Reggio Calabria. Dal 3 novembre è in distribuzione il n° 123 (Luglio-Settembre 2009) di “CALABRIA SCONOSCIUTA”, (www.calabriasconosciuta.it) la rivista trimestrale di cultura e turismo fondata da Giuseppe Polimeni (16 gennaio 1933 – 9 febbraio 2002). Indipendente come il pensiero del suo fondatore, la Rivista si sostiene unicamente con la sottoscrizione dei numerosi abbonamenti ed anche dopo la scomparsa di Giuseppe Polimeni va avanti con lo stesso spirito con cui è nata, grazie ai tanti collaboratori, agli amici e ai familiari che con la loro opera costante la guidano e la divulgano.
Da oggi, ad ogni uscita, ospiteremo ben volentieri su Newz.it un articolo della Rivista, certi che anche i nostri lettori apprezzaranno la competenza, la passione e l’amore che le figlie del compianto fondatore, Rosa, Luciana e Sara, profondono nel proseguire l’opera del loro amato padre.
Fabio Papalia
Scilla, l’antica pesca
di Massimo Valicchia
La tradizionale pesca del pesce spada, descritta con efficace sintesi quasi come un rito religioso, lungi dal distruttivo operare delle “spadare”.
Chianalea un pugno di case sull’acqua, una scogliera colorata di ?nestre e tetti che guardano il mare. Chianalea il primo e più antico borgo di Scilla. La leggenda vuole che qui i primi esuli troiani decisero di fondare una comunità attratti dal mare pescoso e dalla sicura posizione della baia.
A Scilla, da secoli, da maggio ad agosto si svolge la pesca al pesce spada. È proprio in questo periodo che il prelibato pesce scende sulle coste tirreniche per accoppiarsi.
La pesca con la feluca continua la tradizione della pesca del pesce spada nel rispetto della natura e del ripopolamento delle specie marine e dà vita ad una delle pi emozionanti tradizioni di mare italiane. Oggi a rendere dif?cile la vita di chi pesca alla maniera classica c’è la spadara, rete di oltre 30 km a maglie ?tte che cattura pesci di ogni specie e grandezza facendoli morire dopo ore di agonia, giustamente resa illegale da oltre 16 anni dalla corte europea ma ancora utilizzata da molti pescatori che rispondono solo a logiche economiche. A peggiorare le cose ha contribuito anche il continuo aumento delle navi che partono dal vicino porto di Reggio Calabria. Enormi navi mercantili e passeggeri che spaventano i pesci e rendono la navigazione dif?cile sullo stretto, costringendo spesso a manovre pericolose.
Chi decide di continuare con la tradizione vive da precario e spesso ha alle spalle una storia di emigrazione e di lavoro a bordo di traghetti o navi da crociera; così è stato per Francesco e così oggi per suo ?glio Domenico, poco più di vent’anni e una passione per il mare e per quest’arte. La feluca ha una passerella di oltre venti metri legata da cavi d’acciaio ad una torre, l’antenna, che è ?ssata al centro dell’imbarcazione. La giornata inizia poco dopo l’alba. L’equipaggio che mi ospita composto da cinque persone, Domenico e Pietro prendono posto sull’antenna. Da lì su a quasi trenta metri, coperti contro il freddo e protetti da occhiali da sole che coprono anche i lati del viso, guidano il mezzo e scrutano il mare alla ricerca di un movimento del pesce spada. Filippo, Francesco e Antonio aspettano a prua, parlano, sonnecchiano, sembrano atleti prima di una gara importante. La feluca gira nella zona di pesca assegnata disegnando in?niti cerchi. Poi il segnale arriva, la barca si ferma di colpo, sullo sfondo una mare piatto e la cima innevata dell’Etna. Antonio, ottanta anni, il viso scavato dal sole, agile come il pesce che di lì a poco andrà a pescare salta in piedi e corre sul punto più lontano della passerella e afferra l’arpione. Filippo e Francesco continuano a scrutare il mare. Dalla torre Pietro inizia ad urlare in dialetto le indicazioni per colpire il pesce, la barca prende velocità e insegue il pesce spada, una volta sopra Antonio sferra un colpo solo, preciso, in acqua. Catturato. Il lavoro non ancora ?nito, Francesco e Filippo recuperano la corda che legata all’arpione e con fatica trascinano il pesce a bordo. Poi con cura tolgono l’arma dalla carne dell’animale e Filippo con rispetto e dolcezza copre il pesce con un lenzuolo bianco e lo mette all’ombra. Gesto conclusivo di questa secolare lotta fra l’uomo e il mare che rischia di scomparire.
* Tutte le foto sono dell’autore.