Reggio Calabria. «Recuperare la memoria dell’antimafia calabrese, indagare nel presente e ragionare sul futuro». E’ questa la mission del progetto “Stop ‘ndrangheta”, il primo archivio multimediale e multipiattaforma sulla criminalità organizzata che attraverso documenti, sentenze, video, documentari, giornali, musica ed arte contribuisce alla lotta mafiosa con le armi della conoscenza e della creatività. Occasione per entrare nel vivo della discussione, la presentazione ieri pomeriggio al palazzo della Provincia, del libro di Enrico Fierro e Laura Aprati dal titolo “Malitalia – Storia di mafiosi, eroi e cacciatori». Un racconto a più voci che narra di carnefici e vittime. Dall’ultimo capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, alla prima vittima dei casalesi Salvatore Nuvoletta.; dal paese più povero d’Italia ai boss globali con la prefazione di Franco Di Mare e le conclusioni del Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso. I mafiosi contro gli onesti, i collusi contro chi si oppone. Che la mafia non è più quella delle coppole e delle lupare, ormai è chiaro a tutti; che, invece, si occupa di economia, banche e finanze, e, soprattutto, che condiziona la politica anche questo si sa ormai da un pezzo. La mafia spara sempre meno ma, fa sempre più affari. Che «la mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine», lo diceva il giudice Giovanni Falcone ed oggi lo ripete il procuratore generale di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. «Siamo realisticamente consapevoli –spiega il procuratore – che la ‘ndrangheta è un fenomeno che esiste da centocinquant’anni, non è una guerra che si vince o si perde in un giorno, poiché non può essere considerata come un’emergenza ma, come una caratteristica negativa della nostra società che deve essere affrontata in maniera diretta». Al moderatore dell’incontro, Danilo Chirico che chiede lo «stato di salute della realtà mafiosa calabrese», Pignatone risponde che «gode di ottima salute, ha il solo problema di come investire in maniera illecita i soldi». Il procuratore si sofferma poi sulla situazione criminale del sud Italia, sottolineando che «spesso il modo in cui i media trattano arresti eccellenti in Calabria, che non hanno nulla da meno dei boss siciliani, è indicativo della debolezza nel panorama nazionale di questa regione. Arresti eclatanti, e pensate che solo quest’anno ne abbiamo compiuti 49, i sequestri di cocaina, (in un mese 450 kg), insieme a svariate decine e decine di migliaia di euro,ancora la confisca di 81 beni nell’ultimo anno, sono stati liquidati in poche righe, quando invece avrebbero meritato ben altro risalto, sia per la loro importanza, sia per dare un segnale alla gente». Quella stessa gente che, non era presente ieri eppure, l’occasione si sarebbe prestata ad ampie riflessioni soprattutto in vista del fatto che i protagonisti del libro sono, come sottolinea l’autrice Laura Aprati, «uomini e donne dei nostri giorni, non persone note e neanche i mafiosi per non renderli attori della scena». Ed ancora quella gente che, oggi non partecipa «perché è vero – spiega il capo squadra mobile di Reggio Calabria, Renato Cortese – che quando si cattura qualcuno in Sicilia c’è grande partecipazione, in Calabria ciò non avviene». A sostegno delle parole di Cortese anche quelle del comandante dei Carabinieri del reparto operativo reggino, Carlo Pieroni. «Spesso i cittadini sono diffidenti nei confronti della giustizia, hanno paura di parlare di antistato, criminalità organizzata, di ‘ndrangheta; è fondamentale invece che vi sia una presa di coscienza che non significa “essere infame” o “fare la spia”, ma riconoscersi come uomini di una società civile». Dopo l’intervento dell’assessore provinciale Santo Gioffrè, le conclusioni di Aprati. «Cambiare è difficile ma esiste un’Italia diversa fatta di cose positive che stanno pian piano venendo fuori».
Dominella Trunfio