Reggio Calabria. Presso la Pinacoteca Civica, venerdi 9 luglio alle ore 18 nella sala delle Conferenze si terrà un incontro sul tema: L’ Ottocento ci riserva un movimento artistico nuovo, aperto alla luminosità, un senso di vita alla scoperta immediata del vero, dove la natura è protagonista, identificando nella luce e più particolarmente nella luce all’aria aperta , quello che fu detto il plein air. Questa nuova corrente artistica fu sentita in Europa dalla maggior parte degli artisti e, ciascuno a modo proprio, cantò la poesia della luce nell’atmosfera. Le espressioni erano rese in modo rapido, vibrante, basandosi sulla teoria dei colori complementari, componendo le tinte fondamentali, per ottenere la sintesi a distanza. Così si sono espressi gli artisti pittori del paesaggio che sono stati chiamati impressionisti (quali Renoir, Monet, Cèzanne ecc.). Queste innovazioni, sentite principalmente dai movimenti artistici francesi, giunsero alla metà del secolo anche limitatamente nell’ambiente ormai chiuso e provinciale della pittura italiana. Ma intanto, in Italia, si formò a metà secolo un nuovo gruppo di artisti diversi per valore ed anche per temperamento che parteciparono per un certo tempo ad un clima comune, in cui i sentimenti di libertà politica si confondevano con un desiderio di rinnovamento dell’arte, rifiutando il convenzionale accademismo provinciale. A Firenze i giovani del Caffè Michelangelo, stimolati dagli echi delle novità dell’Altamura e del Tivoli, reduci dell’esposizione universale parigina del ‘55, cominciarono pertanto, con l’opporsi alla rifinitura del disegno e del chiaroscuro di quella pittura, contrapponendo così la macchia. Quindi le impressioni delle cose erano rese da toni chiari cioè su toni scuri, privi gli uni e gli altri di esatti contorni. Al movimento dei Macchiaioli si unì Giovanni Fattori (1825 – 1908) che fu la più forte personalità artistica del gruppo. Egli non riuscì mai a superare totalmente l’impianto accademico del disegno, benché abbia impresso una forza di sintesi distinguendosi dalla pittura storica tradizionale. La pittura del Fattori è vicina alla natura, alle famose campagne romane con i cavalli al pascolo, alla maremma coi buoi e con la gente umile colta nella quotidianità che, con spontaneità gestuale, rappresenta la testimonianza del tempo presente. Anche se la critica nazionale menziona la corrente dei macchiaioli, indicando per la maggior parte autori toscani, dove le novità in campo artistico giungevano e venivano applicate, manifestandosi anche in considerazione della situazione geografica che poneva e favoriva i confronti con il resto dell’Italia settentrionale, ma nonostante ciò, gli autori del Sud hanno subito anch’essi gli echi della nuova pittura dei macchiaioli. Uno degli autori che rimase affascinato ed ha subito l’influenza delle nuove tendenze artistiche, presente con alcune sue opere presso la nostra Pinacoteca è l’artista reggino Giuseppe Benassai, che presto dimostrò interesse alle avanguardie, tendenti a guardare al nuovo linguaggio della pittura a macchia. Il nostro talentuoso paesaggista Giuseppe Benassai, formatosi inizialmente sotto la guida del maestro Ignazio Lavagna Fieschi e conseguentemente trasferitosi a Napoli presso la scuola di Salvatore Fergola e di Domenico Morelli, pensò di soffermarsi al nuovo richiamo della pittura dei macchiaioli e quindi si trasferì a Firenze dal 1863 al 1864 e poi dal 1869 al ’78 e nella stessa città partecipò a delle importanti mostre. La sensibilità del Benassai e la predilezione per una pittura del paesaggio di impostazione scenografica, animata e di grandi campiture, rese immediati i risultati dei suoi studi sui macchiaioli, tanto da essere considerato anch’egli della stessa corrente artistica. Le sue più importanti opere tendenti a questo nuovo linguaggio pittorico sono: La raccolta del fieno esposta a Milano nel 1865 e La primavera e Le paludi di Ostia presentate a Parigi nel 1867 all’Esposizione Universale. Presenti in Pinacoteca due vedute, opere giovanili del maestro: Veduta di Atene dal monte Imetto e Veduta di Atene dal fiume Ilisso, che si ispirano alle tele del Wolfensberger. L’altra opera esposta, La Quiete, ebbe assegnato l’unico premio per la paesistica al concorso di pittura di Firenze del 1868. Allo sguardo del fruitore si presenta uno scenario evocativo, dominato dallo specchio d’acqua sovrastato da rocce prive di vegetazione dai toni grigio – bruni che generano quasi un’impressione di monocromia. Tutto, nell’opera, suscita un sentimento di tranquillità agreste ed un senso di maestosa grandezza dell’insieme. Il Benassai la donò al Comune di Reggio Calabria che la destinò alle collezioni del proprio Museo. La tela Aspromonte invece, rappresenta i Piani d’Aspromonte come immense terrazze nella parte elevata dell’Appennino calabrese, con un taglio molto prospettico; fu esposta all’Accademia di Belle Arti di Firenze e donata al Comune di Reggio Calabria dal Benassai. Il campo d’immagine aperto, dà l’impressione di uno spazio immenso, benché delimitato dalle alture all’orizzonte; la cornice, massiccia, originale, reca impresso in basso al centro la dicitura Aspromonte. A questo movimento si lega in parte anche il pittore Rubens Santoro che nella nostra Pinacoteca lo vediamo presente con l’opera Sans Famille (Malot). Proveniente da una famiglia di letterati e artisti, cugino di Francesco Raffaele, fu allievo del Morelli. L’artista nasce a Mongrassano in provincia di Cosenza nel 1859, figlio d’arte, da padre pittore e scultore. Perfezionò la sua attività artistica attraverso i numerosi viaggi compiuti in Italia e all’estero, con frequenti soggiorni a Venezia, Verona, Chioggia, fonti di ispirazione per molti suoi quadri. Nell’undicesima esposizione della napoletana Società Promotrice di Belle Arti (1874) appena quindicenne, esordisce con tre opere Un balcone, Un’impressione e Una fanciulla che ride quest’ultima acquistata da Domenico Morelli con la quale ottenne la medaglia d’argento. Fu pittore di scene d’interni, marine, numerose vedute veneziane, paesaggi di Ischia, dipinti ispirati al paese natio. L’opera “Sans famille” acquistata alla III Biennale del 1924, evidenzia la sua conoscenza della pittura realistica. L’artista scrive al Frangipane di essersi ispirato, nella scelta del tema, ad un romanzo dell’autore realista francese Malot, nella rappresentazione dei due piccoli orfani addormentati; i due bambini sono posti tra luci ed ombre con il rosso intenso del drappeggio. L’opera racchiude in tutto il suo complesso, elementi coloristici, ricerche luministiche, minuziose pennellate a macchie che indicano una matrice cromatica di intonazione morelliana che rende l’opera di personalissima impronta della corrente dei macchiaioli. La sua pittura fu apprezzata per la luminosità e la trasparenza del colore, per il tratto vigoroso, per la solidità dell’impianto tonale. Per la sua grande capacità di colorista fu considerato un valente pittore di dichiarata tradizione napoletana, quindi possiamo affermare che anche la città partenopea è stata protagonista del nuovo linguaggio pittorico dei macchiaioli. Ma, c’è anche da dire che i critici del tempo hanno poco accettato l’appartenenza a questa corrente pittorica degli artisti afferenti l’area meridionale, considerandoli più veristi-romantici e, quindi, per questo, non hanno conferito unità alla pittura macchiaiola.
Il Direttore Pinacoteca Civica
Prof.ssa Giovanna Brigandì