di Giovanni Verduci
Reggio Calabria. “Noialtri, i Greco vinciamo! Io vinco sempre”. Giuseppe Greco, l’ex collaboratore di giustizia che voleva tornare a prendersi Calanna, con queste parole rassicura la zia paterna con la quale si sta confrontando nei giorni di una faida cruenta che lo ha sfiorato.
Giuseppe Greco sapeva chi aveva attentato alla sua vita e, attraverso le intercettazioni ambientali, sono riusciti a capirlo anche gli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria che, all’alba di oggi, hanno portato a compimento l’inchiesta “Kalanè”.
Chi voleva fare fuori l’ex pentito sarebbe stato Antonino Princi “lo sceriffo”, l’uomo che era sfuggito a un agguato mortale in stile cinematografico lo scorso mese di febbraio a Sambatello.
Princi e la sua famiglia, secondo la ricostruzione degli uomini di Francesco Rattà, volevano difendere il predominio criminale su Calanna dal ritorno della cosca Greco che, dopo i fasti degli anni ottanta, stava rischiando di uscire completamente dal panorama mafioso di Reggio Calabria e del suo hinterland.
Giuseppe Greco, dopo aver scelto di svestire la maglietta dello Stato, era ritornato a Calanna e stava provando a rimettere le cose apposto. “Dammi tempo – spiegava l’ex pentito alla zia – che poi vedi se vinciamo!!.. il popolo è contro a questi cosi lordi zia Grazia perché noi non abbiamo toccato mai a uno privato.. a uno.. se non era uno privato.. non abbiano bruciato macchine.. queste cose non le abbiamo fatte mai noi!!.. è vero?!”.
Dalle parole di Giuseppe Greco, poi, traspariva una sorta di disprezzo per quanto stava accadendo a Calanna e dintorni. Manifestazioni criminali che erano in netto contrasto con le
vecchie regole sociali alle quali la sua famiglia era ancorata.
Come quando per futili motivi un’autovettura era stata data alle fiamme. “Al cimitero.. gli bruciano la macchina per un mazzo di fiori!.. un ragazzo vendeva fiori– Era un ragazzo di.. di San Giuseppe.. vendeva fiori.. si.. eh.. si è sposato e se ne sono andati e gli hanno bruciato la macchina per un mazzo di fiori!”.
“La malavita, deve nascere nella malavita uno”. Solo così per Giuseppe Greco si poteva ritornare a governare il territorio senza piombo o benzina. “Io me li sudavo – dice ancora Greco – ti dicevo a te.. zia Grazia ti vuoi prendere questo lavoro?.. io te lo faccio prendere col tre per cento!.. e il dieci me lo devi dare!!.. e ci aggiustavamo così!!”.
Ora, però, sempre secondo le indagini, bisognava fare pulizia. Eliminare coloro che stavano cercando di rubare ai Greco la supremazia su Calanna. Per farlo, secondo la ricostruzione degli investigatori della Squadra mobile, l’ex collaboratore di giustizia avrebbe messo in piedi un gruppo di fuoco di tutto rispetto, reclutando due killer all’interno della famiglia Provenzano “buccazza”, gente che nel bisogno “hanno aperto la porta” a Giuseppe Greco.
“Vent’anni.. sai che è?.. – queste le frasi intercettate dalle microspie della Squadra mobile che per gli inquirenti traccerebbero l’identikit criminale di Domenico Provenzano – impreca..(dialettale: a locu di cani).. con due mani.. ah?.. portava la macchina (dialettale: luvava a machina)… con una mano.. inc.. e sparava.. (dialettale: cu na manu..inc.. e sparava)… figlio di p.. sono doti di natura.. io non sono come a lui… io so fare.. ma non come a lui”.
Giuseppe Greco, infine, non lesinava complimenti per il giovane presunto sodale: “killer come quello non ce ne sono.. non ce ne sono… è il più potente che c’è in Italia”.