di Tonino Nocera
Reggio Calabria. Antisemitismo mascherato da antisionismo; servizi segreti italiani; minacce di morte da parte di misteriosi gruppi terroristici e – last but not least – la forte attrazione tra un uomo e una donna che (per caso?) si incontrano. Poi la passione: rapida, intensa e viscerale sfuma con la stessa rapidità con cui è esplosa. Questo è il mix di Le Viscere della Libertà del reggino Domenico Romeo, Arduino Sacco Editore. Tutti questi elementi sono ben amalgamati e il libro si gusta come un gradevole cocktail preparato da un barman esperto. Domenico Romeo padroneggia bene le fonti storiche e il contesto mediorientale con l’eterno gioco di specchi e ombre. Nel libro un ruolo fondamentale lo svolgono gli uomini: l’humint troppo frettolosamente accantonata. Gli eventi degli ultimi anni hanno dimostrato, invece, che è fondamentale. Ma parliamone direttamente con l’autore.
È interessante il concetto di viscere che ricorre spesso nel libro.
Le viscere rappresentano la parte più interna del nostro corpo, dove si metabolizza e da dove parte idealmente ogni nostra pulsione. Della ‘libertà’ appunto, perché la pulsione naturale, forte, contro ogni oppressione dell’uomo sull’uomo nasce dalla parte più interna e libera che in modo irrefrenabile ci spinge a spezzare barriere ancestrali. Ricordo una frase che Oriana Fallaci ha lasciato come testamento morale: “La libertà, prima di essere di un diritto, è un dovere”.
Il libro è dedicato a Neda, martire della libertà, uccisa il 26 giugno 2009 a Teheran. Quanti sono oggi i martiri della libertà? E la protagonista Gioela, non è anche lei una vittima di falsi miti?
Non potevo non dedicare l’opera a Neda per tanti motivi. Innanzitutto perché il romanzo stava per essere sottoposto alla prima revisione delle bozze dalla casa editrice Arduino Sacco, proprio quando la giovane donna veniva trucidata e le sue immagini agghiaccianti facevano il giro del mondo nonostante la censura dei media iraniani. In secondo luogo perché all’interno del romanzo – si può riscontrare benissimo – c’è molto dell’Iran di oggi, con atti, documentazioni, propositi di strategie politiche che dai servizi segreti al loro leader Ahmadinejad si allineano in quello che nel romanzo sono definite le ideologie del crimine. Originariamente, questo termine fu coniato da Papa Wojtyla, il quale qualche anno prima di morire fece un inciso su quelle che lui definiva le ideologie del male. Difatti all’interno dell’opera i personaggi dei servizi si trovano a dovere discutere anche sulla figura di Giovanni Paolo II. Oggi i martiri della libertà sono tantissimi, spesso restano anonimi oppure oscurati, altri invece trovano spazio e il loro esempio diventa mito. Per quanto riguarda Gioela, è la raffigurazione della donna che avvolta dal turbine dell’esaltazione ideologica, cerca di dare un senso al proprio io, alla propria vita, addentrandosi fino alla catarsi della psico-ideologia criminale. Tanto è vero che per realizzare il suo credo ideologico, nato da un viaggio in Medio Oriente, frequenta i campi di addestramento dell’Intifada e arriva al punto di cercare l’infibulazione. Senz’altro una rappresentazione di falsi miti come sostiene lei e di strumentalizzazioni ideologiche suffragate da metodologie di psicologie ad hoc.
Nel corso della storia dell’umanità abbiamo assistito al crollo di tante dittature, che personalmente reputo contro natura. Altri popoli ancora soffrono: forse le loro viscere non si sono ancora messe in movimento?
Anche io considero le tirannie contro natura, ma, da ricercatore forense e da studioso di settore, ho riscontrato che molte volte un popolo ha il governo che si merita. Le tirannie, spesso sono la punta dell’iceberg, l’espressione ultima della natura di fondo di un popolo. In determinate zone del mondo, ciò che noi consideriamo tirannia, è invece considerata espressione di autodeterminazione di quello stesso popolo. È un discorso complesso. La libertà è una ricerca individuale sortita da una miscela di individualismi e organicità che spesso esulano dall’oggettività e diventano scelte soggettive. Quando le viscere della libertà di un popolo ribolliscono ed esplodono violentemente, vuol dire che all’interno di quegli stessi popoli, di quelle forme individuali pensanti che nel complesso formano l’organicità di un insieme chiamata nazione o Stato, si è creata una coscienza civile matura, forte, condivisa, che esplode in maniera direttamente proporzionale a come essa era stata calpestata. È una logica connaturata all’uomo che affonda le sue radici nelle difformità sociologiche dei popoli del mondo.
Nel libro cita i Protocolli dei Savi Anziani di Sion e uno studio negazionista. Che ruolo giocano i documenti falsi, spacciati per buoni, nella guerra propagandistica?
I Protocolli dei Savi anziani di Sion, documenti realmente esistenti, rappresentano quello che si potrebbe inquadrare nel ‘concetto di falso documentale storico’. I personaggi delle intelligence e non, nella ricerca estrema della verità si imbattono in tale documento prodotto dalla polizia zarista che attribuiva a 72 vecchi giudei un programma per conquistare le coscienze e il capitale mondiale attraverso: materialismo, concretizzazione del comunismo, relativismo. Gli studiosi hanno poi confermato la falsità di tali documenti, costruiti ad arte al fine di creare odio etnico all’interno della Russia. Ma sono un esempio di come, sia nei regimi sia negli Stati democratici, il falso storico misuri il termometro delle psicologie di massa, fino al punto di orientarle e indirizzarle in ambiti richiesti dalle lobby di potere interessate alla conservazione e all’acquisizione dello status quo. Nel romanzo c’è anche un ulteriore documento controverso e realmente esistente: il Rapporto Leucheter stilato da forensi della biologia che sminuiscono l’utilizzo delle camere a gas nei campi nazisti. L’ultimo messaggio che vuole lanciare il romanzo è l’uso strumentale e criminale della scienza al servizio del negazionismo inteso sempre come ideologia del male. E non solo la scienza, ma anche le intelligence giocano un ruolo determinante. Lei prima ha parlato di humint, e ha centrato la teoresi, poiché nel campo delle psicologie di massa, incentrate nell’ambito di odi etnici, sociologici e religiosi, l’humint rappresenta il collante inevitabile che serve al potere per orientare le masse, muovendole fra l’oscurantismo e la verità deviata.