Catania. Risolto l’omicidio Lo Faro, la Polizia arresta 5 persone: i dettagli

Catania. Ad esito delle indagini relative all’omicidio di Nicola Lo Faro 46 anni, presunto reggente del clan dei Cursoti, assassinato in un agguato a Catania il 4 maggio 2009, su delega della Procura della Repubblica di Catania Direzione distrettuale antimafia, la Squadra Mobile di Catania ha dato esecuzione ad ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Catania Antonella Romano, su richiesta dei sostituti procuratori Giovannella Scaminaci e Pasquale Pacifico della Direzione distrettuale antimafia, a carico di 5 persone, ritenute responsabili del fatto di sangue e, a vario titolo, di detenzione e porto d’armi, con l’aggravante di aver commesso il delitto per agevolare l’associazione mafiosa della quale farebbero parte, il clan Cappello e segnatamente la frangia dei Carateddi.
Le persone raggiunte dal provvedimento restrittivo, già detenute perché coinvolte nell’operazione Revenge, sono:

L’indagine è il complesso esito di tre distinte attività, delle quali alcune precedenti all’omicidio, che hanno consentito di comprenderne il movente, e di altre contemporanee e successive all’esecuzione del delitto, che hanno evidenziato le responsabilità materiali.
Nicola Lo Faro è stato ucciso da numerosi colpi d’arma da fuoco, cal.7,65, la mattina del 4 maggio 2009, mentre alla guida della sua Mercedes classe A si trovava a transitare per la via Cardì, nella zona di Nesima. La vittima era cognato di G.G., detto “Pippu u maritatu”, ritenuto il capo clan dei Cursoti (catanesi), ed era considerato il reggente di questa cosca.
I primi accertamenti espletati sul luogo del delitto consentirono di individuare una videocamera, munita di microfono, a circa 40 metri dal luogo dell’agguato, che riprendevano un tratto della stessa via Cardì, percorribile esclusivamente nel senso di marcia. La visione delle immagini fece accertare che subito dopo l’esplosione di due serie di colpi di pistola, erano transitati per quella via, e provenienti dal luogo dell’agguato, tre uomini, uno a bordo di uno scooter SH bianco e due a bordo di una moto BMW1200 grigia.
In seguito, la visione delle immagini registrate da videocamere di impianti di videosorveglianza della zona consentirà di accertare che l’Honda SH 300 e la BMW1200, e i tre personaggi che vi erano a bordo, avevano pedinato Lo Faro fino alla via Cardì.
La visione delle immagini del videocitofono, sebbene non definite, ed alcune indicazioni date da una persona presente ai fatti, condussero immediatamente la Squadra Mobile a sottoporre ad attenzione G.M., il quale aveva nella disponibilità uno scooter identico a quello ripreso dalla telecamera di via Cardì. Questi è stato rintracciato dopo meno di un’ora dal delitto nella zona do Locu, base operativa dei Carateddi, e sottoposto a tampon kit, che agli esami del Servizio di Polizia Scientifica di Roma è poi risultato positivo.
La visione delle immagini evidenziò sospetti anche su G.D.A., che possedeva una BMW identica a quella utilizzata dai killer e che per statura e fattezze fisiche era fortemente somigliante a colui l’aveva condotta. Rintracciato solo in serata, G.D.A calzava delle scarpe identiche per colore e foggia a quelle ritratte ai piedi del killer nelle immagini del videocitofono.
G.M., G.D.A., così come S.L.G. e A.A. il 4 maggio erano già monitorati, perché sospettati di traffico di stupefacenti, attraverso l’intercettazione di utenze delle quali avevano disponibilità e che utilizzavano “a circuito chiuso”. L’analisi del traffico telefonico delle loro utenze, operato dal Servizio di Polizia Scientifica di Roma, ed il testo delle loro laconiche conversazioni e degli sms che si erano inviati, consentirà di affermare che costoro hanno pedinato lo Faro dalla zona della sua abitazione, di via Nazario Sauro, fino alla via Cardì il giorno dell’omicidio
La lettura delle conversazioni e degli sms intercettati nei giorni precedenti farà comprendere che G.D.A. e S.L.G., sebbene avessero oramai ben individuato le abitudini della vittima, prima di passare all’azione dovevano chiedere disposizioni al padrino di quest’ultimo, O.P..
Il movente dell’omicidio, successivamente confermato da collaboratori di giustizia, è stato individuato dalle intercettazioni operate il 27 aprile ed il 2 maggio precedenti al delitto, che hanno documentato due importati riunioni avvenute tra i vertici del clan Cappello. Tali dati consentono agli inquirenti di affermare che l’omicidio di Nicola lo Faro è stata la conseguenza di un altro grave fatto di sangue, avvenuto il 7 aprile precedente in via Plebiscito, ovvero l’omicidio di Giuseppe Vinciguerra, elemento del clan Santapaola nel quale era transitato dopo aver militato nelle fila del clan Cappello (episodio delittuoso per cui si è proceduto nell’ambito del processo Revenge) Nella registrazione del 27 aprile, Nicola Lo Faro si giustificava con i vertici del clan Cappello, dicendo che aveva deciso l’eliminazione del Vinciguerra, dopo aver richiesto l’assenso a M.C., fratello del boss, (che però era assente perché successivamente arrestato) venendo però rintuzzato dai presenti, i quali hanno tenuto a precisare il loro disaccordo, sottolineandogli che una decisione così importante, per i contrasti che sarebbero sorti con il clan Santapaola, avrebbe dovuto essere condivisa con tutti loro, i quali invece nulla sapevano e dalla quale intendevano rimanere estranei.
Nella riunione del 2 maggio O.P. ha stigmatizzato la decisione di Lo Faro e si è assicurato che i vertici del clan Cappello ne prendessero le distanze, isolandolo creando in tal modo le premesse per la successiva eliminazione. A O.P. è contestato il ruolo di mandante del delitto avendo dato il via libera alla sua esecuzione da parte degli altri indagati, tutti esponenti del gruppo del Carateddu dal primo direttamente controllato per il tramite di S.L.G..

Exit mobile version