Alì e Vitale: «Contro la ‘ndrangheta più che l’esercito serve un’idea di futuro»

di Francesco Alì – CdA Fondazione Di Vittorio
Sandro Vitale – Presidente ANPI Reggio Calabria

Nell’esprimere solidarietà e vicinanza al Procuratore Pignatone per il gravissimo atto intimidatorio di cui è stato vittima e nel ringraziarlo per il lavoro coraggioso e importante che, fino ad oggi, ha portato avanti nella battaglia contro la ‘ndrangheta, non possiamo non constatare che la risposta del Governo all’ennesima sfida della criminalità organizzata contro lo Stato, risulterebbe, ancora una volta, insufficiente se si limitasse, unicamente, alla vigilanza sugli obiettivi sensibili.

I simboli istituzionali sono importanti, ma lo sono anche le donne e gli uomini, magistrati e forze dell’ordine, che ogni giorno, sono sottoposti a rischi ed intimidazioni di ogni genere. La facilità con cui, per ben quattro volte, sono stati consumati attentati e intimidazioni al Procuratore generale Di Landro e a tanti altri magistrati impegnati nel contrasto alla ‘ndrangheta ci dicono che la strategia della criminalità organizzata è cambiata e che il sistema di tutele e protezioni non può considerare solo l’aspetto simbolico della salvaguardia delle basi strategiche come avviene nei territori in guerra. E non dobbiamo dimenticare, tra l’altro, che continuano a mancare drammaticamente nel sistema giustizia reggino (e non solo) uomini, mezzi e risorse e che mentre il Governo, da un lato, decide l’impiego dell’esercito, dall’altro, vorrebbe limitare l’uso delle intercettazioni che, ancora una volta, proprio a Reggio Calabria si è rivelato fondamentale per i successi investigativi.

Oggi continuiamo a chiederci se Reggio e i reggini, la Calabria e i calabresi non siano stati lasciati soli. Ci chiediamo se la grande manifestazione del 25 settembre sia servita per capire quali sono i reali bisogni dei calabresi. Ci chiediamo se la Calabria non venga considerata un territorio, perso o irrecuperabile.

Oggi, esistono due scuole di pensiero sulla possibilità di poter sconfiggere la ‘ndrangheta e il malaffare: secondo alcuni serviranno almeno un paio di generazioni, secondo altri, più ottimisticamente, riusciremo a sconfiggere la ‘ndrangheta in questa nostra vita.

Le manifestazioni e le iniziative dell’ultimo anno dimostrano che nella società calabrese ci sono gli anticorpi della legalità. Tuttavia, occorre avere ben chiaro, e non come puro esercizio accademico, che le manifestazioni non possono essere l’obiettivo, ma lo strumento attraverso cui si chiede e si ottiene qualcosa dal Governo; in questo caso, le condizioni per ripartire da legalità e sviluppo. Per far questo occorre che il Governo, con la stessa tenacia con in tanti abbiamo detto “No alla ‘ndrangheta”, metta in piedi un vero e proprio piano di contrasto alla illegalità che contempli la repressione, ma anche la formazione delle coscienze, lo sviluppo, le infrastrutture e il lavoro.

D’altra parte, è per questo che abbiamo messo in piedi il progetto “Quello che non ho” con cui, insieme ad una rete di associazioni, mutuando il titolo di una celebre canzone di Fabrizio de Andrè, stiamo sostenendo una campagna di raccolta firme da inviare, al Governo, attraverso il Ministro Maroni.

Occorre, però, passare dalla teoria, oggi dominante, della sicurezza “per lo” sviluppo ad una nuova e più efficace teoria della sicurezza “dello” sviluppo. Dobbiamo, cioè, affermare il principio secondo cui la sicurezza è componente essenziale dello sviluppo sociale ed economico. Non possiamo continuare a proporre la politica dei due tempi, occorre che ogni intervento finanziato in sicurezza debba essere accompagnato da un intervento nella formazione della cultura della legalità e da un investimento che produca sviluppo e lavoro vero.

Se questo sarà l’atteggiamento allora le forze sane della società, le Istituzioni, saranno un solido e credibile punto di riferimento per chi vuole difendere il proprio lavoro, rivendicare un diritto e chiedere risposte concrete ai propri bisogni di libertà e giustizia in una terra ricca di contraddizioni come Reggio Calabria e la sua provincia che, da un lato, guardano le grandi potenzialità che possono arrivare dallo Stretto e dal Mediterraneo e, dall’altro, non sanno liberarsi dal macigno della mafia. Per questi obiettivi ogni giorno dobbiamo essere al lavoro: per dire alle donne e agli uomini che hanno bisogno della speranza che deve bastare questa vita per sconfiggere la ‘ndrangheta, perché abbiamo diritto ad avere un’esistenza migliore e che l’imperativo che abbiamo è quello di lavorare perché il risultato arrivi prima possibile.

Per questo a chi pensa di salvarci con l’esercito rispondiamo: NON BASTA!!!!

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