di Fabio Papalia
La loro sarà una presenza “discreta”. In divisa verde oliva, pesanti scarponi anfibi ai piedi, e fucile Beretta Ar 70/90 in mano, i militari dell’Esercito Italiano arriveranno a Reggio Calabria, ma “solo” per presidiare obiettivi sensibili. Questa la decisione, presa all’unanimità, al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto ieri mattina dal prefetto Luigi Varratta, all’indomani del lanciarazzi fatto trovare alla polizia davanti al Cedir, sede della Procura, con una telefonata anonima: «C’è una sorpresa per Pignatone».
L’arrivo dei militari è solo questione di giorni, lo ha annunciato lo stesso prefetto, spiegando che «non passerà molto tempo. Per i passaggi istituzionali, ci vorranno due o tre giorni, dovrà riunirsi il Comitato nazionale per l’ordine pubblico e poi il provvedimento sarà ratificato dal governo. Nel frattempo – ha aggiunto – in attesa della decisione, è già stato annunciato l’arrivo di rinforzi per polizia, carabinieri e guardia di finanza con gli stessi compiti di vigilanza». «L’esercito – ha voluto precisare Varratta – non farà controlli del territorio e non ci saranno militari per le strade. Sarà impiegato l’esercito solo per la vigilanza degli uffici giudiziari. Il controllo del territorio è fatto dalle forze dell’ordine, ma anche la ‘ndrangheta lo controlla: dobbiamo far sì che sia in mano allo Stato».
Lotta alla ‘ndrangheta, ma anche alla “società collusa”. Giuseppe Pignatone, al quale è stata rafforzata la scorta, entrando in prefettura ha risposto così ai cronisti sul movente delle intimidazioni: «L’azione dello Stato ha avuto risultati sia contro la ‘ndrangheta, sia con quella parte di società collusa con le cosche». Ne siamo convinti anche noi, basta affidarsi alla statistica: per una volta applichiamo questa scienza alla politica, ma non per effettuare sondaggi elettorali. È mai possibile, secondo le leggi della statistica, che tra Consiglio comunale, provinciale, e regionale, l’unico politico in carcere sia il solo Mimmo Crea? Al termine della riunione, anche il prefetto ha fatto eco alle parole di Pignatone: ««C’è sempre una zona grigia su cui si sta indagando da tempo. Qualche risultato è già arrivato ed altri, ne sono sicuro, arriveranno».
Ma intanto arriva l’esercito. Non sappiamo, se per scongiurare la “minaccia bazooka”, sarà installata sulla terrazza del Cedir anche una batteria di Patriot, i missili che gli americani piazzarono in Israele per proteggere lo Stato ebraico dalla minaccia di quelli iracheni durante la guerra nel Golfo. Presidiando la Procura e la Procura Generale, replicano i favorevoli, l’esercito libererà uomini delle forze dell’ordine da quei compiti, per essere impiegati nella lotta alla ‘ndrangheta. Come se sconfiggere la piovra dipendesse da quella manciata di persone addette all’ufficio scorte. Chiamare l’esercito sembra più un “fallo di reazione” da parte dello Stato, che una mossa utile a costruire una valida azione da gol. Senza contare le ricadute negative, in termini di immagine, per la città. Ci pensa già la ‘ndrangheta, ad offuscare la reputazione di Reggio, senza bisogno che ci sia pure l’esercito per ricordarcelo. Che questa città sia malata, è fuori di dubbio, ma la medicina non è quella giusta. È come punire un bambino pelle e ossa, vittima della carestia, mandandolo a letto senza cena.
L’esercito in città l’abbiamo invocato, quando qualche estate fa i militari abbandonarono per sempre la Caserma Mezzacapo. E sarebbe stato anche questo un argomento in più per dire oggi “no, grazie”.
Comprendiamo però la scelta del Prefetto, chiedere al governo l’invio dell’esercito è la risposta più forte che Varratta potesse dare alla ‘ndrangheta di fronte all’escalation di intimidazioni. Pur compresa la scelta, però, non siamo affatto d’accordo sulla utilità, sull’efficacia, sull’adeguatezza dell’opzione militare. Più di così il Prefetto non poteva fare, né in tutta onestà gli si può chiedere, perché non compete a lui, coi poteri che ha, la soluzione. La vera risposta, se mai si decida di darla, dev’essere una risposta corale dello Stato. Da non confondere, per carità, con il “coro” di voci che si susseguono, sempre, puntuali, dopo ogni attentato.
Dopo la bomba alla Procura Generale, nel gennaio di quest’anno, ad esempio, si è detto che sarebbero stati aumentati gli organici, che sarebbe stata aumentata la videosorveglianza. Evidentemente così non è stato: se ancora ieri, prima di entrare in Prefettura, il procuratore generale Salvatore Di Landro invocava l’invio di più poliziotti e carabinieri, anziché dell’esercito; e se qualcuno in piena estate ha piazzato una bomba davanti al portone di casa dello stesso Di Landro senza che vi fossero telecamere di videosorveglianza. Reggio Calabria, addirittura, il 28 gennaio scorso ha ospitato per l’occasione il Consiglio dei ministri, riunito in riva allo Stretto per annunciare gli interventi anti ‘ndrangheta. A livello mediatico la cosa ha funzionato benissimo, ma nei fatti, come abbiamo visto, la ‘ndrangheta non ha minimamente abbassato la mira. Né può essere fatta una colpa al solo governo Berlusconi e ai suoi ministri. Le responsabilità, se ancora nel 2010 la ‘ndrangheta tiene banco in Calabria, vanno equamente suddivise con i governi e i vari schieramenti politici che si sono alternati alla guida del Paese fin dal dopoguerra. Pensare di ottenere un risultato immediato, può dar frutti solo fino al tg della sera. Il guaio è che non si riesce a intravedere scelte strutturali, capaci di incidere nel tempo.
«I danneggiamenti, particolarmente mediante l’impiego di materie esplodenti, gli incendi dolosi, i tagli di piante, gli spari a scopo intimidatorio, continuano purtroppo a occupare la cronaca nera della nostra provincia, malgrado l’intensa opera svolta – specie in questi ultimi tempi – sia nel settore repressivo, con l’arresto di numerosi latitanti, sia nel campo preventivo…».Sembrano parole dette ieri, eppure non sono del Questore Carmelo Casabona, bensì del Questore Emilio Santillo, in un’intervista rilasciata a Luigi Malafarina per Gazzetta del Sud nel giugno 1969. Quarantuno anni dopo, e non è cambiato nulla. La polizia, i carabinieri, la guardia di finanza, continuano ad arrestare numerosi latitanti, ma i danneggiamenti, l’impiego di esplosivi, gli incendi dolosi, gli spari, continuano a occupare la cronaca nera della provincia. Eppure un timido risveglio della società civile c’è stato. Oggi si marcia, si manifesta, ci si indigna, ma ancora al 113 e al 112 arrivano per lo più telefonate per il volume della tv dei vicini troppo alto, sono sempre rarissimi i casi di qualcuno che segnali un uomo sospetto, men che meno di aver visto qualcosa dopo un delitto. Il cambiamento culturale è auspicabile, ovviamente, ma da solo non basta contro la ‘ndrangheta. Fosse così, basterebbe far venire un esercito di preti, anziché di soldati.
Anche solo un maggior numero di uomini e mezzi delle forze dell’ordine, non accompagnato da altre misure, potrà servire ad aumentare il numero di latitanti catturati, potrà servire a fare arrestare più affiliati alla ‘ndrangheta, ma fra 10 o 20 anni, quelle parole di Santillo saranno ancora attuali. Accanto alla risposta da dare “su strada”, cosicché la vedano i cittadini e si sentano rassicurati, va data una risposta “meditata”. I Processi: servono magistrati per gli uffici giudiziari, servono impiegati per le cancellerie. Le Norme: servono pene che una volta inflitte vengano fatte rispettare fino alla fine, nei paesi civili la chiamano “certezza della pena”. Stipendi e risorse per le forze dell’ordine: servono soldi per pagare i poliziotti, per colmare gli organici, servono soldi per comprare carta e toner per le stampanti, magari qualche computer non guasterebbe. Carcere duro: le investigazioni in Sicilia furono aiutate dal 41 bis, ma una volta ridimensionata la mafia, lo Stato ha smantellato i “santuari” di quel regime carcerario, forse riaprire Pianosa e l’Asinara farebbe più paura dell’esercito. Accertamenti patrimoniali: giusto per capire da dove arrivano i soldi per comprare le costosissime automobili che vediamo ogni notte parcheggiate sul Corso Garibaldi, dove la mattina spuntano nuovi negozi come fossero funghi. Posti di lavoro: chi non ha nulla non ha nulla da perdere. Con un posto di lavoro fisso, e non precario, e con uno stipendio dignitoso, e non da precario, chi rischierebbe una pena “certa”, e non più precaria?
Saremmo anche noi ben lieti di accogliere l’esercito, se venisse a Reggio Calabria per portarci alcuni di questi doni, come se fossero “aiuti umanitari”.