Cosenza. Dalle prime ore dell’alba i Carabinieri della Compagnia di Scalea stanno eseguendo 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere, disposte dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di un’associazione a delinquere finalizzata all’usura ai danni di numerosi imprenditori dell’alto Tirreno cosentino.
Contestualmente, i finanzieri del GICO di Catanzaro e dello SCICO di Roma stanno procedendo al sequestro dei beni (immobili, attività commerciali, quote societarie e conti correnti) riconducibili ad alcuni dei soggetti arrestati ed a loro prestanome, il cui valore si aggira intorno ai 70 milioni di euro.
L’operazione Cartesio determina la carcerazione, fra gli altri, di più imprenditori, dell’alto tirreno cosentino, che reimpiegavano in usura capitali della cosca Muto. Il gip distrettuale, su richiesta della Procura Distrettuale di Catanzaro, ha disposto la cattura di 12 persone fra cui:
G.N., nato a Cosenza cl. 1960, residente Belvedere Marittimo (CS) e della moglie F.C., nata a Roma cl. 1960, residente Belvedere Marittimo; dei tre fratelli: A.I., nato a Cetraro cl. 1978, ivi residente, D.I., nato a Cetraro cl. 1969, ivi residente, G.I., nata a Cetraro cl. 1973, ivi residente; S.R.R., nato a Bonifati (CS) il cl. 1960, ivi residente; A.B. nato a Bonifati (CS) cl. 1968, ivi residente.
Costoro sono accusati di usura, aggravata dalla finalità di agevolare la cosca Muto e dal metodo mafioso e del reato di estorsione, parimenti aggravato dalla mafiosità.
G.N. è tradizionalmente legato alla cosca Muto, risultava già coinvolto nell’ambito del processo Azimut per il quale è stato condannato, in primo grado, per usura aggravata dalla mafiosità, e poi assolto in Appello. G.N. ha profittato della propria società immobiliare per conoscere le difficoltà economiche di più imprenditori cui “offre” finanziamenti a tassi oscillanti fra il 10 ed il 20% al mese.
L’indagine dimostra che nell’ultimo quinquennio, i tre fratelli A.I., D.I. e G.I., gli si sono affiancati quali “capo zona“, per conto della cosca Muto, in agro di Belvedere e comuni limitrofi. Costoro, parimenti, si sono infiltrati , attraverso la propria impresa di distribuzione di mobili, nei gangli essenziali dell’economia dell’alto tirreno garantendo linee di credito a tassi assai esosi. I tre fratelli sono riusciti ad acquisire il controllo di una serie di imprese, del settore turistico, sottraendole agli originari imprenditori finiti “sotto usura” e quindi costretti a svendere le proprie attività per compensare i debiti. R.R.S. è, invece, un insegnante che, di fatto, gestisce un distributore di carburante, che per anni ha reimpiegato in usura capitali provenienti da ‘ndranghetisti, legati al gruppo Muto e da imprenditori che avevano deciso di “investire” in rapporti usurari.
È il caso di: P.I., nato a Santa Maria del Cedro (CS) cl. 1950, ivi residente, di U.C. nato a Sangineto cl. 1961 residente in Belvedere Marittimo e di F.A., nato a Corigliano (CS) cl. 1954, residente Scalea, che parimenti sono stati colpiti da un provvedimento di custodia cautelare. Quest’ultimo ha garantito informazioni sensibili sulla solvibilità delle persone offese svolgendo mansioni di ufficiale giudiziario in Scalea. Gli usurai potevano contare, anche sul favoreggiamento di G.G., nato a Paola cl. 1952, ivi residente, direttore di un istituto di credito che ha fornito loro informazioni relative agli accertamenti economici eseguiti dalle forze di polizia.
La gestione dei mutui è stata controllata dalla cosca Muto ed in particolare da A.P., nato a Cetraro (CS) cl. 1963, ivi residente (parimenti attinto da misura cautelare in carcere) che , in più occasioni, ha speso il nome di Franco Muto storico reggente della cosca omonima.
Fra le prerogative di quest’indagine v’è la inedita e preoccupante collusione di usurai della cosca Muto con personaggi di spicco della cosca Abbruzzese, infatti, il gip distrettuale ha disposto la cattura di F.A., nato a Cosenza cl. 1970, residente in Cassano allo Jonio, capo incontrastato della omonima cosca egemone in Cassano, che ha concluso rapporti di mutuo, contratti a tasso usurario, con imprenditori dell’alto tirreno cosentino, anche per il tramite di R.R.S. e dei fratelli A.I., D.I. e G.I..
Il volume di affari accertato è enorme, per come dimostrano le cifre dei finanziamenti che superano, per ciascuna delle persone offese, il milione di euro. In particolare; uno degli imprenditori “strozzati”, titolare di un’impresa leader nel settore termoidraulico, con commesse in tutto il territorio nazionale, ha raggiunto, in meno di due anni, un’esposizione debitoria superiore ai tre milioni di euro.
Di estremo rilievo sono, poi, le indagini economico-patrimoniali disposte dalla Procura che hanno consentito di ricostruire in capo ai principali indagati notevolissimi complessi patrimoniali costituiti, prevalentemente, da beni immobili, attività commerciali e quote societarie, detenuti sia direttamente sia attraverso prestanome, il cui valore è risultato sproporzionato rispetto alle capacità economico-reddituali dei rispettivi titolari.
Uno degli aspetti di maggiore interesse investigativo emersi dalle indagini patrimoniali riguarda l’individuazione in capo ai fratelli A.I., D.I. e G.I. di una stretta comunione di interessi nella gestione delle loro attività economiche e finanziarie, quasi che gli stessi avessero costituito una sorta di “holding familiare” dotata di una cassa comune e di decisioni di investimento collegiali.
L’attività di analisi documentale ha consentito, infatti, non solo di ricostruire un complesso intreccio di rapporti societari in continuo mutamento attraverso varie cessioni e/o intestazioni di quote nell’ambito dei membri della famiglia ma, altresì, di accertare l’esistenza di una vera e propria “cassa comune”, utilizzata sia per finanziare l’attività usuraria, sia per investire nella costituzione o acquisto di nuove società o, ancora, nell’acquisto e/o costruzione di immobili.
In effetti, come accertato in sede di indagini patrimoniali, a partire dal 2004 (ovvero nel periodo in cui l’attività usuraria è in fase di piena espansione), i fratelli A.I., D.I. e G.I. hanno effettuato notevoli investimenti in beni e società, alcuni dei quali in maniera ufficiale, altri ricorrendo a soggetti prestanome, utilizzando le considerevoli disponibilità finanziarie rivenienti dall’attività delittuosa posta in essere.
L’esame del materiale investigativo raccolto in sede di indagini di polizia giudiziaria e i successivi accertamenti economico-finanziari hanno permesso di:
- individuare tali disponibilità patrimoniali molte delle quali, sebbene formalmente intestate a prestanome, sono state ricondotte di fatto nella disponibilità dei fratelli A.I., D.I. e G.I. e, in particolare, di A.I.;
- comprendere le dinamiche sottostanti alla loro acquisizione, le quali hanno evidenziato l’esistenza di un comune denominatore rappresentato dal progressivo subentro di A.I., in qualità di titolare occulto, in importanti attività economiche attraverso l’impiego di capitali di provenienza illecita.
I conseguenti provvedimenti di sequestro preventivo disposti dal gip, su richiesta della Procura distrettuale di Catanzaro, ai sensi degli artt. 321 c.p.p. -240 c.p. e 12 sexies Legge 356/1992 colpiscono numerosissimi beni immobili, quote societarie, attività commerciali e conti correnti bancari per un valore stimato in circa 70 milioni di euro e riguardano, in particolare, un albergo di lusso, un centro commerciale , un’impresa di onoranze funebri siti tutti in agro di Belvedere Marittimo, una società di ristorazione con punti vendita in tutta la provincia di Cosenza, un lido con annesso ristorante sito in Bonifati, un ristorante sedente in Rimini.
Le indagini sono state svolte dai Carabinieri della Compagnia di Scalea e del Comando Provinciale di Cosenza e, per quanto attiene le investigazioni patrimoniali, dai finanzieri del Gico di Catanzaro e dello Scico di Roma.