Operazione Sessè. Rom ‘integrati’ con la ‘ndrangheta per rifornire di coca i giovani di buona famiglia

Reggio Calabria. Dalle investigazioni sfociate nell’operazione Sessè, la brillante operazione condotta oggi dai carabinieri del Gruppo Locri e dai militari della Compagnia di Roccella Jonica, con il coordinamento del comandante provinciale colonello Pasquale Angelosanto, emerge uno spaccato desolante del mondo giovanile della piccola provincia. Tantissimi, anche insospettabili, i giovani che nel weekend fanno uso di cocaina, tra loro anche i rampolli di famiglie per bene.
A rifornire di coca gli acquirenti c’è una banda di spacciatori, che non si fa più nemmeno scrupolo di eseguire l’illecita compravendita perfino a domicilio. E per mantenere lo “spasso” ai tanti giovani annoiati della sonnacchiosa vita di provincia, era sorta una banda di spacciatori, tra cui figuravano parecchi esponenti della comunità rom stanziata a Marina di Gioiosa Jonica, che secondo gli inquirenti si era ‘integrata’ con elementi della criminalità organizzata. In particolare, almeno in un caso, gli inquirenti si dicono certi che l’uomo fosse ‘vicino’ alla criminalità organizzata locale. Intrecci tra rom e ‘ndrangheta su cui farà luce il prosieguo delle indagini.

I particolari dell’operazione, diretta dall’Ufficio di Procura di Locri, sono stati illustrati questo pomeriggio presso il Comando provinciale di Reggio Calabria, dal procuratore di Locri Giuseppe Carbone, alla presenza del comandante del Reparto operativo del Comando provinciale, colonnello Carlo Pieroni, del comandante del Gruppo Locri, tenente colonnello Valerio Giardina, del comandante del Nucleo investigativo dello stesso Gruppo, maggiore Alessandro Mucci, del comandante della Compagnia di Roccella Jonica, capitano Vincenzo Giglio, coadiuvato nelle investigazioni dal tenente Giovanni Orlando.
«Le risultanze investigative – ha spiegato il procuratore Carbone – hanno svelato la sussistenza nel territorio di Gioiosa e Marina di Gioiosa Jonica di una fitta rete di soggetti dediti allo spaccio di sostanza stupefacente. Non vi è dubbio in ordine alla circostanza che dal complesso probatorio si delinea uno scenario criminale caratterizzato da una pluralità di soggetti dediti allo spaccio. Si tratta – ha proseguito Carbone – per lo più di giovani nullafacenti che per trovare un facile guadagno si sono adoperati per reperire e poi smerciare sostanza stupefacente così come emerge dalle indagini, individuando di volta in volta il fornitore e poi acquisendo sostanza non facendosi scrupolo di consegnarla al domicilio dei destinatari. Non esitavano a contattare i fornitori, e poi a loro volta contattati dai richiedenti fornivano loro a domicilio la droga. I pagamenti avvenivano contestualmente alla consegna».
In un caso, addirittura, il tossicodipendente consegnava nelle mani del pusher la sua carta bancomat, ed evidentemente anche il codice pin, in modo che lo spacciatore effettuasse da sé il prelievo del denaro pattuito per l’acquisto della cocaina. Quest’ultimo, dopo avere effettuato il prelievo, avvertiva il tossicodipendente dell’avvenuta transazione, riconsegnando al cliente il bancomat, e la cocaina. Indubbiamente, un ‘onesto’ spacciatore.

Fabio Papalia

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