Reggio Calabria. L’ inizio della distribuzione in Italia della cosiddetta pillola abortiva, denominata R.U. 486, ha provocato tra i neo governatori regionali reazioni oltranziste e posizioni più moderate tendenti comunque a garantire l’utilizzo del farmaco solo in strutture ospedaliere, evidenziando l’esigenza di controlli estremamente rigorosi. Non v’è dubbio che tale farmaco, abbia determinato sin dalle fasi iniziali, lacerazioni profonde nella società e fra le istituzioni religiose ma anche tra i massimi esponenti del mondo scientifico. Ciò nella consapevolezza che una sua eventuale commercializzazione avrebbe inevitabilmente avuto ripercussioni socio – sanitarie tali da assumere la valenza di scenari estremamente inquietanti, intaccando pesantemente valori e principi posti a fondamento del diritto alla vita e del diritto alla tutela della salute. Un farmaco destinato comunque a determinare sensibili mutamenti tra uomo e donna, ponendo nel contempo, serie implicazioni sociali, sanitarie, giuridiche e antropologiche. La stessa Commissione Igiene e Sanità del Senato a suo tempo svolse un’indagine conoscitiva, votando, a conclusione dei lavori, contro l’immissione in commercio della pillola Ru 486 in Italia, malgrado il via libera dell’Agenzia del Farmaco (AIFA), ritenendo necessarie ulteriori istruttorie al fine di evidenziare i lati oscuri della Ru 486 e i suoi margini di compatibilità con la legge 194/78, oltre all’esigenza di fare chiarezza su un farmaco che ha provocato già tante morti in Europa. Vi è infatti il pericolo che la Ru 486 possa essere utilizzata come uno strumento per scardinare la legge 194/78 e che la sua commercializzazione ed il suo utilizzo avvengano senza le indispensabili garanzie affinchè “il metodo chimico” sia sicuro al pari del metodo chirurgico. Prima dell’introduzione del farmaco l’allora Ministro della Salute Sacconi, prendendo atto del parere della Commissione si era rivolto all’AIFA dichiarando che la Ru 486 poteva essere utilizzata solo in ambito ospedaliero .
Ma il punto nodale in questo caso, riguarda l’intera procedura abortiva, che fino all’accertamento dell’avvenuta espulsione dell’embrione, deve obbligatoriamente essere effettuata in regime di ricovero ordinario. E’ evidente che ciò implica tutta una serie di problematiche a cui dover necessariamente fornire soluzioni adeguate: il personale sanitario sarà chiamato a svolgere un’attività volta alla corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi del metodo, in particolare relativi all’eventuale richiesta di dimissioni anticipate del paziente. Personale sanitario che sarà tenuto ad attuare nella fattispecie una rigorosa sorveglianza.
Alla luce di tali decisioni e della situazione del sistema sanitario calabrese avevo ritenuto necessario presentare in data 11/08/2010 una Mozione, n. prot. 1984 avente come oggetto la richiesta di sospensione temporanea dell’ utilizzo del farmaco R.U.486 e la necessità di fare chiarezza sugli effetti farmacologici in Calabria, sulle controindicazioni dello stesso, anche alla stregua dell’esperienza degli altri Paesi, nelle more della definizione di un’indispensabile normativa regionale. Mozione che naturalmente è rimasta “in giacenza” stante l’atteggiamento chiaramente elusivo dell’allora governo regionale di centrosinistra. Una Mozione che intenderò riproporre nell’immediato avvio della IX Legislatura. Studi approfonditi hanno accertato una serie di effetti collaterali estremamente dannosi per la salute della donna, sino a determinare, come purtroppo è stato comunicato dalla stessa azienda produttrice, la francese Exelgyn, numerosi casi di decessi dovuti all’uso della R.U. 486. Si parla di numerosi decessi registrati anche in Italia e nella nostra Regione. Tanto che negli Stati Uniti il governo ha ordinato di contrassegnare le confezioni del farmaco con una banda nera, evidenziando che trattasi di un farmaco altamente letale per il benessere umano. Autorizzare l’uso di un concentrato chimico dagli effetti a dir poco devastanti e senza alcuna certezza scientifica circa le possibili conseguenze sulla salute, impone a mio avviso l’esigenza prioritaria di adottare i provvedimenti necessari per limitare l’incidenza negativa nella già complessa realtà sociale e sanitaria della nostra Nazione e della nostra Regione, esaltando nel contempo, la difesa della vita umana mediante il recupero di una nuova antropologia che veda l’Uomo al centro delle politiche sociali dal concepimento sino alla morte.
On. Giovanni Nucera Consigliere Regionale del PdL Regione Calabria