Operazione Leone. La Polizia spezza la rotta Reggio-India dell’immigrazione clandestina

Conferenza stampa operazione Leone

Reggio Calabria. Dopo oltre due anni di indagini della Squadra Mobile di Reggio Calabria, con la partecipazione del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato ed il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, sono state eseguite questa mattina 56 delle 67 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Gianluca Sarandrea che hanno consentito di disarticolare un’organizzazione criminale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dall’India e dal Pakistan in Europa (il reato contestato è l’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina). Tra gli arrestati figurano tre personaggi affiliati alle cosche Cordì di Locri, e Iamonte di Melito Porto Salvo, nonché tre impiegati della Direzione Provinciale del Lavoro.
Nelle prime ore di questa mattina, a Reggio Calabria, centinaia di uomini della Polizia di Stato hanno tratto in arresto numerosi italiani e stranieri. L’operazione si è svolta anche in altre città italiane quali Milano, Brescia, Cremona, Macerata, Siena, Piacenza e Potenza, con la collaborazione delle locali Squadre Mobili.

Le indagini sono state avviate nel 2007, a seguito dei risultati di un’operazione antimafia coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, che aveva portato all’arresto di taluni esponenti della ben nota cosca Iamonte, egemone in Melito Porto Salvo (RC). L’inchiesta ha dimostrato l’esistenza di una complessa organizzazione criminale, composta da cittadini italiani, alcuni dei quali affiliati alle cosche Cordì, di Locri, e Iamonte, indiani e pakistani, in grado di favorire l’immigrazione clandestina di stranieri dall’India e dal Pakistan in Italia, da dove alcuni di loro si sarebbero poi spostati verso altri Paesi europei.

Il modus operandi è sostanzialmente simile a quello utilizzato da diversi anni dalle organizzazioni criminali straniere, ovvero l’utilizzo di contratti di assunzione fittizi, richiesti da imprenditori compiacenti a favore degli stranieri, che permetteranno loro di richiedere il visto per entrare in Italia ed il conseguente permesso di soggiorno. Tuttavia la peculiarità della presente attività investigativa è quella di aver evidenziato e riscontrato che, nell’ambito dell’immigrazione clandestina, si è completamente inserita anche l’egida della criminalità organizzata locale, che, fino a tempi recenti, aveva solo solo sopportato e/o sfruttato questo settore, al fine, ad esempio, di reperire mano d’opera in nero o pusher a buon mercato.
Durante questi anni, evidentemente, la notizia degli immensi guadagni che si possono ottenere dai migranti è giunta negli ambienti delle più note consorterie criminali, che hanno deciso di approfittarne, anche a fronte del relativamente modesto impiego di risorse umane ed economiche, e della bassissima percezione di pericolosità.
Del resto la criminalità organizzata ha sempre rivelato una propensione a inglobare – nel proprio raggio d’azione – luoghi, affari, e relazioni in grado di rafforzare la propria egemonia ed ha dato l’ennesima dimostrazione di capacità di diversificazione, ben intuendo quale imponente flusso – oltre che di immigrati – di denaro fosse possibile intercettare, speculando sull’aspirazione di diseredati in cerca di condizioni di vita e lavorative accettabili.

Nel corso dell’intera attività investigativa, condotta dagli investigatori della Seconda sezione della Squadra Mobile reggina, diretta dal commissario capo Angela Rogges con il coordinamento del primo dirigente Renato Cortese, e con l’ausilio dello Sco, con ampio ricorso ad indagini tecniche, è stato possibile individuare l’esistenza di un’organizzazione criminale di etnia indiana e pakistana ben strutturata e radicata sul territorio calabrese, con collegamenti in altre città italiane, gli introiti della quale erano divenuti appetibili anche per la criminalità organizzata locale, che si è affacciata così in contesti criminali fino ad ora solo tollerati ma non di interesse, ma che, evidentemente, data la crescita esponenziale dei guadagni illeciti ricavati, necessitavano di essere controllati “dall’interno”.
Il sodalizio criminale, dedito a favorire l’immigrazione clandestina, proveniente dall’India e dal Pakistan, e la successiva permanenza sul territorio nazionale, agiva con il seguente modus operandi: i cittadini stranieri, dai Paesi di origine, contattavano gli organizzatori, connazionali presenti sul territorio italiano anche da diversi anni, i quali, a fronte di un anticipo dell’ingente somma richiesta, consegnavano la fotocopia dei loro documenti agli imprenditori compiacenti. Questi ultimi richiedevano, a favore degli stranieri, il nulla osta per l’avvio al lavoro presso le loro aziende, attività che non sarà poi, in realtà, espletata dagli stessi, poiché rappresentava solo un pretesto per richiedere il permesso di soggiorno. Molti imprenditori, difatti, preparavano anticipatamente anche le lettere di licenziamento, che gli stranieri provvedevano a far firmare, consapevoli che tutto ciò rientrava nell’illecita “procedura” architettata per far giungere sul territorio nazionale centinaia e centinaia di immigrati, che, quindi, si ritrovavano senza un reale impiego lavorativo.

La richiesta di pagamento per i “servizi” resi ai connazionali, che variava dai 10.000 ai 18.000 euro per ogni migrante, comprendeva l’acquisizione dei nulla osta lavorativi, il pagamento degli imprenditori compiacenti, il biglietto aereo per giungere in Italia e la sistemazione sul territorio. Nel periodo preso in esame è stato stimato un introito illecito di oltre 6 milioni di euro.
Dall’attività investigativa è emerso che i migranti si indebitavano in maniera notevole o vendevano tutti i loro beni per far fronte alle ingenti richieste di denaro degli organizzatori, che spesso provvedevano ad acquistare le loro proprietà o i terreni posseduti. A questo articolato modus operandi si aggiungeva anche un’altra attività criminosa di più semplice esecuzione: la vendita di nulla osta, di persone non più interessate a rimanere in Italia o decedute, ad altri connazionali, che è stata ampiamente riscontrata.
L’indagine, coordinata dal Procuratore Capo della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, è stata seguita congiuntamente dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Reggio Calabria – DDA Antonio De Bernardo e Marco Colamonici.

I 67 soggetti destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere:

(ELENCO RIMOSSO PER DIRITTO OBLIO)

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