‘Ndrangheta. I dettagli sul fermo di Antonio Cortese, “armiere” della cosca Lo Giudice

Reggio  Calabria. La premessa è servita per spegnere l’entusiasmo dei cronisti. Il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, in occasione della conferenza stampa per il fermo di Antonio Cortese, ha preso in contropiede i giornalisti annunciando che non avrebbe risposto in merito al coinvolgimento di Cortese negli attentati alla magistratura. «La Procura di Reggio Calabria – ha spiegato Pignatone – ha emesso il decreto di fermo nei confronti di Antonio Cortese “solamente” per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, in quanto appartenente alla cosca Lo Giudice. Fermo che è stato eseguito – ha aggiunto – con la solita “straordinaria” professionalità dagli uomini della Squadra Mobile» diretti da Renato Cortese, e in particolare dalla Sezione reati contro il patrimonio diretta dal vice questore aggiunto Franco Oliveri.
A indicare Cortese quale “esperto di esplosivi” e affiliato alla ‘ndrangheta è stato il boss pentito Antonino Lo Giudice, capo dell’omonima cosca. Lo Giudice ha affermato di avere dato a Cortese l’incarico di piazzare le bombe esplose alla Procura Generale e sotto casa del procuratore generale Salvatore Di Landro, oltre al bazooka fatto ritrovare davanti alla Procura della Repubblica.
Questi episodi, però, in quanto vedono come parte lesa i magistrati reggini, sono di competenza della Procura della Repubblica di Catanzaro, diretta da Vincenzo Lombardo. Ed è proprio su questi aspetti, e sulle motivazioni che avrebbero spinto Lo Giudice a far piazzare le bombe, inaugurando la strategia della tensione, che Pignatone si è rifiutato categoricamente di parlare: «Non ho né titolo né la volontà di esprimere valutazioni sulle motivazioni che stanno dietro agli attentati del 3 gennaio e del 26 agosto. Caso mai queste domande le dovreste rivolgere al procuratore della Repubblica di Catanzaro»

La soddisfazione degli inquirenti
Chiarito ciò di cui non avrebbe parlato, il procuratore si è soffermato sui dettagli di competenza della DDA di Reggio Calabria. Il fermo di indiziato di delitto è stato disposto perché su Cortese gravano gravi indizi di colpevolezza di essere appartenente ad associazione mafiosa, reato punito dall’art. 416 bis del codice penale. Oltre alle dichiarazioni accusatorie dello stesso capo cosca Antonino Lo Giudice e del cugino di questi, Consolato Villani, gli investigatori hanno raccolto altri elementi di riscontro, acquisiti in atti pregressi di altri procedimenti giudiziari. Il riferimento è al ritrovamento di armi per le quali fu arrestato il fratello di Cortese. E invece, secondo l’accusa, sarebbe proprio lui l’elemento della cosca abile nella preparazione di ordigni esplosivi e nell’uso di armi. Insomma, se Lo Giudice ha fatto ritrovare la “Santa Barbara” della cosca, 11 armi custodite in un’armeria, sarebbe proprio Cortese l’armiere, l’artificiere della ‘ndrina Lo Giudice.

Il Questore Carmelo Casabona, dal canto suo, ha posto l’accento sul momento estremamente importante per la storia di Reggio Calabria: «Un momento storico eccezionale, per la prima volta abbiamo collaboratori di Giustizia non solo attendibili, ma che offrono la possibilità di riscontri immediati».

Le fasi della cattura
La caccia a Cortese è iniziata la notte a cavallo tra giovedì e venerdì, quando mentre venivano sequestrate le armi nell’armeria indicata da Lo Giudice come il luogo dove veniva custodita la “Santa Barbara” della cosca, gli uomini della squadra mobile si sono recati a casa di Antonio Cortese, 48enne commerciante di frutta e verdura e titolare di una profumeria gestita dalla moglie, con due decreti di due diverse autorità giudiziarie da eseguire. L’uno, era il decreto di fermo disposto dalla DDA reggina, l’altro un decreto di perquisizione e sequestro della DDA di Catanzaro. Quella notte Cortese era già da tempo all’estero. E’ iniziata quindi una faticosa attività di ricerca, che ha portato alla cattura di questa mattina a Trieste, al confine con la Slovenia. Cortese tornava dalla Romania, su un pullman. Alle 8.00 il pullman è stato intercettato al confine, l’uomo non ha opposto resistenza e ha declinato le sue vere generalità. Finalmente un po’ di meritato riposo per gli uomini della sezione reati contro il patrimonio, che da 7 giorni lavoravano giorno e notte sulle sue tracce.
Il legale di Cortese in mattinata, dopo che è stata diffusa la notizia del fermo eseguito a Trieste, ha rilasciato a un’agenzia di stampa delle dichiarazioni in cui affermava che il suo assistito stava rientrando in Italia proprio per costituirsi. «Casi in cui tra difensore e pm si prospetta la volontà di costituirsi sono frequenti – ha spiegato Pignatone – ma normalmente viene tradotta in un atto difensivo portato a conoscenza del procuratore. Io non sono stato informato di nulla al riguardo. In ogni modo, anche quando questa volontà venisse esplicitata, le indagini volte alla cattura proseguono e, come abbiamo visto in questo caso, danno i loro frutti».

Fabio Papalia

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