Reggio Calabria. È il più antico partito politico italiano. Fondato il 12 aprile del 1895, ha rischiato di scomparire ieri. In un’Italia abituata da sempre a cambiare bandiera, che ha fatto del motto “Franza o Spagna purché si magna” un metodo di azione politica, il Partito Repubblicano è rimasto sempre uguale a se stesso, col suo nome e col suo simbolo. Non poteva finire così.
Ci vuole una grande personalità per guastare la festa a Silvio Berlusconi nel giorno del suo trionfo. Snobbare l’invito del leader del neocostituito Popolo della Libertà a salire sul palco del Congresso costitutivo, non è da tutti. Quella passerella, però, sarebbe significata la fine. Berlusconi ha chiamato a sè «i responsabili e i leader dei partiti e dei movimenti che oggi consegnano a noi le loro bandiere e i loro simboli affinché si fondano in quello del Popolo della Libertà».
Quando ha sentito pronunciare il proprio nome, ha fatto finta di niente, è rimasto impassibile al suo posto, in sella al Pri. Il reggino Francesco Nucara, 69enne segretario nazionale dei repubblicani, non ha abdicato in favore del re di Arcore.
Salire su quel palco, dopo quelle parole pronunciate da Berlusconi, sarebbe significato certificare la morte del suo partito, proprio lui che da quando guida la segreteria, nel 2001, ha fatto di tutto per la sopravvivenza del Partito Repubblicano Italiano. Ma proprio di tutto, navigando come un Noè senza Arca nei marosi degli ultimi otto anni della politica italiana, mentre piante ben più robuste come quercia e ulivo appassivano inesorabilmente, per portare in salvo quella specie preziosa di pianta, l’edera.
Nel 2006, ad esempio, dovette subire critiche e sberleffi quando annunciò la sua candidatura alla Camera dei deputati nella lista di Forza Italia. Non era cosa di tutti i giorni che un segretario nazionale di un partito si candidasse nella lista di un altro partito, seppure alleato; sebbene l’interessato fosse anche viceministro del governo Berlusconi. «Candidato con Forza Italia per salvare l’identità e la sopravvivenza del Partito Repubblicano» spiegò a chiare lettere senza curarsi delle critiche. Nucara, in una fase in cui il Pri rischiava di presentarsi alle urne senza guadagnare nemmeno un deputato, strinse un accordo nazionale con Forza Italia, grazie al quale presidente segretario e altri pochi esponenti si assicuravano una candidatura nella lista azzura, da indipendenti, in un collegio blindato; mentre al Senato, più accessibile, il Pri correva con la propria lista. E così ingoiò il rospo della candidatura azzurra, addolcito dal collegio della roccaforte repubblicana, l’Emilia Romagna, ma salvò il Pri.
A distanza di tre anni, se ieri fosse salito sul palco del Pdl quel “sacrificio” sarebbe stato inutile. Morire per estinzione o per confusione, poco importa. Personaggi del “calibro” di Giuseppe Mazzini, Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini, si sarebbero rivoltati nella tomba. Non poteva finire così. «Il Pri non si scioglierà – ha spiegato poi Nucara – perché noi non vogliamo scioglierci, ma aderire al Popolo della Libertà rimanendo in vita con il nostro simbolo e la nostra bandiera». Non a caso proprio per la sua peculiarità di attaccarsi saldamente ai punti d’appoggio, l’edera è il simbolo della fedeltà e dell’amore eterno.
Fabio Papalia