“Quei beni sono cosa nostra”. Questo lo slogan che Libera sceglie per chiedere a Governo e Parlamento di ritirare l’emendamento sulla vendita dei beni confiscati alla criminalità organizzata che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. Emendamento alla Legge finanziaria, passato al Senato e ora in commissione Giustizia alla Camera, che nelle intenzioni della maggioranza dovrebbe diventare legge entro la fine dell’anno. Facile immaginare, per Libera e non solo, “grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere”. Per dire no ad una norma “assurda e ingiusta”, il coordinamento di Reggio Calabria del movimento presieduto da don Luigi Ciotti, oggi sarà nella piazzetta di San Giorgio al corso, dalle 16 alle 24, per una raccolta firme che ha un obiettivo preciso: “arginare uno scempio. Cioè il rischio concreto che da un lato i beni vengano presi ai mafiosi, dall’altro vengano a loro restituiti”. E a sostenere una battaglia civile, sulla scia di quella che tredici anni fa portò un milione di cittadini a firmare la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la norma per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie che portò alla legge 109/96, ieri nella sede di Libera c’erano tutti. Dal referente provinciale Mimmo Nasone, ai collaboratori Salvatore Mafrici, Antonio Anile e Tiberio Bentivoglio, dal responsabile regionale delle Acli, Carmelo Moscato a don Marcello Cozzi, dell’ufficio nazionale di Libera. Mancava solo la maggior parte dei media locali. Sui quali si è abbattuta la scure dei promotori di un’iniziativa che, senza illusioni sull’efficacia, mira soprattutto ad informare i cittadini e a sensibilizzare le coscienze. “Grave l’assenza degli organi di informazione, specie quelli televisivi, su una problematica così delicata – denunciano i vertici di Libera – Eppure questo è un territorio che più di ogni altro dovrebbe essere coinvolto in questi temi”. E infatti, se l’emendamento dovesse essere definitivamente approvato con la Finanziaria, dei 3.500 beni immobili confiscati ai boss ancora da destinare per finalità istituzionali o sociali in tutta Italia, ben 194 sono quelli nella provincia reggina, di cui 50 solo nella città di Reggio. Tra questi, ad essere oggetto di vendita all’asta ai privati, a leggere il report diffuso da Libera, saranno: un terreno agricolo confiscato al boss Vincenzo Pesce in contrada Seppi a Rosarno, uno stock di appartamenti confiscati ad Antonio Cordì, “u ragiuneri”, in via Benevento e in contrada Calvi a Locri, un appartamento confiscato a Teodoro Crea in via Corta a Rizziconi, una villa con annesso giardino con palmeto confiscata al boss di Castellace Saverio Mammoliti, in contrada Scinà a Palmi. “Davanti a leggi che anche su questi temi rispondono solo a finalità economiche, possiamo restare solo indignati – dice Nasone – Non possiamo rassegnarci a logiche che contrastiamo con la nostra azione quotidiana. I mafiosi staranno festeggiando. Non avranno difficoltà a trovare dei prestanome e rimpossessarsi dei beni di cui, oltretutto, in molti casi sono ancora in possesso”. All’incontro di ieri c’era anche Francesco Spanò, presidente provinciale di Azione giovani che, nel comunicare l’adesione del movimento giovanile di An a Libera, ha tenuto a sottolineare come su un tema come questo “sia impensabile che politica e società civile possano dividersi”. E lancia un allarme: “Ma davvero si intende fare cassa così? Perché, invece, non si accelera l’iter della legge per l’assegnazione dei beni confiscati, i cui bandi vanno deserti?”.
Valorizzare i beni confiscati, accelerando i processi di assegnazione e utilizzo
Milano - Valorizzare i beni confiscati presenti in Lombardia, mettere a sistema ogni informazione utile ad accelerare i processi di...
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