Lecce. «Il principio del riscontro individualizzante prevale sulle dichiarazioni plurime dei pentiti». Così ha concluso la Corte di Assise di Appello di Lecce, che, in accoglimento della tesi difensiva sostenuta dall’avvocato reggino Ugo Singarella, ha assolto l’imputato dall’accusa di esecutore materiale dell’omicidio di Antonio D’Alò, presunto esponente di spicco della organizzazione sacra corona unita. Si tratta di un verdetto che boccia l’uso indiscriminato delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e quindi afferma la necessità di verificare quanto “raccontato”. Una volta accertata la veridicità delle dichiarazioni si potranno usare come elementi di accusa. La Corte di Lecce, ha sottolineato questo importante concetto, sostenuta dall’avvocato Singarella. Non sono sufficienti le dichiarazioni multiple e convergenti dei pentiti se esse non sono confermate da risconti. Il delitto D’Alò, a dire dei collaboratori di giustizia – alcuni dei quali esponenti di vertice della criminalità organizzata salentina e sedicenti mandanti dell’imputato, sarebbe stato ordinato per motivi di supremazia mafiosa e quale ritorsione per uno sgarro commesso da D’Alò. Nel corso del suo lungo intervento, l’avvocato Ugo Singarella ha fermamente richiamato l’attenzione della Corte sulla mancanza di riscontri cosiddetti individualizzanti, sostenendo che “la ricerca e individuazione di precisi elementi di prova, che devono essere univoci ed esclusivamente riferibili all’imputato, deve pur sempre prevalere sulla insufficiente, seppure suggestiva, parola di più collaboratori”. La Corte, in accoglimento della tesi difensiva, ha liberato l’imputato da ogni addebito.
Importante verdetto in materia di pentiti
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