E Bova tuonò: «Ma via, siamo seri». In Consiglio regionale «tutto è davvero regolare»

Giuseppe Bova
Giuseppe Bova

Questa legislatura è nata male, con tutte le contraddizioni gravi della precedente e, poi, con la tragedia dell’uccisione, per mano mafiosa, del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Fortugno. Da lì, com’era sacrosanto, sull’Assemblea calabrese indagini a tappeto e inchieste giornalistiche a iosa. Ma oggi anche il Consiglio regionale è un’altra cosa rispetto a qualche legislatura fa e a quella precedente in particolare. L’abbiamo fatto mantenendo inalterato il bilancio annuale: a consuntivo rimane quello del 2004, cioè 75 milioni di euro, nonostante ci siano oggi da pagare dieci consiglieri regionali in più e, a partire dallo scorso anno, con scadenza biennale, 500 laureati calabresi particolarmente meritevoli. E’ poco? Fate voi. Abbiamo fatto solo questo? Ovviamente no. Rispetto al passato non ci sono più parenti, fino al quarto grado, nelle strutture dei consiglieri e del Consiglio; tutti i collaboratori degli eletti vengono passati al setaccio come se si trattasse di dipendenti regionali, obbligandoli a presentare quattro diverse certificazioni attestanti la loro buona condotta in ogni campo. Oggi le consulenze sono solo sei rispetto alle oltre trenta della passata legislatura, e al contempo ci sono meno strutture speciali, i cui componenti hanno retribuzioni significativamente più ridotte di quelle che percepivano qualche anno fa; infine, anche per i gruppi c’è, per legge, un tetto di spesa insormontabile, che ha ridotto ad un terzo, rispetto alla precedente legislatura, le risorse messe annualmente a disposizione degli stessi. Così abbiamo trovato i soldi per i migliori laureati. Sottolineo inoltre che, proprio in occasione dei tagli ai costi della politica, decidemmo unanimemente di non dovere intervenire più, in questa legislatura, sui componenti delle strutture speciali. Cioè non si dovesse licenziare o rinviare nessuno agli enti pubblici di provenienza. Il metodo di selezione automatica e supertrasparente adottato per i voucher e le rigorose procedure concorsuali per selezionare i nuovi 170 dipendenti del Consiglio rappresentano una riforma vera e profonda nell’agire della politica e delle istituzioni. Su questo punto voglio, infine, ricordare come sia depositato in Consiglio regionale un progetto di legge, con un insieme di proposte, che porta la mia firma e quella dell’intero ufficio di presidenza, già discusso nella Conferenza dei presidenti dei gruppi, da cui è poi scaturito l’ordine del giorno adottato dall’aula, che sarà approvato, entro l’anno, a conclusione del percorso delle riforme istituzionali. Esso prevede non solo l’abbattimento del 35 per cento delle risorse dirette ai singoli consiglieri regionali, ma il ricorso, quasi esclusivo, a personale del Consiglio, per tutte le strutture speciali, a partire dall’inizio della prossima legislatura. Tutte queste cose l’on. Naccari e l’on. Adamo le sanno bene. E allora da dove traggono motivazione seria per chiedere a questa presidenza di far luce e di escludere presunte interferenze che il Consiglio regionale, che è solo organo legislativo, metterebbe in pratica nei confronti dei partiti, o di un partito? O, invece, sotto i paroloni, stringi, stringi, il problema è la presenza nelle strutture speciali di iscritti o dirigenti di partito? Ma via, siamo seri. Qualsiasi difficoltà congressuale non giustifica prese di posizione siffatte. Però il quesito è pubblico e formale ed io una risposta la debbo dare innanzitutto ai calabresi. Affermo pubblicamente che in Consiglio regionale tutto è davvero regolare, comprese le strutture speciali. I componenti delle stesse vengono scelti nel rispetto di leggi e regolamenti precisi, sulla base di un rapporto di fiducia con il consigliere di riferimento o il titolare dell’ufficio con cui collaborano. L’essere iscritti o dirigenti di partito non costituisce né può costituire motivo di esclusione. Peraltro voglio ricordare come l’esistenza dei partiti, il diritto dei cittadini di associarsi liberamente per concorrere col metodo democratico a determinare la politica nazionale, regionale o locale che sia, è garantito dall’articolo 49 della Costituzione. In Consiglio regionale non si può incorrere in rischi di altro tipo. Non è questo, infatti, un organo di gestione. Qui si fanno solo le leggi, per il resto non si gestisce nulla. Non c’è modo, anche per chi lo volesse, di essere invadenti nella vita interna dei partiti. Ma allora, quale interferenza c’è se iscritti o dirigenti di questo o quel partito fanno parte di strutture speciali, i cui componenti sono di fiducia di chi li nomina, se essi sono uomini onesti e capaci di assolvere con competenza al loro incarico? Certo, sollevare dubbi, destare sospetti, far balenare lo scandalo, fa notizia. Soprattutto quando riguarda la politica, quella calabrese in particolare. Possono trovare giustificazione così difficoltà e insuccessi personali preventivati. Il resto poi avviene di conseguenza; in Calabria e sulla Calabria è facile fare di tutta l’erba un fascio. E’ un gioco di moda. Cosa pretendono di più gli eletti alla Regione? L’ambiente e la raccolta dei rifiuti sono commissariati; domani forse sarà commissariata anche la sanità; perché non si può prendere in considerazione l’ipotesi di commissariare il Consiglio regionale, i partiti e compagnia cantando? Ovviamente sempre per necessità e a fin di bene. Per questa via magari domani si dirà ai calabresi che per la loro salvezza diventa opportuno e necessario sospendere la democrazia. Così la Calabria si normalizza davvero, altro che “pazzie” tipo le primarie, il voto di preferenza o i collegi uninominali.

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