Reggio Calabria. Il bazooka con destinatario il Dr. Giuseppe Pignatone è l’ultimo di una serie di segnali, attentati, intimidazioni fatte giungere con pervicacia ed arroganza ai massimi esponenti la Procura reggina.
Una Procura che si caratterizza con la presenza di uomini forti, determinati, fini investigatori ed analisti della nostra realtà, decisi a non demordere da un obiettivo che è tra i più ambiziosi tra quelli che, in questo momento, si vorrebbe raggiungere nel nostro Paese.
Una Procura che non ha temuto e non teme, forse ogni giorno di più si convince, che la lotta alla ‘ndrangheta ha vari livelli e, quello che può determinarne il crollo, è giungere all’osmosi tra mafia e rappresentanza civile e politica della nostra Provincia e della nostra Regione.
Ovvia la solidarietà al Dr. Pignatone e, con lui, a tutti i suoi colleghi e collaboratori perché, colpendo la persona, cosi come nel caso del Dr. Di Landro, si colpisce un concetto e una colonna portante e primaria dello Stato.
Una solidarietà che vorremmo giungesse anche alle compagne, ai figli, ai genitori dei nostri magistrati, che vivono l’eguale tensione e paura dei loro cari ma, con quelli, condividono e continuano a condividere il coraggio di una scelta.
Non è un caso che abbiamo voluto definirli “nostri magistrati”.
Nostri perché Pignatone, Di Landro, Gratteri, Lombardo, Creazzo e tanti altri loro colleghi, sono diventati della Città che crede, della Città che starà, al di là di manifestazioni e fiaccolate, sempre e per sempre accanto a loro non lasciandoli mai da soli in una angoscia e in una mortificazione che è dei veri reggini.
Ma, e siamo convinti che tanti abbiano la stessa impressione, ci sia qualcosa che non va, che non quadra e, per dirla come Marcello nell’Amleto di Shakespeare “c’è qualcosa di marcio oggi in Danimarca”.
La ‘ndrangheta, che per sua struttura predilige quella familiare e dei vincoli di sangue, ha sempre trovato controproducente il gesto eclatante che andasse oltre l’efferatezza del delitto consumato sullo “sgarro” interno alle proprie fila o a strategie di politica successoria in posizione di vertice criminale.
Una prudenza che forse nasce dall’esperienza della mafia siciliana che ha pagato duramente i delitti Borsellino e Falcone e, comunque, molto più confacente al carattere calabrese che si riflette anche sugli atteggiamenti ‘ndranghetisti.
Sicché, se eclatante fu l’omicidio del Giudice Scopelliti, altrettanto vero è che, salvo le ordinarie intimidazioni (lettera di minaccia, o invio di proiettili), mai le cosche del reggino si erano spinte ad un eclatante attacco continuo, coordinato e di spessore, verso i vertici inquirenti.
Domandarsi il perché è d’obbligo ed è quasi naturale quando, le contro reazioni, sono, non solo gli arresti eclatanti che, in ogni caso ci sarebbero stati e ci saranno accanto ad una strategia, che continuerà, di caccia al latitante, quanto una intensificazione del controllo generale sul territorio (solo ieri 250 perquisizioni) e la consequenziale identificazione di soggetti che, per proseguire le loro attività, certamente preferiscono tenere un profilo molto basso rispetto alle Forze dell’Ordine e alla Procura.
Qualcuno ha scritto che la ‘ndrangheta ha paura!
Ma, fosse cosi, con i mammasantissima che ormai con quotidianità, divengono ospiti delle patrie galere, non sarebbe più logico stare defilati?
Anche la chiave di lettura di una spinta all’allontanamento di alcuni magistrati dalle Procure reggine, non appare priva di senso quando, non solo siamo certi della volontà di quei magistrati di restare a portare avanti il loro lavoro, quanto, ciò avvenisse d’ufficio, starebbe ad indicare una debolezza dello Stato che appare inaccettabile quanto inopportuna in questo momento.
Il Lombroso avrebbe liquidato, cosi come cercò di fare a suo tempo con i meridionali in generale, classificando e catalogando i De Stefano, i Tegano, Condello, Libri, Labate, e via via, sino ai Commisso, i Pelle, Vottari, i Piromalli, i Molè, i Pesce, i Bellocco, ecc., come espressioni di sub umanità, generata da incroci genetici abietti se non incestuosi, stante che quelle sono le uniche strade affinché, nella sembianza umana, si nasconda l’assenza di coscienza e conoscenza, la brutalità e il concetto del super io tipico dell’arroganza criminale.
Ma i visi che abbiamo visto sui giornali sono quelli di gente normale, tolta la naturale arroganza che traspare dall’atteggiamento di chi, nel carcere, nel concentramento di forze necessarie alla sua cattura, vede una conferma della propria importanza nelle consorteria criminale.
Saremmo tentati a ritornare indietro di 150 anni e dare credito, sia pure per giustificazione ed assolvimento generale dei calabresi, alle teorie del Lombroso, ma quelle sono state, scientificamente e nei fatti smentite da tempo ed oggi è proprio la “normalità” di quei volti, che ci deve preoccupare e ci preoccupa temendo che, se quella è l’immagine della ‘ndrangheta, quella si nasconda e si annidi ovunque, cosi come temono i magistrati e non solo.
Ecco perché, abbiamo esordito disturbando il drammaturgo anglosassone.
Temiamo infatti che, se di paura si tratta, quella non sia solo delle cosche, quanto di coloro che potrebbero vedere emergere, nel mondo della politica, della pubblica amministrazione, degli enti locali, il loro nome e il coinvolgimento negli affari della ‘ndrangheta perché, se cosa certa c’è, è che sarebbe proprio questo evento, questa pulizia generale, l’eliminazione di questa sacca di pus putrescente, che potrebbe dare senso e farci rispolverare dai nostri ricordi di Liceo il Pascoli quando, pieno di speranza, ci faceva declamare che “c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,anzi d’antico”.
Attilio Funaro
Direttore Confcommercio RC