Legambiente, nel suo Rapporto “Ecomafia 2010”, pubblicato con la Prefazione di Roberto Saviano (“… tutto quello che leggerete vi arriverà direttamente allo stomaco”) e con l’Introduzione di Pietro Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia (“Già da tempo le strategie delle criminalità organizzate si sono adeguate alle più moderne attività imprenditoriali, condizionando l’economia e i mercati, attraverso un sistematico inserimento in qualsiasi traffico, purché sia redditizio e consenta di investire flussi di denaro di provenienza lecita o illecita”), ha dedicato molte pagine alle varie situazioni calabresi, ed in particolare a Reggio Calabria.
La città “cuore”della futura Città Metropolitana, è di fatto, e da molti anni, sprovvista dello strumento urbanistico, e quindi il territorio è privo di regole certe. Con le conseguenze sconcertanti se non drammatiche evidenziate dal paragrafo “La Commissione di inchiesta del Comune di Reggio Calabria” (Cap. 7, “Il ciclo del cemento: numeri e storie”). Lo stesso è facile immaginare accada negli altri comuni della provincia, i futuri fulcri di una città metropolitana multipolare, ed è quindi auspicabile che presto, così come sta avvenendo per Reggio Calabria, anche per le componenti territoriali più significative, si possa contare su un sistema pianificatorio che ripristinando la legalità a tutti i livelli della pianificazione strategica e strutturale, contrasti quei fenomeni di malgoverno territoriale che sono stati ben evidenziati dalla Commissione comunale di inchiesta di Reggio Calabria.
(E.C.)
LA COMMISSIONE DI INCHIESTA DEL COMUNE DI REGGIO CALABRIA
da: Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente (a cura di), Ecomafia 2010. Le storie e i numeri della criminalità ambientale, Edizioni Ambiente, Milano, 2010 (pagg. 212-215)
Le auto del dirigente del settore urbanistica incendiate proprio la notte prima dell’audizione e la gambizzazione del dirigente dei Lavori pubblici, un documento rubato in municipio a un consigliere comunale e il contenuto di lettere riservate pubblicato ad arte da un giornale locale.
Poi rozzi tentativi di delegittimazione politica e violenti attacchi “strumentali”, denunce pubbliche e imbarazzate ritrattazioni private, un fiume di lettere anonime e la sostanziale omertà di pezzi importanti dell’imprenditoria. In questo contesto inquietante ha lavorato per tutto il 2009 la Commissione d’indagine sull’urbanistica, istituita dal consiglio comunale di Reggio Calabria, per provare a fare luce sul “sacco” della città dello Stretto. C’è riuscita. Aprendo uno spazio di verità nel buio della burocrazia cittadina e dando il la a un’inchiesta della magistratura di Reggio Calabria che rischia di mettere a nudo – finalmente – le tante e pericolose relazioni tra politica, ‘ndrangheta, massoneria, mondo delle professioni. A dire una parola chiara, insomma, sulla borghesia mafiosa.
A portare a casa – con voto all’unanimità – 159 pagine di una relazione fitta di numeri, nomi e fatti è Nuccio Barillà, storico dirigente di Legambiente e consigliere comunale indipendente di opposizione, chiamato a coordinare la commissione.
Lo spaccato che viene fuori dalla relazione è desolante e interroga un’intera classe dirigente: registri manomessi, permessi falsi e falsificati, sospetti di mazzette persino per gli uscieri, studi tecnici e imprese compromesse, ndrangheta. Emerge lo spaccato “dell’altra città” – per usate la definizione di Barillà –, quella delle devastazioni ambientali, degli abusi edilizi, delle illegalità legalizzate, delle relazioni pericolose tra ’ndrangheta, professionisti senza scrupoli, pezzi di burocrazia corrotti, politica e mondo degli affari. Una città, Reggio Calabria, che – come tante città del Sud – “è sospesa tra bellezza e miseria”.
L’osservazione della realtà non fa sconti. Per dirla con il docente di urbanistica dell’Università di Firenze Alberto Ziparo, “Reggio è stata per decenni terra di nessuno”: l’abusivismo è “imponente per quantità (circa 1 milione e 400 mila metri cubi abusivi tra il 1971 e il 1980, addirittura 3 milioni di metri cubi tra il 1980 e il 1985) e scadente per qualità”, si legge nella relazione, ha stravolto “il senso dei luoghi”, e “forgiato una vera e propria cultura”. Così, accanto all’abusivismo selvaggio e all’autocostruzione (in comune ci sono quasi 34 mila pratiche di condono), s’è affermata una sorta di illegalità autorizzata”: “Non è certo raro il caso di mostruosità edilizie consentite” attraverso scorciatoie, è scritto. Può succedere allora – e troppo spesso è successo – che ci sia il parere positivo degli uffici comunali (con tanto di relazioni sottoscritte da professionisti di grido) per costruire lungo la costa o in aree vincolate. E non sono solo abitazioni private: basti pensare alla casa dello studente, realizzata dall’università (che ha facoltà di Ingegneria e Architettura) nell’alveo della fiumara o al centro commerciale autorizzato da una conferenza dei servizi che non ha “sufficientemente” considerato le “norme di sicurezza né gli impatti paesaggistici e urbanistici”, segnala la commissione. Il lavoro di Barillà e degli altri commissari sbugiarda un sistema perforabile e perforato, racconta la storia dell’assessore-magistrato che si arrende davanti alla tracotanza dei funzionari, quella dei terreni pubblici donati al comune per i vecchietti dell’ospizio “che l’ente da una parte difende e dall’altra cede ai privati con licenze edilizie assurde” e – ancora – quella della Reggina Calcio che costruisce il suo centro sportivo su aree demaniali, “tra costruzioni abusive, concessioni benevole e condoni”. E passando al setaccio i lavori pubblici e il settore nevralgico della manutenzione, la relazione denuncia gli appetiti delle imprese, “molte a trazione mafiosa”, e segnala un mosaico di lavori non eseguiti o eseguiti male, sperpero e accaparramento di denari pubblici, strade dissestate.
Sembra impossibile, ma c’e di più nella relazione. Ci sono 34 tavole di una ancora inedita cartografia: “Zona per zona, edificio per edificio balza in evidenza – si legge – tutta la volumetria realizzata fuori dal Piano. Viene fuori una città ufficialmente “inesistente”, una “città nella città”.
Forse il dato dell’Agenzia del demanio, reso pubblico lo scorso gennaio, che parla di 19.188 case “fantasma” censite solo in Calabria, ossia non accatastate, può aiutare meglio a definire i contorni di questa “città nella città”.
Un’ulteriore conferma arriva dall’indagine del 2007 sull’abusivismo edilizio promossa dalla stessa regione Calabria, dal titolo Paesaggi e identità: Reggio “accoglie ben 215 abusi su un totale di 280 della provincia”. E sono 67, secondo la regione, “i gravi casi di rischio idrogeologico”. Uno sproposito. A cui aggiungere a corredo la denuncia alla commissione dell’ordine dei geologi per l’utilizzo “di perizie geologiche redatte in precedenza per altri siti”, magari firmate da professionisti senza titolo o addirittura contraffatte, oppure di vecchie relazioni riciclate “riferite magari all’area limitrofa”. Fatti pesantissimi, che per di più accadono in un territorio come quello di Reggio Calabria definito per legge “ad altissimo rischio sismico”.
Una responsabilità, quindi, che va ricercata direttamente dentro gli uffici pubblici, dentro la palude burocratica calabrese. Ignavia, incompetenza, corruzione sembrano spesso farla da padrone. E infatti la relazione segnala per “un lunghissimo periodo la compiacenza e la resa delle istituzioni, a partire dall’amministrazione comunale del tutto incapace di guidare i processi di espansione urbana e di stroncare gli abusi”. Un vero atto d’accusa. Per dirla con le parole del presidente dell’ordine degli architetti reggino Paolo Malara, la verità è “che a Reggio la politica ha deciso di condonare tutto”.
L’altra faccia della medaglia denunciata dalla commissione è la mancanza di controlli amministrativi. Sarebbe un’altra Calabria, con meno scempi ambientali, se solo ci fossero stati controlli puntuali e rigorosi. E invece, secondo la commissione, “la vigilanza rappresenta l’anello più debole della catena del settore urbanistica. Un contenitore che perde da tutte le parti”. C’è ovviamente una carenza di uomini e mezzi (solo nove le persone in servizio) ma c’è anche “un problema di efficienza complessiva”. A completare il quadro, il problema “gravissimo” della mancanza di comunicazione tra ufficio urbanistica e Polizia municipale. A Reggio esiste un modello permissivo a danno dei cittadini che hanno scelto di vivere nel rispetto della legge.
Purtroppo, a un anno dall’approvazione della Relazione, nulla è cambiato e l’amministrazione comunale non ha ancora adottato nessuno dei provvedimenti indicati nell’atto di indirizzo del consiglio. Un solo terremoto è avvenuto: sono stati trasferiti molti dipendenti del settore urbanistica (una decisione precedente all’esito della commissione eppure strumentalmente attribuita alla relazione) ma non i dirigenti. Un caso? Si sono invece messe al lavoro le forze dell’ordine e la magistratura. Già lo scorso giugno i Carabinieri hanno acquisito gli incartamenti della commissione, qualche settimana dopo la Procura ha avviato un’inchiesta – coordinata dai pubblici ministeri Ottavio Sferlazza e Carmela Squicciarini – per fare luce sui fatti denunciati dalla relazione, chiedendo copia dei documenti, promuovendo approfondimenti e avviando alcuni interrogatori. Un lavoro lungo, del quale non si conoscono ancora i risultati, che fa tremare molti e tramare altri. In mezzo i cittadini perbene, che ripongono grandi speranze nel lavoro dei giudici: la battaglia per la legalità e i diritti passa anche per l’imparzialità e la correttezza della pubblica amministrazione.