Reggio Calabria. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, ha commentato stamane ai microfoni di “Radio anch’io” il senso contenuto nell’operazione “Il Crimine” portata a compimento nella giornata di ieri dalle Direzioni distrettuali antimafia di Milano e Reggio Calabria. Il magistrato, da anni impegnato nella lotta alle cosche della ‘ndrangheta, è realista e afferma con consapevolezza che “abbiamo bucato qualche gomma, non ancora colpito il motore. Il problema è molto più serio. Dobbiamo creare un sistema giudiziario forte, nel rispetto della Costituzione, dobbiamo modificare il codice penale e l’ordinamento penitenziario”. Le riflessioni di Gratteri nascono dall’istantanea dell’esistente in base alla quale “tantissime di queste persone, anche i capimafia arrestati ieri, al netto faranno 5-6 anni di carcere. Dobbiamo cambiare le regole del gioco. Quando i ragazzini di 15 anni non vedranno tornare più dopo soli 5 anni i loro padri, zii, nonni, cugini, allora capiranno che si sta facendo sul serio”. Un supporto concreto per separare i membri dei clan dal contesto ambientale in cui hanno operato con metodi criminali sarebbe dato dalla decisione dirompente di “riaprire le isole chiuse nel ’94, e cioè Pianosa, Gorgona, Asinara” . Gratteri va oltre e, facendo i conti con l’attuale sistema normativo, avverte che “il capomafia non può, il giorno dopo la sentenza definitiva in Cassazione, iniziare a ricorrere al giudice di sorveglianza. Dobbiamo cominciare a parlare di pene che vanno da 20-30 anni in su. Essere capomafia vuol dire far parte di religione, è un credo. E io non credo nel ravvedimento del capomafia. Negli anni ’70 i capimafia hanno mandato i loro figli all’università e oggi abbiamo mafiosi che sono medici, ingegneri, avvocati, sono nella pubblica amministrazione. Questa è la grande difficoltà. Serve un sistema penale processuale serio e garantista, nel senso che preveda che la prova si deve formare in dibattimento. Il soggiorno obbligato è stato uno dei più grandi errori del legislatore italiano. La ‘ndrangheta è presente in tutte le regioni d’Italia, compresa la Sicilia, forse è esclusa solo la Sardegna. Il fenomeno è molto più ampio di quello che è apparso nello spaccato delle indagini di ieri”.