Cannatà-Fernandes, architetti in mostra al teatro Cilea

Michele Cannatà all'inaugurazione della mostra al teatro Cilea
Michele Cannatà all'inaugurazione della mostra al teatro Cilea

“Abbiamo affrontato l’occasione per esporre i nostri lavori come un momento di riflessione e bilancio di 25 anni di impegno in architettura. Per questa opportunità ci sembra importante ringraziare Francesco Morabito nella sua qualità di presidente dell’Associazione dei giovani architetti della provincia di Reggio Calabria che da qualche anno segue la nostra attività professionale e ha voluto costruire questo momento di divulgazione e di incontro sul tema della  pratica dell’architettura”. Così, Michele Cannatà e Fatima Fernandes, i due architetti che lavorano e insegnano in Portogallo e che quest’anno tagliano il traguardo del quarto di secolo del loro connubio professionale, ringraziano il presidente dell’Agarc, promotore di un ciclo di iniziative, tra Reggio e Polistena (paese natìo di Cannatà) per celebrare l’evento.
Una mostra al teatro “Cilea” aperta fino a domenica, un libro e un premio alla carriera. Il sodalizio presieduto da Franco Morabito non si è fatto sfuggire l’occasione di celebrare in grande stile i 25 anni di attività professionale di quello che viene considerato un punto di riferimento per i giovani architetti del nostro territorio. Legato professionalmente alla collega Fatima Fernandes con cui condivide lo studio di progettazione a Oporto e numerosi progetti e riconoscimenti in giro per il mondo.
“I progetti che abbiamo selezionato per questa pubblicazione tentano di illustrare in forma sintetica alcuni aspetti di quel complesso processo che permette di trasformare una idea in uno spazio nel quale sia possibile vivere e riconoscere la forma e la qualità degli spazi a cui diamo il nome di Architettura – dicono Cannatà e Fernandes – Dovuto al caso ma anche alle origini, in questi anni il nostro lavoro si è svolto tra l’Italia e il Portogallo. Prevalentemente in Calabria e in Trâs- Montes, due regioni marginali di questi due Paesi del Sud d’Europa. Il metodo didattico della Scuola Superiore di Belle Arti di Porto, l’opera degli architetti moderni e contemporanei di Porto (Artur de Andrade, Viana de Lima, Rogério Ramos, Arménio Losa, Fernando Távora , Alvaro Siza, Souto de Moura), le basi teoriche espressi da alcuni interpreti dell’architettura italiana contemporanea (Gregotti, Grassi e Rossi), la lezione dei Maestri (da Palladio a Mies van der Rhoe), le visite e l’osservazione diretta dell’architettura monumentale e anonima sparsa nei territori dei nostri viaggi sono stati i nostri riferimenti costanti nella ricerca progettuale. Fin dall’inizio della nostra attività non abbiamo mai costruito schermi difensivi e giustificativi alla normale difficoltà del fare architettura. Territori socialmente difficili, ambienti culturali impreparati, tecnologie povere, disponibilità economica limitata, ecc. non hanno mai condizionato la concezione di uno spazio negli aspetti specifici dell’architettura. Fare architettura passa necessariamente per la valutazione delle condizioni del progetto. Il committente, la morfologia, la disponibilità economica e i materiali fanno parte degli elementi del complesso processo che dall’idea attraverso il progetto permette la costruzione di uno spazio architettonico. Un processo antico che richiede continuamente di essere ripercorso in ogni progetto. Disponiamo del grande vocabolario della storia dell’architettura e della città che “sfogliamo” in ogni occasione di viaggio o quando semplicemente utilizziamo i luoghi dell’abitare.
In quanto architetti dobbiamo saper guardare perché dobbiamo saper in ogni progetto dare agli stessi elementi le giuste e differenti proporzioni. I primi progetti e lavori realizzati, tra il 1984 e il 1990, sono localizzati nel territorio della Piana di Gioia Tauro e hanno una committenza diversificata: privata, pubblica e cooperativa, dalla ristrutturazione di un appartamento all’ampliamento di un cimitero alla costruzione di alloggi a basso costo. Molti progetti non sono stati realizzati e molti dei progetti realizzati non sono riusciti a mantenere le condizioni del progetto. Una storia comune per molti architetti e che mette in evidenza la differenti condizioni a cui l’architettura in quanto opera materiale è sottoposta alle condizioni mutevoli del tempo, delle stagioni e dell’uso. Se grandi monumenti sono stati spesso distrutti dall’uso improprio o da trasformazioni poco attente ai valori culturali, non potevamo certo sperare che le nostre piccole opere potessero passare immuni la prova del tempo e dei cambiamenti sociali sopratutto nelle forme in cui il potere economico proietta la sua immagine attraverso la modificazione dell’ambiente artificiale”.

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