Questa settimana la nostra Rubrica dà la parola alla Storia ed all’Ateneo Messinese, ben consapevoli che senza un autentico ed esteso sistema sinergico non c’è né la Città Metropolitana di Reggio Calabria né l’Area Metropolitana dello Stretto. Che, ho già avuto modo di affermare, amerei chiamare la “Metropoli dello Stretto”. Senza Storia, lo sanno bene i lettori, e senza sinergia fra le due discipline, non c’è Urbanistica. E non andremo lontani senza che i due Atenei che si fronteggiano al di qua ed al di là del mare, quello di Reggio e quello di Messina, si confrontino su un tema strategico come quello riguardante i territori metropolitani. È per questo motivo che ho chiesto di intervenire, con un suo contributo, ad un illustre storico, il Prof. Giuseppe Caridi, reggino ed ordinario al di là dello Stretto. Per questa volta, partendo dai calcidesi ci fermiamo ai Vespri siciliani, e naturalmente, con altri successivi interventi, ripercorreremo assieme le successive tappe di una “storia metropolitana”. (EC)
Profilo storico dell’Area dello Stretto, dalla fondazione di Reggio e Messina alla guerra del Vespro
di Giuseppe Caridi
Il braccio di mare che separa la penisola italica dalla Sicilia, comunemente denominato Stretto di Messina, ha rappresentato, a volte, nel corso dei secoli, un elemento di frattura e di contrapposizione ma, molto più spesso, è stato un fattore di aggregazione e complementarietà tra le due sponde. Sugli opposti litorali, un ruolo fondamentale è stato svolto dalle città di Messina e Reggio, dai cui rapporti è sostanzialmente dipesa l’evoluzione dell’intera area gravitante attorno allo Stretto. Quando le relazioni reciproche erano intense, notevoli benefici ne sono infatti derivati ad ambedue le città. Nei periodi in cui, per diversi motivi – dalle guerre tra rivali dinastie regnanti ai terremoti, dalle carestie alle pestilenze – i rapporti tra le due sponde si sono attenuati o addirittura interrotti, al di là dei vantaggi contingenti di qualche limitato strato sociale, gli effetti negativi sono stati subito avvertiti dalla stragrande maggioranza della popolazione messinese e reggina.
Le due città dello Stretto, con i relativi sistemi territoriali tanto sul tirreno che sullo ionio, possono considerarsi, per molti aspetti, gemelle. Fondate entrambe nell’VIII secolo a. C. da coloni calcidesi, esse hanno avuto infatti comuni origini e sono diventate ben presto delle importanti polis della Magna Grecia. Il nome primitivo di Messina era «Zancle», che significa falce, e derivava dalla penisoletta sabbiosa che ne protegge il litorale, luogo ritenuto ideale dagli esuli greci per il loro insediamento alle porte della Sicilia. Motivazioni simili determinarono la pressoché sincrona fondazione, sulla riva opposta, nell’estrema propaggine sud-occidentale della penisola calabrese, di Rhégion, riparata dagli impetuosi venti meridionali dalla punta di Calamizzi, poi sprofondata. Il termine «Rhégion» stava per frattura e voleva appunto indicare il distacco del litorale calabro da quello siculo.
Sul finire del V secolo a C., prima Rhégion e poi Zancle caddero sotto il dominio di Anassila, tiranno originario della Messenia, con il quale – ha opportunamente osservato la Ioli Gigante – «le due sponde dello Stretto diventano come elementi chiave di un’innegabile unità geopolitica». Dalla regione di provenienza di Anassila la città siciliana dello Stretto prese la denominazione di «Messana», mantenuta anche dopo la conquista dei Romani che, nel corso del III secolo a. C., sottomisero al loro potere pure Reggio, che mutò il nome originario in «Rhegium» e, come la dirimpettaia Messina, assunse la nuova conformazione urbana della civitas, con una estesa influenza sul territorio circostante.
Alle condizioni sostanzialmente favorevoli godute nel periodo romano fecero seguito per entrambe le città le vicissitudini delle invasioni barbariche, con i loro pesanti strascichi di crisi economica e demografica. La conquista bizantina della metà del VI secolo accomunò ancora sotto il profilo politico le coste dello Stretto, che però sarebbero state traumaticamente divise tre secoli più tardi, quando la Sicilia cadde sotto il dominio islamico. La vittoriosa campagna militare dei fratelli normanni, Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavilla, portò nella seconda metà del secolo XI alla riunificazione politica dell’intero Mezzogiorno e alla fondazione del Regnum, di cui nel 1130 il loro discendente Ruggero II avrebbe conseguito la corona nella cattedrale di Palermo dal locale arcivescovo.
I Normanni rimasero sul trono siciliano per quattro generazioni. A Ruggero II, erede dell’omonimo conquistatore, subentrarono infatti il figlio Guglielmo I il Malo (1154-1166) e poi il nipote Guglielmo II il Buono (1166-1189). A succedere a quest’ultimo, morto senza figli , fu la zia paterna Costanza, che l’imperatore Federico Barbarossa era riuscito a fare sposare con il figlio Enrico VI, al quale quindi il Regno di Sicilia pervenne in dote, malgrado l’opposizione, presto debellata, di alcuni epigoni degli Altavilla. La nuova dinastia sveva si mostrò prodiga di concessioni nei confronti delle due città dello Stretto. Enrico VI e soprattutto il figlio, il grande imperatore Federico II, stimolarono le attività commerciali delle due sponde attraverso importanti privilegi commerciali e fiscali accordati ai Reggini e ai Messinesi. Nel 1266 l’ultimo discendente degli Svevi, il re Manfredi venne sconfitto a Benevento da Carlo I d’Angiò. Questi riuscì così a ottenere, attraverso la conquista militare, il possesso del Regno di Sicilia, di cui l’anno prima era stato investito l’anno prima da papa Clemente IV, acerrimo nemico degli Svevi.
Bisognoso di cospicue entrate per fare fronte, tra l’altro, agli ingenti debiti contratti per preparare la spedizione contro Manfredi, il sovrano angioino esercitò una forte pressione fiscale sul Regno, la cui capitale venne spostata da Palermo a Napoli. Il pesante carico fiscale, il diffuso malumore per il trasferimento della corte regia nel Mezzogiorno continentale e il timore della consistente parte dell’aristocrazia feudale filosveva di subire la confisca dei propri possedimenti furono le cause del rapido diffondersi nell’isola della rivolta dei Vespri Siciliani. Tale ribellione, scoppiata a Palermo nel marzo 1282, portò in breve all’espulsione dalla Sicilia degli Angioini e all’arrivo trionfale di Pietro d’Aragona, genero di Manfredi. Lo Stretto di Messina fu allora il principale teatro del conflitto tra gli opposti pretendenti al trono siciliano. Questa frattura, sancita dalla pace di Caltabellotta del 1302 che assegnava la Sicilia agli Aragonesi e il Mezzogiorno peninsulare agli Angioini, rappresentò un grave colpo per le relazioni tra Reggio e Messina, che solo con la ritrovata unità politica dei decenni successivi avrebbero ripreso a procedere in sintonia verso una crescita economica che avrebbe raggiunto nel Seicento il massimo splendore.
(rubrica a cura del prof. Enrico Costa)