Alle pareti di casa i quadri di Gattuso, Ligabue e De Chirico
Reggio Calabria. I finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, in stretto coordinamento operativo con lo Scico di Roma, al termine di articolate indagini di polizia giudiziaria – coordinate dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e dal sostituto procuratore della Repubblica della DDA Beatrice Ronchi, in esecuzione di provvedimento ablativo, emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, a firma del presidente Vincenzo Giglio – hanno sequestrato un ingente patrimonio mobiliare e immobiliare, in pregiudizio del noto imprenditore reggino Gioacchino Campolo, 71enne, ritenuto dagli inquirenti legato a vari esponenti della ‘ndrangheta reggina.
Le indagini
Le indagini hanno consentito di accertare che la costante e inarrestabile ascesa nel panorama imprenditoriale reggino, da parte del noto imprenditore conosciuto come il “re dei videopoker”, in quanto monopolista per oltre 30 anni di quell’attività nella città di Reggio Calabria, era stata aiutata dai forti legami intrattenuti con note famiglie della criminalità reggina, quali Audino e Zindato.
Sono stati proprio i presunti rapporti di Campolo con alcune cosche di Reggio Calabria a essere scandagliati. Si parte dalla cosca Zindato, federata ai Libri e operante nel rione Modena di Reggio Calabria: è lo stesso Campolo, in alcune discussioni intercettate, ad affermare di conoscere diversi soggetti appartenenti al sodalizio criminale. In una conversazione avvenuta a Roma, nell’ufficio di un professionista che gestisce una società riconducibile a Campolo, quest’ultimo ha vantato la conoscenza con uomini importanti del clan Libri, compreso il defunto patriarca don Mico Libri: Campolo parla, inoltre, delle circostanze che portarono il padre a donare, circa 40-50 anni fa, un terreno a Pasquale Libri, episodio confermato dalle successive indagini svolte.
Ulteriori episodi collegano Campolo alla famiglia Zindato e ai Libri: in una sala giochi della famiglia Zindato, ubicata nel rione Ciccarello, Campolo “piazza” le proprie macchinette. La sala – già direttamente gestita dagli Zindato – è stata poi formalmente acquisita da Giuseppe Barbaro, fratello di quel Domenico Barbaro che andrò a prelevare, a Prato, don Mico Libri, che per motivi di salute aveva ricevuto il permesso di ritornare a Reggio Calabria.
In un’altra intercettazione, Campolo racconta di un progetto omicida ai suoi danni. Sarebbe stato addirittura Giovanni Tegano (il boss arrestato poco tempo fa dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, dopo una lunga latitanza) a volere la sua testa, per facilitare i propositi di un parente che voleva espandersi nel settore dei videogiochi. L’incaricato dell’omicidio sarebbe stato Mario Audino, reggente di San Giovannello assassinato nel 2003: Campolo si salvò, ed è ancora lui stesso a dichiararlo in un’altra conversazione intercettata, grazie all’intervento di Orazio De Stefano, appartenente all’omonima famiglia, originaria del rione Archi, ma egemone anche nel centro cittadino. D’altra parte, lo stesso Campolo si sarebbe sentito a rischio anche negli anni della guerra di mafia di Reggio Calabria (1985-1991) arrivando a blindare ufficio, abitazione e persino l’autovettura.
Quanto ai presunti rapporti col clan De Stefano sono stati presi in esame diversi episodi. Alcuni esempi: il contratto in locazione, per un negozio posto sul Corso Garibaldi di Reggio Calabria, firmato dalla cognata di Giuseppe De Stefano. Campolo non ha mai preteso alcuna somma di denaro, concedendo, di fatto, l’immobile a titolo gratuito. Così come non ha preteso alcun compenso da Natale Iannì, cugino di Paolo Rosario De Stefano (già Caponera) e conoscente di Donatello Canzonieri, ritenuto vicino al clan Tegano: Iannì ha usufruito gratuitamente per il proprio bar di un immobile di Campolo sito in via Possidonea a Reggio Calabria.
Ancora: in una conversazione intercettata la nuora di Campolo, avondone sposato il figlio Demetrio, si interroga sulla fine che avrebbero fatto i beni del “re dei videopoker” dopo la sua morte, indicando la cosca De Stefano come possibile beneficiaria.
Gli ultimi riferimenti ai presunti rapporti di Campolo con la malavita organizzata riguardano Paolo Iannò, ex killer della cosca Condello e oggi pentito, e l’imprenditore Nino Princi, fatto saltare in aria a Gioia Tauro nel 2008. Le macchinette di Campolo sono finite, anni addietro, nella paninoteca Marrakech di Gallico, riconducibile a Iannò, mentre Princi, genero di Domenico Rugolo legato all’omonima cosca di Castellace (nella Piana di Gioia Tauro), ha incontrato Campolo poco prima del terribile attentato che lo ha ucciso, per discutere della collocazione dei videopoker all’interno di un centro commerciale a Rizziconi, presumibilmente il Porto degli Ulivi.
I beni sottoposti a sequestro
Le investigazioni, di natura prettamente conomico-patrimoniale, hanno permesso di individuare un incredibile patrimonio, intestato a Gioacchino Campolo e ai suoi familiari e prestanome, rappresentato da ben 260 immobili (molti dei quali di pregio e valore artistico e architettonico) siti a Reggio Calabria e provincia, Roma, Milano, Taormina e Parigi, autovetture di lusso, e tre attività commerciali operanti nel settore immobiliare e dei giochi da intrattenimento. Tra i beni immobili sequestrati c’è una villa a Roma con 26 stanze, acquistata negli anni 80 e mai utilizzata, e un appartamento a Parigi in Rue Saint Honoré. In quest’utlimo caso, le autorità francesi già investite della questione dalla Procura di Reggio Calabria, hanno spiegato ai nostri investigatori che il solo acquisto di un appartamento in quella via parigina, giustifica d’Oltralpe l’avvio di accertamenti patrimoniali per il rischio riciclaggio. Evidentemente non si tratta di una casa alla portata di tutte le tasche.
E’ stata peraltro accertata una indiscutibile sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato ed i redditi dichiarati da Campolo e dai suoi familiari, tale da non giustificarne la legittima provenienza. Una sperequazione che, tra il 1982 ed il 2008 ammonta a circa 40 miliardi di vecchie lire.
In particolare le indagini hanno dimostrato, oltre alla notevole pericolosità sociale di Gioacchino Campolo, come l’attività della sua ditta, la A.R.E. sia stata esercitata, nel corso degli anni, in modo penalmente illecito, sotto i seguenti diversi e rilevanti profili:
- in primo luogo, Gioacchino Campolo, nella qualità di titolare della stessa ditta A.R.E. e di datore di lavoro di numerosi dipendenti, approfittando della difficile situazione del mercato del lavoro, avrebbe costretto questi ultimi, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate e, più in generale, condizioni di lavoro contrarie alle leggi ed ai contratti collettivi (mancanza di corrispettivi per il lavoro straordinario, firma di buste paga indicanti importi superiori a quelli percepiti, mancata concessione di ferie, di emolumenti quali tredicesima, quattordicesima) conseguendo, in tal modo, un ingiusto profitto con corrispondente danno per le persone offese;
- lo stesso Campolo, attraverso la collaborazione di importanti esponenti della criminalità organizzata locale – quali il defunto Mario Audino e Gaetano Andrea Zindato, boss emergente della cosca Zindato-Libri, dominante sul “locale” Modena di Reggio Calabria – mediante atti estorsivi, avrebbe imposto il noleggio dei propri apparecchi da gioco ai titolari degli esercizi commerciali presenti sul territorio di influenza della cosca egemone, compiendo, altresì, atti di concorrenza sleale (ai danni di imprenditori svolgenti analoga attività), che gli hanno consentito di raggiungere un vero e proprio monopolio nel settore entro la città di Reggio Calabria e provincia;
- infine, Gioacchino Campolo, ritenuto promotore e capo dell’associazione per delinquere formata da diversi fedeli soggetti di sua fiducia ed operanti all’interno della ditta A.R.E., avrebbe esercitato – in modo illecito – l’attività di gestione e noleggio di apparecchi da gioco, con particolare riguardo a quelli disciplinati dall’art. 110 comma 7° Tulps (testo unico di leggi di pubblica sicurezza) – cioè non collegati telematicamente con l’A.A.M.S. – inserendo appositi marchingegni (attivabili mediante determinati movimenti di tasti o telecomandi o joystick) in grado di “trasformarli” in slot-machine, aventi insita la scommessa, o in grado di consentire vincite puramente aleatorie di un qualsiasi premio in denaro; tale attività avrebbe consentito a Gioacchino Campolo, attraverso una contabilità “ufficiale” (trasposta negli statini giornalieri, nel libro giornale, nel bilancio e nelle dichiarazioni dei redditi della ditta A.R.E.) ed una “non ufficiale”, di perpetrare ripetutamente negli anni consistenti frodi fiscali (ai sensi, prima dell’art. 4 lett. f L. n. 516 del 1982, e poi dall’art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000) che gli hanno permesso tra l’altro di accumulare ingenti somme di denaro “in nero”, poi impiegate:
- a) dallo stesso Campolo per acquistare – oltre che preziose opere d’arte (di notevole pregio, quali ad esempio quadri di Gattuso, De Chirico e Ligabue, che adesso saranno custoditi in un caveau della Soprintendenza ai beni culturali)) – una impressionante quantità di beni immobili in Reggio Calabria, Roma, Milano, Parigi, intestati o a se stesso, o a sé unitamente alla moglie Renata Gatto (di 61 anni), o formalmente intestati ai figli Ivana, di 30 anni, Demetrio, di 28 anni, Adriana, di 26 anni, o ai nipoti Antonio Campolo, di 35 anni e Maria Campolo di 34 anni;
- b) dalla S.r.l. Grida (avente come soci Gioacchino Campolo e sua moglie) e dalla S.r.l. Sicaf (costituita in Roma dal 1986 per l’acquisto e la gestione di un ingentissimo patrimonio immobiliare, avente come soci società fiduciarie costituite dal Campolo e dalla moglie).
Campolo, arrestato all’alba del 12 gennaio 2009, è attualmente detenuto presso la casa circondariale di Vibo Valentia, per i reati di estorsione aggravata dalla finalità di favorire le cosche di ‘ndrangheta della città di Reggio Calabria ed estorsione ai danni dei dipendenti della ditta A.R.E.
Nel giugno 2010, dall’Ufficio di Procura è stato richiesto per Campolo e un’altra dozzina di soggetti, il rinvio a giudizio per associazione per delinquere, riciclaggio, frode fiscale, intestazione fittizia di beni e falso.
Complessivamente il patrimonio sequestrato (con decreto 151/10 R.G.M.P.) il cui valore stimato ammonta a oltre 330 milioni di euro, comprende:
patrimonio aziendale e relativi beni di tre società (Grida, Are e Sicaf), di cui 2 operanti nel settore immobiliare ed una nel comparto del gioco da intrattenimento;
260 immobili siti a Reggio Calabria e provincia, Roma, Milano, Taormina e Parigi;
3 veicoli commerciali
7 autovetture di lusso
6 motocicli (tra cui una Harley Davidson)
innumerevoli rapporti bancari-postali-assicurativi, individuati in Italia ed in territorio francese.
Il Gico del Nucleo Polizia Tributaria di Reggio Calabria è quotidianamente impegnato nell’aggressione alle organizzazioni criminali nella loro componente economica e finanziaria, connessa all’esercizio di attività illecite, al riciclaggio di denaro sporco ed al reimpiego dei proventi derivanti dai più disparati traffici di natura illecita.
In particolare, proprio, la Guardia di Finanza, quale Organo di Polizia economico-finanziaria, sulla base di costanti e specifiche direttive del Comando Generale del Corpo sviluppa, contestualmente alle operazioni di polizia giudiziaria, la fondamentale attività dei sequestri di prevenzione che, resi molto più efficaci dalle modifiche normative introdotte nel 2008 e nel 2009, rappresentano, oggi, lo strumento di intervento più incisivo nella lotta alla criminalità organizzata.
Aggredire i patrimoni criminali significa far perdere alla ‘ndrangheta il prestigio all’interno del proprio ambiente criminale, privandola del fondamentale strumento di condizionamento delle realtà socio economiche, tradizionalmente occupate e soffocate dall’indisturbata presenza delle loro risorse e del loro controllo.
Un ulteriore segnale della pervasività della potenza delle organizzazioni criminali è data dal valore dei patrimoni da esse accumulati, che rappresentano il capitale necessario per realizzare i traffici da esse perpetrati.
La soddisfazione degli inquirenti.
I risultati dell’operazione Les Diables sono stati illustrati questa mattina, presso la Caserma della Guardia di Finanza, dal procuratore Giuseppe Pignatone, alla presenza del comandante regionale, generale Salvatore Tatta, del comandante dello Scico, generale Umberto Sirico, del comandante provinciale, colonnello Alberto Reda, del comandante del Nucleo di Polizia Tributaria, tenente colonnello Luca Cervi, e del comandante del Gico, maggiore Gerardo Mastrodomenico.