Ecco la foto di “un” lanciarazzi

Il lanciarazzi sequestrato (photo ASA)

Reggio Calabria. «Tanto, chi vuoi che se ne accorga». Probabilmente è andata più o meno così, martedì mattina in Questura, quando sono partite le telefonate ai giornalisti, ai fotoreporter e ai cineoperatori. «Fra 15 minuti potrete fotografare il bazooka». “Un” bazooka, avrebbero dovuto dire.
L’arma, il lanciarazzi RBR M 80 di fabbricazione jugoslava, era quello fatto ritrovare di notte davanti al Cedir. O almeno così pensavamo.

E invece i bravi colleghi di La7, ieri sera hanno smascherato il trucco. Il lanciarazzi mostrato alla stampa nella sala Nicola Calipari, non è quello rinvenuto davanti al Cedir. Il giallo è durato poco, fin quando il capo della squadra mobile è stato così cortese da chiarire: “Quello mostrato ai giornalisti non era l’originale, noi non abbiamo detto che quello era l’originale, in quanto quello ritrovato sotto il materasso era tutto imbrattato e sottoposto a rilievi da parte della Polizia scientifica. Noi abbiamo solamente fatto vedere un modello simile per rendere l’idea della micidiale arma”.
Chiarito l’equivoco. Tutti concentrati a guardare il lanciarazzi, ancora col fiatone per la corsa in quindici minuti, non ci eravamo resi conto che “non ci era stato detto” che era l’originale. Però, a pensarci bene, non ci era nemmeno stato detto che “non era” l’originale. Un equivoco, appunto, così definito anche dal Procuratore Giuseppe Pignatone, in onda ieri sera su Rai2, che ha parlato di “equivoco nel circuito informativo tra Questura e stampa”.
Eppure… bastava dirlo. Che ci vuole? Avremmo apprezzato che qualcuno ci avesse detto “è un modello uguale”, perché di questo si tratta.

È risibile, infatti, che qualcuno possa prendere a pretesto questo curioso episodio per adombrare dubbi sul fatto che realmente sia stato rinvenuto un lanciarazzi al Cedir. E così, mentre noi scattavamo le foto sul lanciarazzi adagiato sulla scrivania della sala Calipari, sotto gli sguardi compiaciuti di poliziotti in divisa e degli artificieri, l’arma originale oggetto di minacce al procuratore Pignatone era effettivamente all’esame della Scientifica.
I controlli, in casi del genere, non sono affatto semplici, né tanto meno brevi. Il fatto che l’arma sia “usa e getta” e quindi non più riutilizzabile, non significa che non vada accuratamente controllata prima di poterla aprire per esaminarla. Basterebbe inserire una bomba a strappo all’interno del tubo, per uccidere un incauto esaminatore. Senza contare i rilievi, la ricerca di impronte digitali, che vanno fatti su tutta la sua superficie. L’arma esiste, e non proviene nemmeno dallo stesso lotto dei lanciarazzi analoghi rinvenuti nella Piana di Gioia Tauro.
L’episodio, ovviamente, non scalfisce minimamente la credibilità della Polizia di Stato, ma nessuno se ne abbia a male quando, la prossima volta che vedremo un latitante sfilare fuori dalla Questura, chiederemo, a scanso di equivoci: “È proprio lui, o il suo sosia?”.
Nella foto: un lanciarazzi simile a quello sequestrato al Cedir

Fabio Papalia
(photo ASA)

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