Reggio Calabria. Quando a metà degli anni ’70 varcai la soglia dello IUSA di Reggio Calabria non pensavo proprio di poter mai scrivere una lettera aperta, come questa, indirizzata alla comunità reggina. Tanti anni trascorsi, tra la formazione universitaria qui e negli USA, la scelta di voler tornare per restare in un ateneo del mio Sud, mi ha consentito di essere un professore della Mediterranea. Oggi mi metto in gioco all’interno di una comunità universitaria e non solo. Una comunità cittadina più ampia in cui sono cresciuta condividendo percorsi non solo accademici, ma anche di relazioni, di amicizia, di lavoro, di vita vissuta. Oggi è arrivato il momento di presentare la mia candidatura a Rettore della Mediterranea e contestualmente illustrare il programma. La singolare coincidenza della data di votazione con il giorno del mio compleanno mi obbliga a fare un bilancio complesso del mio percorso di vita. Un bilancio personale che in questi giorni si è misurato con quello di tutti i colleghi che ho incontrato, con gli studenti, con il personale che conosco da quando “eravamo ragazzi”. Ripenso alla mia vita da studente e da docente come ad un intreccio inevitabile con la vita di questo Ateneo e di questa città, ma anche alla mia privata.
Credo che sia tempo di svelarsi, di cambiare e di rinnovare con la forza dell’entusiasmo di poter dare, di potere e volere fare. Tempo di essere generosi con noi e tra di noi. Le ragioni della mia candidatura muovono dalla necessità di proporre al nostro Ateneo una modalità di gestione e di politica accademica diversa, in una realtà universitaria in cui le condizioni di crisi impongono scelte radicali, in un territorio che necessita di un modello di sviluppo nuovo e coeso. Il salto generazionale, che ormai siamo in grado di esprimere, rappresenta un processo strutturale della società, della politica e anche della nostra università, non costituisce una mera questione anagrafica, ma una visione del futuro, un diverso approccio politico, una aspettativa e un entusiasmo per tutti coloro che hanno ancora un lungo percorso da compiere alla Mediterranea, oltre che per i giovani calabresi. Credo sia giunto il tempo di un bilancio di responsabilità tra chi andrà via tra qualche anno e chi resterà almeno per altri 15-20 anni. Credo che voler costringere una generazione di cinquantenni indifferentemente distribuiti tra posizioni e ruoli accademici, a restare, oggi, fuori gioco nella dimostrazione di saper fare, sia una grande perdita di valore in termini di risorse umane e capacità. Questo è uno dei motivi che mi induce ad essere presente in questa disputa elettorale di idee, di programmi, di decisione a scommettere. E’ giunto il tempo di osare. Bisogna osare non soltanto candidandosi, ma scegliendo il programma da votare, vincendo il torpore che a tratti si avverte o meglio quella sorta di sfiducia che condurrebbe all’inevitabile declino. Come se tutto fosse stabilito da un destino senza alcun libero arbitrio.
La mia sfida non è un triplo salto mortale nel buio, la mia sfida è proposizione di idee, di impegno, di confronto serrato con tutti coloro che ho potuto contattare e raggiungere, dedicando loro e loro a me il tempo necessario per capire, per comprenderci, il tempo di esplicare compiutamente il progetto realizzabile per ricostituire una rinnovata Università. Ho puntato sulle persone, su tutte quelle persone che rendono un’università, l’Università. In questa mia lettera aperta non credo di dover raccontare il mio percorso scientifico e accademico o le mie capacità di direzione e gestione, questo aspetto lo affido al mio curriculum. Penso invece di illustrare i perché e le motivazioni che mi spingono a presentare la candidatura. Sarà un rettorato difficile per chiunque, motivo per il quale occorrono passione, amore per l’università e tanto coraggio. Questi sentimenti possono spiegare le ragioni della mia candidatura. In ogni caso vi è la consapevolezza ineludibile di dover operare in un quadro di maggiori ristrettezze rispetto al passato. Penso che l’Ateneo Reggino debba ridefinire la propria carta d’identità. Debba andare ad un deciso rinnovamento con coraggio; debba esprimere passione etica e operativa, trasparenza e legalità, debba rappresentare un nuovo modello di democrazia istituzionale, deve lanciare un messaggio di dinamismo, di appartenenza, di creatività.
Come ho espresso nel mio programma, tra le varie idee, oltre ad un tavolo permanente di confronto ed elaborazione di ulteriori proposte- nella logica multidimensionale degli interventi per il rilancio della Mediterranea secondo tre target temporali- penso anche alla creazione di nuovi centri di sperimentazione strettamente correlati allo sviluppo territoriale oltre che alla ricerca internazionale (come ad esempio, il centro direzionale dei flussi e delle comunicazioni del Mediterraneo, il centro sulla sismica e difesa del suolo, quello sulle biotecnologie e sicurezza del comparto agro-alimentare, sulla ricerca innovativa per i materiali sostenibili, nanotecnologie e materiali per il risparmio energetico, e altro ancora). L’Università che dobbiamo costruire è un’Università da ricondurre ad investimento di sistema per rilanciare l’insieme territoriale e regionale. Il presente ed il futuro del nostro Ateneo deve vederci protagonisti nella costruzione condivisa di un nuovo progetto culturale che sia in grado di rispondere in modo incisivo alla domanda di crescita economica e civile di queste Terre, di assicurare ai giovani un futuro meno incerto e precario, di trasmettere valori e insegnamenti morali. Occorre mettere a confronto esperienze diverse, per verificare ipotesi e punti di vista; ma non solo. Assumere decisioni importanti che, pur nel rispetto delle autonomie e delle competenze di ognuno, sono destinate a incidere in modo profondo sul futuro di tutti.
I sacrifici che siamo chiamati a sostenere, devono farci intravedere un futuro di rilancio e di riposizionamento alto dell’Ateneo anche in quadri di mutamento geopolitico considerate le chances che la città ci propone di condividere. La sfida che viene lanciata, all’università, alla società, alle sue istituzioni è tale che dalle risposte che sapremo o non sapremo dare, dalla nostra capacità e volontà di superare divisioni e incomprensioni antiche, dall’impegno convinto nel sentirci tutti partecipi di uno stesso destino, dipenderanno non tanto le prospettive di sviluppo di questa o quella Facoltà o del restailing dei dipartimenti, ma le sorti dell’Ateneo e dell’intera comunità accademica e non. Il mio/nostro futuro appartiene a queste scelte: ecco perché oso con coraggio mettermi in gioco. L’articolazione del programma a cui rimando, assume come propria sia una politica partecipata e di confronto, che di comportamento, oltre alle modalità con cui si intende avviare un processo di rinnovamento. L’Università va considerata come un investimento per rafforzare la Mediterranea nel territorio e nel contesto Europeo e Mediterraneo, nel sistema delle “intelligenze territoriali”. Dobbiamo investire in un progetto correlato con l’intercettazione della domanda scientifica internazionale che produca trasformazione territoriale e strutturale nella società.
Un’Università sede di eccellenze da caratterizzare rispetto agli studi di punta, alla ricerca, al trasferimento tecnologico, aperta al territorio quale principale riferimento per la formazione universitaria, per la specializzazione di alto livello, per la nuova dirigenza culturale e per l’aggiornamento della classe dirigente e imprenditoriale attraverso un dialogo aperto con tutti i settori tecnici, economici, giurisprudenziali, con il mercato del lavoro e con le professioni. Un’Università che si propone come incubatore di innovazione e sperimentazione, come sede di eccellenza per la crescita complessiva della regione. Senza confini, più moderna, più efficiente, più aperta al territorio, alla società e al mercato, più transdisciplinare, e più propensa all’autocritica, versatile e sensibile ad avviare nuove possibili sinergie. Una Mediterranea pronta a trasformarsi per diventare virtuosa, una Mediterranea al cambio gestionale generazionale, ma non soltanto in termini anagrafici, bensì in termini di modus operandi. Il quadro di riferimento del passato e’ intensamente mutato, oserei dire, stravolto. Dal sistema universitario nazionale siamo passati, prima, a un sistema delle autonomie degli Atenei e ora a un modello dove ciascuna struttura universitaria dovrà dimostrare la propria competitività sulla base delle risposte fornite, ma sarebbe meglio dire delle sentenze emesse dal mercato. In questo quadro, il ruolo dello Stato sarà sempre più marginale per quanto attiene gli indirizzi di politica culturale, l’attuazione dei piani di sviluppo dei singoli Atenei, ma soprattutto in materia di erogazione delle risorse finanziarie.
Le università sono collocate sul mercato nel senso più ampio del termine. Sarà infatti la risposta del mercato del lavoro ai livelli di professionalità e di conoscenza dei nostri giovani laureati a decretare, in ultima analisi, il valore delle nostre scelte, la qualità del nostro lavoro, la nostra stessa ragion d’essere. Ma nello stesso tempo, l’università deve reperire sul mercato le risorse finanziarie che le consentano di assicurare una crescita equilibrata e tale da migliorare la qualità della formazione. Non c’è più tempo per schermaglie dialettiche, per impegni generici, per promesse che forse qualcosa si farà, per accuse reciproche o peggio per vecchi risentimenti. Per quanto mi riguarda assumo l’impegno solenne di prodigarmi fino in fondo, di abbandonare vecchie logiche accademiche, di costruire e verificare le nostre scelte rispetto alle attese e alle esigenze di crescita culturale, sociale ed economica della Calabria e di questa parte d’Italia. Con altrettanta solennità e chiarezza di intenti, tutti noi abbiamo bisogno di sapere, dagli autorevoli rappresentanti delle Istituzioni, del Governo della Regione, della Provincia, della Città, a quale Università pensano per la Calabria, per le genti e i giovani calabresi e, soprattutto, quale ruolo essi intendono riconoscere al nostro Ateneo in funzione dello sviluppo della Regione.
Non vorrei essere fraintesa. Questo non è un appello agli amministratori, ai responsabili della cosa pubblica a manifestare una maggiore generosità verso l’Università nel momento in cui si assegnano le cifre alle varie poste del bilancio. Stiamo parlando di un mutamento di metodo, di atteggiamento, di una nuova cultura di governo. O sentiamo davvero che l’Università, quale luogo di alta formazione e di ricerca scientifica qualificata, è un bene di tutti, è un patrimonio dell’intera comunità civile; o crediamo che sia giunto il momento di mettere da parte contrasti, localismi, rivendicazioni spicciole per partecipare insieme a un grande progetto per l’università di oggi e del prossimo futuro; oppure, se mancherà questa convinzione profonda, se verrà meno l’entusiasmo e la fiducia per una grande, nuova scommessa, se non sapremo ispirare i nostri comportamenti a una mentalità e a metodo nuovi, l’università dovrà sì rassegnarsi a un futuro grigio, ma la Calabria dovrà rinviare la sfida della modernità, ridimensionare drasticamente le proprie ambizioni di rinascita e di riscatto economico e sociale. Questa sfida si perde o si vince tutti insieme.
Prof.arch. Francesca Moraci
Ordinario di Urbanistica, Phd
Direttore del Dipartimento di Scienze Ambientali e Territoriali-DSAT
Università Mediterranea