di Fabio Papalia
Reggio Calabria. Bomba alla Procura Generale e contro esercizi commerciali, incendi dolosi di autovetture, tagli di alberi di ulivo, spari contro le saracinesche dei negozi. Episodi piccoli e grandi di criminalità di cui ci siamo occupati nel corso di più di anno di vita di Newz.
«I danneggiamenti, particolarmente mediante l’impiego di materie esplodenti, gli incendi dolosi, i tagli di piante, gli spari a scopo intimidatorio, continuano purtroppo a occupare la cronaca nera della nostra provincia, malgrado l’intensa opera svolta – specie in questi ultimi tempi – sia nel settore repressivo, con l’arresto di numerosi latitanti, sia nel campo preventivo…». Così il Questore di Reggio Calabria; le parole, però, non sono dell’attuale inquilino del secondo piano della Questura, bensì di chi l’ha preceduto, molto tempo fa: il Questore Emilio Santillo, in un’intervista rilasciata a Luigi Malafarina per Gazzetta del Sud nel giugno 1969.
A oltre 40 anni di distanza, rimangono parole di lucida attualità. Posto che nell’arco di quattro decenni si sono succeduti in Italia governi di diverso colore politico, e che quindi non si tratta di una colpa da accollare semplicisticamente al governo, e posto che, come abbiamo avuto modo di testimoniare nelle nostre cronache, l’impegno delle forze di polizia e della magistratura è sempre di primo livello, c’è da ritenere che immutato sia rimasto invece l’alto tasso di inciviltà di chi popola questa terra, e precisamente di chi rappresenta una minoranza dei tanti calabresi onesti, seppure in grado di influenzare negativamente la qualità della vita di tutti gli altri.
«Ad una prima lettura potrebbe sembrare che nulla è cambiato in 40 anni – commenta il Questore Carmelo Casabona – i fatti narrati da Santillo sono tuttora attuali, perché la crescita culturale di una frangia della popolazione è cambiata in maniera impercettibile. Rispetto a quegli anni, però, c’è da registrare che oggi, a differenza di allora, qualcuno si rivolge al 113, e quando il cittadino chiama la Polizia la risposta c’è ed è testimoniata dai tanti episodi di arresto in flagranza di reato eseguiti dalle Volanti. Ciò è il segnale tangibile che c’è oggi una maggiore fiducia verso lo Stato, c’è in atto un fenomeno di lenta crescita, un vagito di coscienza civile anche in quella parte della popolazione che finora è rimasta più distante dalle istituzioni».
In una provincia dove ancora sono parecchi i “sordi” ai richiami alla legalità, è arrivato un Questore che forse più dei suoi predecessori ha assorbito e messo in atto l’insegnamento di Corrado Alvaro, che “i calabresi vogliono essere parlati”. Sarà perché la Calabria è vicina alla “sua” Sicilia, sarà per le sue doti umane, sta di fatto che il Questore Casabona ha dimostrato di amare questa terra e questo popolo, come quando ha scosso le coscienze dei reggini, in occasione degli applausi di amici e parenti al latitante Giovanni Tegano. Un intervento, il suo, che non celava interessi politici o fini speculativi, se non l’amore verso una terra, oltraggiata dagli applausi verso il boss.
«La mia sottolineatura era oggettiva, c’è stata una massa di persone che erano la claque di Tegano, composta da familiari, adepti, curiosi. Certamente non era la società civile della città. Colpisce comunque che la claque arrivi a questo punto. Una sorta di irriverenza espressa alla luce del sole, senza alcun pudore. Hanno manifestato apertamente la solidarietà al loro capo. Ecco perché non ho voluto che passasse inosservato, non per rimarcare l’indifferenza del reggino, ma per farlo ragionare, si deve riappropriare della sua città».
Eppure, se la stessa sera la società civile si è stretta, per la prima volta, attorno alla Questura per applaudire l’operato delle Forze dell’Ordine, lo si deve proprio alle parole del Questore, che ha “parlato” al cuore dei reggini risvegliandone la voglia di manifestare per la legalità.
«Ancora qui non c’è la consapevolezza totale di manifestare in occasioni del genere, l’arresto di un capo della guerra di mafia, una guerra che ha fatto 600 morti, doveva essere vista come una liberazione da una cappa che viene meno. Manca ancora poco per giungere alla piena consapevolezza del proprio ruolo, della propria coscienza di legittimità sociale. Un passo che è stato già compiuto dall’altra parte dello Stretto, quando la società civile siciliana si è sostituita alla claque, che pure c’era. Nell’82 a Palermo quando c’era qualche arresto la claque veniva tutta lì a insultare la Polizia e applaudire i propri adepti. Tutto ciò si è rotto quando è stato ucciso il generale Dalla Chiesa. Quel truce omicidio ha fatto scuotere le coscienze dei palermitani, da lì è nata l’inversione, lenta, culturale».
Cosa si augura per questa terra?
«Poco tempo fa è stato danneggiato l’albero di Falcone, i siciliani hanno reagito, hanno rimesso i messaggi. Mi auguro questo stesso atteggiamento anche qui. I reggini stanno tentando di farlo, la città è stanca di essere condizionata dalla ‘ndrangheta. Sto cercando di aiutare la maggioranza, i tantissimi reggini onesti, a esprimersi apertamente senza se e senza ma a favore della legalità e contro la prevaricazione della mafia, perché con la ‘ndrangheta non c’è sviluppo, né economico né culturale. Oggi la città respira una miscela positiva, vi è una magistratura attenta, le forze dell’ordine sono presenti, se possiamo contare sulla popolazione e sulle associazioni penso che potremo fare in poco tempo passi da giganti».