‘Ndrangheta, pentiti, Esercito. Intervista al Questore Casabona: «Ci sono tutti i presupposti per la “primavera” di Reggio»

«L’Esercito a Reggio ci fa “risparmiare” 80 uomini»

Sulla gestione del pentito Lo Giudice: «Siamo attrezzati per capire se ci sono depistaggi»

di Angela Panzera
L’Esercito è giunto a Reggio Calabria. I soldati sono arrivati in riva allo Stretto dopo la serie di intimidazioni alla Magistratura reggina, su richiesta del comitato provinciale dell’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Prefetto Luigi Varratta. Il loro compito sarà quello di vigilare i cosiddetti obiettivi sensibili, ossia Procura della Repubblica, Procura Generale, Corte D’Appello e la casa del procuratore generale Salvatore Di Landro. Questi siti saranno difesi dagli uomini appartenenti al Reggimento Bersaglieri di Cosenza, alla Brigata Aosta di Messina e al 62° Reggimento Fanteria Sicilia di Catania. Non è la prima volta che l’esercito viene impiegato a Reggio e nelle città italiane. A Caserta, ad esempio, i militari hanno dato sostegno all’opera dell’allora Questore Carmelo Casabona, impegnato nella lotta alla camorra e nei disordini tra immigrati. Oggi Casabona è il Questore di Reggio Calabria. Dopo avere domato con successo la rivolta tra immigrati e una frangia di rosarnesi, adesso nella lotta alla ‘ndrangheta il Questore potrà contare anche sull’Esercito. E’ a lui che abbiamo chiesto di spiegarci l’impiego dei soldati e di dissipare i dubbi sulla necessità del loro impiego.

Siamo sicuri che l’Esercito utilizzato così sia la soluzione migliore?
«Le nostre richieste sono state realizzate, perché si doveva dare un segnale forte della presenza dello Stato, ed in questo il governo ci ha supportato in toto. La nostra è stata anche una scelta tecnica perché se non avessimo avuto l’esercito, questo servizio avrebbe dovuto essere effettuato dalle forze di polizia territoriali. Ciò avrebbe comportato la “perdita” di 80 uomini. Avere qui l’esercito significa che abbiamo “risparmiato” ottanta uomini. Gli uomini dell’esercito sono eccezionali, li ho avuti a Caserta dove ho amministrato, tra rinforzi e militari, 500 persone; e lì il servizio è stato efficace. Si è vista subito l’importanza di questi servizi. Qua il loro impiego non è dinamico, ma è un servizio statico. Anche se molti non si rendono conto di cosa vuol dire tutto questo. Per staticità del servizio si intende tutelare un bene, un ufficio e un’istituzione. È un lavoro normale, non comporta dinamicità, non comporta presenza nelle strade, controllo del territorio, non comporta ronde con le automobili, è semplicemente un aiuto. Molti si sono spesi su questo argomento definendolo inutile, senza però rendersi conto di che cosa sta facendo l’esercito a Reggio Calabria. Non è giusto dire che è inutile.
Se non ci fossero i militari avremmo tolto 80 uomini dagli uffici di prevenzione, o dagli apparti investigativi, per fare un servizio statico. Semmai, dobbiamo ringraziare questi ragazzi che stanno svolgendo questo servizio, perché ci consentono di lavorare meglio.
L’esercito in città è una risposta forte della presenza dello stato. È stata una soluzione che ci ha consentito di lavorare meglio. Al di là del discorso generico di criminalità organizzata, di cui Reggio e provincia è attraversata in maniera profonda, noi adesso abbiamo un sistema che ci consentirà comunque di guardare oltre.

Lei per Reggio Calabria vede la luce oltre il tunnel?
«Se in Sicilia e in Campania si è sviluppata un’attività di riscossa al crimine organizzato, è arrivato il momento di farlo anche a Reggio Calabria, e ci sono, infatti, tutti i presupposti perché ciò possa succedere. Tali presupposti sono diversi, intanto una presenza molto qualitativa, di magistrati funzionari e di appartenenti alle forze dell’ordine di qualità estrema nell’ambito investigativo. Abbiamo tutte le coincidenze favorevoli per portare e trascinare la Calabria, fuori da questa “palude” da cui, da molti anni, è sommersa. Ritengo che stiamo percorrendo una strada molto buona, perché questo periodo l’ho già vissuto in Sicilia fin dall’era dei primi pentiti. Ricordo quando ero a Palermo, quando ho gestito la guerra di mafia di Gela, e dei primi collaboratori di giustizia, ne abbiamo avuti sessanta. Lì abbiamo sconfitto totalmente la mafia della provincia di Caltanissetta e non solo, perché i pentiti siciliani ci hanno portato anche all’estero. Mi auguro che questa stagione, che questa “primavera”, possa restituire alla Calabria una condizione favorevole per uno sviluppo normale».

La gestione dei pentiti

La Calabria è per tradizione una terra povera di pentiti, rispetto quantomeno alla vicina Sicilia e alla Campania. Da quasi un mese si è registrato l’aumento dei collaboratori di giustizia. Prima Cosimo Villani, poi il nipote dell’ex super latitante Giovanni Tegano, Roberto Moio, ed infine il più recente Nino Lo Giudice, fermato, tra l’altro dagli uomini della Squadra Mobile, che si è anche assunto le responsabilità delle intimidazioni perpetrate alla magistratura locale. Come mai secondo lei proprio in questo periodo stiamo assistendo ad un fenomeno sconosciuto per la Calabria. La pressione e la repressione delle operazioni di polizia si sta facendo sentire?

«In Calabria si è aperta una stagione nuova. Tutti dicevano che qui non ci potevano essere pentiti. E invece tutte le istituzioni, a qualsiasi livello, hanno smentito questa teoria. Ognuno sta facendo la propria parte in modo perfetto e in modo determinato, cercando di guardare un po’ più lontano. Questo modo di procedere, i suoi frutti li sta portando. Perché è l’attività quotidiana che sfa cambiare le cose, non sono i grandi eventi che sconvolgono la situazione. È ciò che ogni giorno si costruisce. Io sono consapevole di quello che abbiamo fatto, non è un caso che Lo Giudice si sia pentito con la Polizia, perché c’è dietro tutta un’attività quotidiana di esempio, di dedizione, di risultati positivi, che hanno fatto in modo di favorire la collaborazione offerta da questi personaggi. È il lavoro quotidiano che premia. Ciò che cambia il mondo sono sempre le piccole cose fatte ogni giorno. Noi siamo quelle persone che abbiamo lavorato ogni giorno, facendo un passo dopo l’altro, non solo nel contrasto alla criminalità organizzata, ma anche e soprattutto nel contrasto a quella che viene chiamata micro criminalità. Non per niente abbiamo un Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico che, in rapporto al numero di abitanti, è uno dei migliori d’Italia. Non c’è un evento, un furto, uno scippo, una rapina, in cui non interveniamo o quantomeno non ci prodighiamo per risolvere. Si parte sempre dal lavoro quotidiano per poi arrivare alle inchieste più grandi».

Ritornando al neo pentito Lo Giudice, ci possiamo fidare delle sue dichiarazioni o ci potrebbe essere “qualcosa sotto”?
«Non facciamo dietrologie o “tragedie”. Chi gestisce i pentiti oggi, magistratura e polizia, siamo un po’ tutti “vaccinati”. Io personalmente ne ho già trattati una trentina. Il procuratore Giuseppe Pignatone, molti di più, il capo della Squadra Mobile Renato Cortese, altrettanto, quindi siamo persone che sappiamo qual è il nostro mestiere, non cadiamo certo in qualsiasi tipo di depistaggio. Il lavoro che seguirà dopo le dichiarazioni di Lo Giudice, mirerà a vagliare attentamente ogni parola resa. Come se si usasse una lente d’ingrandimento. Non ci sono pericoli in tal senso, perché siamo attrezzati per capire se ci sono depistaggi. Verranno fatti tutti i riscontri del caso. Ognuno di noi ha un bagaglio professionale tale da non farsi di certo ingannare».

Gli atti relativi alle dichiarazioni di Nino Lo Giudice sono già stati trasmessi alla Procura della Repubblica di Catanzaro, che per competenza è titolare delle indagini relative alle minacce subite dai magistrati degli uffici di Reggio Calabria?
«Sì, mi risulta che gli atti sono stati già inviati a Catanzaro. Il Procuratore Vincenzo Lombardo è un magistrato che ho già avuto modo di conoscere, ha una capacità di equilibrio eccezionale, nonché sensibilità e competenza. Questo ci tranquillizza per quel che riguarda il prosieguo dell’attività di indagine e la gestione dei collaboratori di giustizia su questa tematica».

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