Cinquefrondi. Lavoro nero e sfruttamento migranti: imprenditore agricolo arrestato, sequestrati i terreni

Cinquefrondi (Reggio Calabria). All’alba di oggi i Carabinieri della Stazione di Cinquefrondi e della Compagnia di Taurianova, diretta dal capitano Raffaele Rivola, hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di Rocco Damiano Sorbara, un 54enne imprenditore agricolo di Cinquefrondi, accusato di aver commesso molteplici trasgressioni alla normativa in materia di immigrazione. Vittime sono alcuni extracomunitari che, secondo le risultanze dell’Arma, in spregio a qualsiasi norma e, soprattutto, a qualsiasi forma di rispetto per la vita e la dignità umana, venivano alloggiati in condizioni al limite della sopravvivenza ed in totale assenza delle più basilari condizioni igieniche, per poi essere impiegati con orari e ritmi massacranti nei campi. Il tutto per un compenso appena sufficiente a comprare qualcosa da mangiare.

Genesi dell’indagine.
L’indagine, rapidissima, si è sviluppata nel giro di appena un mese, grazie alla particolare determinazione nel contrasto allo sfruttamento dell’immigrazione adottata da parte della Procura della Repubblica, diretta dal Procuratore Giuseppe Creazzo, e dal Tribunale di Palmi.
La vicenda ha avuto origine nei primi giorni dello scorso mese di maggio, allorquando quattro immigrati centrafricani, due del Mali, un ivoriano ed un senegalese, fattisi coraggio, hanno deciso di denunciare i soprusi cui erano sottoposti. In un mattino piovoso, all’alba, si sono quindi determinati a bussare alla porta della caserma dei Carabinieri di Cinquefrondi, dove i militari li hanno accolti e, vedendoli affamati, hanno offerto loro qualcosa da mangiare.
Incoraggiati, gli africani, hanno raccontato la loro storia, a cominciare dal momento in cui, clandestinamente, sono giunti in Italia, rischiando di morire annegati su uno dei numerosi “barconi della speranza” partiti dal Nordafrica. Dopo essere passati da Siracusa sono giunti in Calabria, dove qualcuno li ha indirizzati nella zona del rosarnese, prospettando buone possibilità di lavoro.
Giunti a Rosarno, tuttavia, si sono trovati di fronte ai gravi scontri di gennaio e, come molti altri stranieri nelle loro condizioni, hanno deciso di allontanarsi dalla cittadina teatro della rivolta per cercare lavoro negli aranceti delle altre zone della Piana. A Cinquefrondi è bastato loro camminare per le vie del centro cittadino per essere quasi subito fermati dal “caporale” ed invitati a lavorare per lui.
Subito la realtà si è dimostrata ben più difficile del previsto per i quattro immigrati, che venivano costretti a vivere in un tugurio diroccato e che, spesso, non venivano nemmeno pagati. Tuttavia, continuavano a lavorare, sperando che, un giorno sarebbero stati compensati di tutto il lavoro prestato.

Sviluppo delle indagini.
I militari, una volta verbalizzate le dichiarazioni, ed avuto un quadro completo della vicenda, si sono recati presso l’azienda agricola di proprietà, e gestita, dell’imprenditore agricolo indagato, effettuando gli opportuni accertamenti per riscontrare la veridicità di quanto denunciato. Tutto è risultato ancor più drammatico di quanto riferito dagli extracomunitari. Le condizioni di vita degli immigrati erano insostenibili: l’interno del ricovero dove erano accampati, si presentava in condizioni fatiscenti, al limite dell’umana sopportazione, ed emetteva delle esalazioni nauseabonde. Nei ruderi di abitazione, già adibiti a ricovero per animali, mancava qualunque servizio igienico, non vi erano né acqua corrente, né luce, né riscaldamento. I bisogni fisiologici dovevano essere espletati all’aperto. Sul soffitto, da alcune grandi fessure, cadeva in continuazione acqua piovana che, in questa primavera, non è certo mancata. Gli africani erano costretti a dormire su reti prive di materassi. Secondo i militari, che pure avevano partecipato alle operazioni di Rosarno in gennaio, le condizioni in cui vivevano gli africani erano senza precedenti nella zona.

Riscontri e approfondimenti investigativi.
I Carabinieri, con i loro riscontri, hanno accusato Rocco Damiano Sorbara:
* poiché avrebbe favorito la permanenza in Italia degli stranieri clandestini adibiti ad attività lavorativa per la raccolta di agrumi, retribuendoli saltuariamente con la cifra di non più di 20 euro, di gran lunga al di sotto dei limiti minimi previsti dalla legge;
* poiché avrebbe costretto gli extracomunitari a vivere in condizioni disumane, portandoli personalmente sul luogo di lavoro, dove svolgevano turni massacranti,
* poiché sarebbe recidivo, per aver commesso in passato reati analoghi;
* poiché da mesi avrebbe completamente smesso di pagare gli stranire, lasciati alla fame.

Le determinazioni dell’autorità giudiziaria e i destinatari delle misure cautelari.
Il Gip presso il Tribunale di Palmi Daniela Tortorella, su richiesta del Pubblico Ministero Giulia Pantano, ha riconosciuto fondate le accuse mosse all’imprenditore Sorbara, di essere responsabile dei reati continuati di cui agli artt. 12 co. 5 (sfruttamento a fini di lucro della permanenza di stranieri in Italia) e 22 co. 12 (sfruttamento di manodopera clandestina) della Legge sull’immigrazione, il Decreto Legislativo286/1998, applicando la misura della custodia cautelare agli arresti domiciliari. E’ stato inoltre disposto il sequestro preventivo dei terreni dove gli stranieri venivano fatti lavorare: ben 6 vaste particelle di terreno agricolo e l’immobile in cui venivano alloggiati i malcapitati.

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