizzarlo come attrazione interna?
L’altra opzione sarebbe quella di acquisto da strutture specializzate… i notissimi allevamenti dei Chipperfields (dell’omonimo Circo Chipperfields le cui aree di addestramento sono state riprese dell’associazione animalista Animal Defenders International svelando per la prima volta una realtà di violenze e di torture agghiaccianti). È chiaro che la possibilità residuale è quella del prelievo in natura, posto che durante le tournee è facile arrivare in paesi in cui è più semplice acquistare animali o ottenere false certificazioni.
Le linee guida per la detenzione.
Ma c’è di più: quando il Ministero dell’Ambiente decise di riunire una commissione di esperti – zoologi ed etologi – creata appositamente per valutare le istanze per il rilascio delle autorizzazioni alla detenzione di animali selvatici: la Commissione bocciò tutte le istanze presentate dai circhi, nessuno – infatti – venne ritenuto idoneo alla detenzione di animali selvatici, nessuno quindi era in possesso dei requisisti minimi per il loro mantenimento in condizione di benessere.
Nel 2006 la Commissione Scientifica CITES stilò un documento che conteneva le linee guida relative ai requisiti minimi per la detenzione.
Dalla lettura del documento, anche un semplice appassionato, può rendersi conto dell’inadeguatezza assoluta dei requisiti rispetto alle basilari necessità di animali selvatici, specie se di grandi dimensioni. D’altro canto se si confrontano le linee guida CITES per i circhi rispetto alla normativa per la detenzione degli animali nei parchi zoologici ci si rende conto dell’assoluta impossibilità di realizzare una struttura di detenzione che necessita di particolari condizioni – oltre che i requisiti di sicurezza – a seconda del tipo di animale da parte di un complesso itinerante.
Ecco che si legge l’assurdo:
- per gli elefanti: struttura interna 15 mq per individuo e temperatura superiore ai 15°, lettiera di paglia secca; struttura esterna 100 mq per individuo e zone ombreggiate per il riposo, si evidenzia che le catene in linea di principio devono essere evitate, potranno essere usate per brevi periodi, purché siano rivestite da un tratto di materiale morbido; ma chiaramente la struttura prevista se non per le dimensioni non può certamente soddisfare le esigenze etologiche di ciascun animale: è pressoché impossibile pensare di realizzare – per ogni sosta – una pozza d’acqua dentro cui gli elefanti possano fare il bagno. (Circus Santus – Rhanee, elefantessa asiatica 27 anni – 96,33% tempo incatenata il 3,67% si esibiva negli spettacoli; il proprietario del Circo Roland Folloni è stato condannato dal Tribunale di Milano per il reato ex art. 727 c.p. perché deteneva in condizioni incompatibili con la sua natura un elefante, tenendolo immobilizzato sotto il tendone a una tavola di legno di mq 6 circa, legandolo con due catene, una alla zampa anteriore sinistra, l’altra alla posteriore sinistra, entrambe fissate alla tavola);
- per i grandi felini: struttura interna 8 mq per individuo, altezza minima 2,20 m, le pareti devono essere isolate termicamente e gli animali devono essere protetti dalle correnti d’aria e dalla luce diretta del sole; lettiera di paglia e pali per lo sfregamento delle unghie e giochi; struttura esterna almeno 80 mq per 1-4 individui, libero accesso almeno 8 ore al giorno, previsione di zone di sole e di ombra in contemporaneità (Circus King, 3 leonesse e 3 tigri, tempo medio di soggiorno nei vagoni – in 9 giorni di osservazione – 75%, tempo medio di addestramento 23%, tempo medio dell’esibizione 2%).
Questi sono solo alcuni esempi, le linee guida dettagliano anche i requisiti minimi necessari per zebre, camelidi, orsi, rinoceronti, ippopotami, giraffe, foche, scimmie di vario tipo etc.
Ma se da un lato la normativa è del tutto inadeguata, posto che comunque si evidenzia che si tratta di requisiti minimi previsti, nella prassi quotidiana, le linee guida vengono comunque disattese sebbene – si legge in un inciso – la valutazione sullo stato di benessere dell’animale dovrà comunque essere effettuata in modo globale, da personale qualificato, tenendo conto anche di particolari esigenze locali, stagionali o legate a singoli animali, che, sebbene possano portare ad un parziale scostamento dai requisiti stabiliti, non compromettano il benessere dell’animale – e continua – quindi, il mancato rispetto di uno o più dei suddetti requisisti, non integra automaticamente il reato di maltrattamento animale.
Le linee guida, però, non sono mai state inserite nel corpo della legge del 1968 sebbene oggi siano considerate un valido punto di riferimento per il giudicante nel processo penale per maltrattamento di animali.
Se quindi, da un lato, non è oggettivamente possibile garantire il benessere degli animali durante le soste è chiaro che appare ancora più improbabile garantire la sicurezza, per gli animali e per le persone. Ecco che, infatti, tra il 2008 ed il 2014, sono stati registrati almeno 15 episodi di fughe.
Appare paradossale, come è oramai consuetudine in Italia, che, nonostante la continua evoluzione della normativa in direzione della progressiva tutela e protezione degli animali in ogni settore, per il nostro legislatore gli animali del circo non necessitano di una tutela giuridica ad hoc.
La leggenda dell’addestramento dolce.
Come si può spiegare l’ostinazione dei circensi riguardo l’utilizzo degli animali selvaggi, posto che appaiono del tutto inutili le dichiarazioni dei domatori più in vista relative all’addestramento cosiddetto dolce, che presupporrebbe che gli allenamenti vengano condotti su un presupposto rapporto di fiducia e rispetto reciproco tra uomo e animale – quindi si dovrebbe adottare la tecnica del rinforzo positivo – questo in teoria, ma in pratica si contano – infatti – in migliaia le denunce relative alle crudeli metodologie di addestramento costrittivo documentate a luci spente: se va bene si parla di urla, pugni, frustate, ma se l’animale è più lento ad imparare allora non mancano le spranghe, i punzoni, le spade, i pali, i forconi da fieno etc.
Non tutti sanno, infatti, che l’addestramento è solo la fase finale della preparazione. L’addestramento è infatti preceduto dalla doma che rappresenta il momento in cui l’animale, ancora cucciolo, deve essere sottomesso attraverso azioni violente che mortificano la natura di queste creature.
È stato Albert Curt il primo ad applicare il metodo della paura (o dolce… secondo i circensi). La teoria di Curt è quella secondo cui durante il lavoro qualcuno deve avere paura e – chiaramente – questo qualcuno doveva essere l’animale.
Un elefante asiatico adulto maschio può arrivare a pesare anche 12 tonnellate ed è per questa ragione che deve essere completamente sottomesso all’uomo fin da cucciolo: intorno ai 15/18 mesi viene separato dalla madre e dalle zie e si inizia a tenerlo legato a due alberi, così impara a conoscere – in modo atroce – la paura per mezzo dell’uso della frusta e del bullhook (il bastone uncinato) che viene usato su alcuni punti molto sensibili dell’animale, come la proboscide o le orecchie. La capacità di resistenza del cucciolo più orgoglioso viene fiaccata dalla fame e dalla sete e se ancora resiste sarà la volta del kumkies (un sistema di trazione che lo tira dalle estremità delle zampe e lo costringe a fare gravare l’intero peso del corpo sulle articolazioni delle ginocchia). L’assoggettamento dell’animale si ottiene mediante il terrore psicologico e dure punizioni corporali ad ogni tentativo di ribellione. Solo quando l’animale cede arrivano i premi sotto forma di cibo.
Anche senza arrivare a pratiche crudeli, il cibo è spesso una “merce di scambio”. Fu Moira Orfei – riferendosi ad una tigre adulta – a dichiarare che sugli otto kg di carne che vengono somministrati al giorno 5 kg vengono centellinati come premio durante l’addestramento giornaliero. Il concetto di base sta nel principio secondo cui il felino tenuto a digiuno era più recettivo a ripetere il movimento esatto con lo scopo di ottenere il premio: Alfred Curt sosteneva che l’animale doveva comprendere che è l’uomo il più forte in quella che doveva percepire come la lotta per la vita.
Tutto ciò perché ad un elefante – libero in natura – non verrebbe mai in mente di stare dritto su una zampa anteriore, causando così un abnorme e doloroso sovraccarico delle articolazioni. Così come un qualunque felino – avendo come tutti gli animali una paura innata del fuoco – non penserebbe mai di attraversare un cerchio in fiamme; ma risultati del genere vengono ottenuti, in moltissimi casi, con un training che risulta essere una combinazione devastante di violenza, ricatti e privazioni che inizia dalla più tenera età.
Le conseguenze per gli animali.
Qualunque animale selvatico tenuto in cattività soffre per la mancanza di spazi adeguati, per la mancata interazione con i suoi simili e per la carenza dei riferimenti necessari per la corretta espressione delle sue caratteristiche etologiche; ma se queste riflessioni valgono per i giardini zoologici, laddove, comunque gli animali vengono lasciati in un ambiente per quanto possibile protetto dalle interazioni con il pubblico, le stesse varranno ancora di più in un contesto laddove gli stessi vengano anche snaturati.
Ed ecco che si possono osservare comportamenti anormali amplificati: la frustrazione di essere isolato anche al freddo/caldo e/o al buio, dovendo rimanere per ore ed ore chiuso nei container a causa dei continui spostamenti; la depressione dovuta sia alla mancanza di stimoli, sia alla mancanza dei propri simili; una eccessiva aggressività dovuta all’errata collocazione gerarchica per gli animali che vivono in branco; il terrore diffuso per la vicinanza eccessiva e prolungata con il predatore naturale.
In generale si evidenzia in quasi tutti i soggetti un forte stress i cui sintomi sono i movimenti stereotipati e ripetuti senza alcuno scopo apparente, tanto che maggiori sono le restrizioni più aumenta la frequenza delle atipie comportamentali.
Per non contare i danni fisici dovuti alle pratiche alimentari scorrette (ad esempio le tigri in natura cacciano e poi non si nutrono per giorni, al circo devono mangiare tutti i giorni ad orari prestabiliti), le ulcerazioni delle ferite causate dalle catene, la mancanza del tono muscolare dovuto allo scarso movimento ed i problemi alle articolazioni, ernie o obesità, problemi alla pelle etc. tutti elementi che fanno insorgere malattie che vengono raramente riscontrate in natura.
La stessa esibizione al pubblico, non intesa nel senso del numero sul ring, ma il frastuono delle musiche e del pubblico, la stessa visione della folla causa alterazioni critiche nei parametri psicologici tanto da causare – ad esempio – nelle tigri forti gastroenteriti.
Il Circo cambia pelle.
Per fortuna oggi si vanno moltiplicando i paesi che vietano l’utilizzo degli animali selvatici e – mano a mano – anche in Italia molti comuni si stanno dotando di ordinanze e regolamenti restrittivi che, pur non essendo in contraddizione con la legge nazionale, impediscono di fatto gli attendamenti dei circhi sul loro territorio, ma, nei comuni restanti, ogni biglietto staccato è un giorno di sofferenza aggiunto.