Nicola Irto, Dottorando di ricerca in Pianificazione Territoriale, offre ai lettori della Rubrica “Urbanistica e Città Metropolitana le sue riflessioni nell’ambito di un suo studio condotto “sul campo” in Spagna.
(E.C.)
La trasformazione affascinante: Il caso Bilbao, Città Metropolitana
di Nicola Irto
Governare le trasformazioni in contesti sociali e territoriali a elevata complessità (per ragioni diverse: fragilità, declino, sviluppo competitivo, squilibri, congestione o altro), è un tema critico, che oggi mette alla prova le capacità istituzionali, politiche, amministrative e tecniche.
Il linguaggio comune si è in parte modificato, con riferimenti sempre più diffusi ai temi del governo delle trasformazioni e alla governance territoriale che dovrebbe assicurare nello stesso tempo sviluppo, coesione e sostenibilità. Si tratta di un insieme di processi di revisione critica e di innovazione inevitabili nel quadro comunitario e, più in generale, nella nuova sfera delle relazioni globali.
Un processo tuttora in bilico, fra tendenze e possibilità non equivalenti, e non privo di rischi dal punto di vista dell’interesse pubblico, della legittimità e della equità delle azioni emergenti. Ma la via sembra obbligata e sarebbe vano immaginare un ritorno al passato: si tratta di trovare risposte convincenti alle difficoltà e alle incertezze ancora attuali.
Rispetto a questa grande ed ambiziosa tematica s’inserisce l’analisi di una governance senza precedenti: il caso Bilbao.
Il contesto. Il ferro e il mare sono da sempre gli elementi distintivi di Bilbao. L’economia, basata sulla siderurgia pesante e sulle attività portuali e navali, è stata però colpita, alla fine del XX secolo, da una profonda crisi industriale: una congiuntura negativa che ha reso necessario intraprendere una lungimirante opera di diversificazione delle attività produttive. Inoltre assediata da un grave problema sociale e criminale, l’ETA.
La “Trasformazione Affascinante” è stata forte. L’impatto del flusso di turisti su questa città di 354.000 abitanti è stato spettacolare.
Gli alberghi senza fascino né pretese e le pensioni vecchio stile e trasandate sono stati sostituiti da alberghi ed hotel “di tendenza”. Gli arrugginiti cantieri navali accanto al Guggenheim sono stati rasi al suolo, e al loro posto si è fatto spazio per una curatissima cintura verde di giardinetti, piste ciclabili e caffè affacciati sulla sponda del fiume. Un tram giallo-verde passa adesso lungo il Nervión. Il Gotha dell’architettura internazionale ha lasciato il proprio nome impresso nell’evoluzione di Bilbao: Álvaro Siza (gli edifici dell’università), Cesar Pelli (un grattacielo di uffici di 40 piani), Santiago Calatrava (il terminal dell’aeroporto), Zaha Hadid (il piano generale), Philippe Starck (la conversione delle distillerie di vino), Robert A. M. Stern (un centro commerciale) e Rafael Moneo (una biblioteca), per nominarne soltanto alcuni.
Ad undici anni dall’inaugurazione del Museo Guggenheim viaggio nell’ex centro industriale che oggi vive una nuova vita. Da subito appare chiaro, non vi è il rischio che l’opera di Frank Ghery nasconda le altre cose belle. Ma soprattutto appare fin da subito evidente come vi è una efficiente pianificazione strategica di area vasta ed a vasto raggio nella quale vi è “anche” il Guggenheim.
Ed è questo, a mio avviso, l’elemento di maggiore interesse. Se da una parte vi è un’enorme forza di attrazione della creazione architettonica di Frank Gehry, dall’altra c’è uno strepitoso esempio di governance del territorio. Esiste Bilbao Metropoli-30, una società in joint-venture tra pubblico e privato incaricata di decidere il processo di rinascita della città, con un Management costituito da tecnici di chiara fama nazionale. È da lì, da questa fucina di strategie, piani e progetti, che sono partiti i processi di cambiamento del territorio.
Questa città è diventata l’emblema della gara scatenatasi tra gli urbanisti di tutto il mondo per creare edifici nella speranza di trasformare le loro città “di secondo piano” in mete di attrazione del turismo internazionale.
Il cosiddetto “effetto Bilbao” è stato oggetto di studio nelle università di tutto il mondo come esempio da manuale da seguire per conferire alle città un “nuovo look” ed una nuova funzionalità tramite una pianificazione partecipata ed un’architettura fenomenale e sbalorditiva. Anche molte cittadine italiane stanno cercando nell’esempio di Bilbao di trovare la bussola di uno sviluppo oramai necessario. Vanno in questa direzione gli ultimi anni della città di Salerno, in cui l’Amministrazione Comunale sta cercando di razionalizzare diversi interveti di trasformazione del tessuto urbano con interventi progettuali di grandi nomi dell’architettura internazionale.
Sia chiaro, non dobbiamo rimanere vittime della sindrome di Bilbao, ma è anche vero che bisognerà pure pensare ad esempi di governance concreti.
L’idea che dovrebbe essere principale, in una città come Reggio Calabria, soprattutto nella prospettiva di Reggio città metropolitana, non può, quindi, che essere un Piano Strategico. Certamente bisogna rigettare quella interpretazione che ritiene che pianificare significhi solamente e semplicemente progettare fisicamente lo spazio, immaginare una serie di opere da realizzare nello spazio inteso come contenitore.
Bisogna passare da un progetto, rispondente ad un determinato sistema di rapporti di forze e di potere, che si occupa di oggetti situati in uno spazio, ad un piano che si occupa dei soggetti, prima che di oggetti, e di luoghi, intesi come insiemi specifici di rapporti e di contraddizioni tra i diversi soggetti, diversificati nel tempo e nello spazio.
Il Piano Strategico potrebbe essere una soluzione condivisa e sostenuta dalla maggioranza delle donne e degli uomini che vivono e lavorano sul nostro territorio; se così fosse, quindi, potremmo considerarla la migliore soluzione possibile alle condizioni date. Potrebbe essere una soluzione “pragmatica”, vincente dopo anni ed anni di “rigidità pianificatoria”.
L’attività principale si fonda sulla partecipazione allargata a tutte le istanze locali, pubbliche e private, e ai singoli cittadini. La dimensione partecipativa non è funzionale solamente ad una domanda di democrazia e di trasparenza, ma anche a rafforzare l’aggregazione fra gli attori e con essa la coesione fra le varie istanze.
Non occorre quindi trincerarsi dietro altisonanti slogan (una proposta “rivoluzionaria”, “particolarmente innovativa”, e così via), ma più realisticamente dell’esito di un processo e di un metodo quale è la Pianificazione Strategica, adottata fino ad oggi in molte città europee per fronteggiare situazioni di grave crisi economica e sociale: da Manchester a Glasgow, da Lyon a Torino, a Bilbao. E ciò perché questo approccio alla modalità di governo del territorio è orientato ad agevolare la comprensione, il dialogo e la ricerca di soluzioni tramite la continua interazione fra gli attori della città, favorendo e facilitando la creazione di pratiche partecipative “strutturate” (seminari, tavoli di lavoro, conferenze, assemblee) nella gestione del territorio.
L’adozione di uno strumento come il Piano Strategico comporta una progettazione di lungo periodo, o meglio “continua”, fondata su una gestione “guidata”: è necessario che il territorio comprenda cosa vuole diventare e dove vuole arrivare, per poter costruire poi i singoli progetti in modo organico e coordinato.
Si tratta, quindi, di adottare, condividendola a tutti i livelli tale metodologia, e di assumere una prospettiva di medio lungo termine senza considerare soltanto gli interessi immediati e particolaristici.
Individuare questo desiderabile “stato futuro” è il primo passo; per quelli successivi (i singoli progetti e le singole azioni) dovranno collocarsi correttamente in questa visione. Più ampia di quella che dalle nostre parti conosciamo, e degli approcci particolaristici che ne derivano. E che ormai ci “stanno stretti”.