Patti. Carabinieri sequestrano beni per circa 500 mila euro ad un operaio indagato per usura

Patti (Messina). Dall’alba di questa mattina, una ventina di Carabinieri della Compagnia di Patti stanno eseguendo le formalità per procedere al sequestro di beni patrimoniali per circa 500.000 euro nei confronti di un operaio edile di Brolo, in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Patti su richiesta della locale Procura della Repubblica. Giuseppe Tranchida 38enne, di Brolo, operaio edile, risulta indagato per usura. Il 6 febbraio 2009 i Carabinieri della Compagnia di Patti lo avevano arrestato nel corso di articolate indagini dalle quali era emerso che l’uomo prestava denaro ad interessi che variavano dal 15% al 20% mensile, sino a raggiungere il tasso del 180 % annuo. L’aggressione ai patrimoni acquisiti illecitamente è una delle principali attività con cui si realizza il contrasto alla criminalità, procedendo, parallelamente alle attività investigative, a tutti quegli accertamenti finalizzati a verificare se esiste sproporzione tra i beni accumulati e la capacità reddituale. Vittima dell’attività usuraia del Tranchida sarebbe stato un imprenditore edile anch’egli di Brolo, già dichiarato fallito e quindi con l’accesso negato agli sportelli bancari per ogni richiesta di prestito. In otto anni, a fronte di un iniziale debito di soli 30 mila euro, l’imprenditore è stato costretto a versare al presunto usuraio circa 100 mila euro, facendo ricorso anche ad amici e parenti.
Il nominativo del Tranchida era emerso anche in relazione ad un’altra attività investigativa condotta dai Carabinieri di Patti, scaturita dal suicidio dell’artigiano brolese Santino Campo, alcuni assegni del quale erano stati monetizzati proprio dal Tranchida. Proprio il giorno del suo arresto, durante la perquisizione domiciliare, i militari dell’Arma hanno rinvenuto una copiosa documentazione dalla quale emergevano diversi rapporti finanziari e bancari, ma soprattutto una serie di scritture private relative a transazioni immobiliari che hanno insospettito gli investigatori. Sono subito scaturiti degli accertamenti patrimoniali, che hanno riguardato non solo il Tranchida ma anche la moglie convivente. I Carabinieri dell’Aliquota Operativa della Compagnia di Patti hanno così monitorato tutti gli acquisti di beni immobili e mobili dell’intero nucleo familiare, raffrontando poi gli stessi ai redditi dichiarati nell’arco di tempo che va dal 1998 al 2009. Dagli accertamenti è emersa una sproporzione evidente, che ha permesso di avanzare una proposta di sequestro dei beni ai sensi dall’art 12 sexies della legge n. 356/1992, la quale prevede, appunto, la confisca di tutti i beni di cui i condannati per reati di mafia, droga, estorsioni ed usura, dispongono ma di cui non riescono a dimostrare la provenienza lecita.
I militari dell’Arma hanno trasmesso la proposta alla Procura della Repubblica di Patti, ed il Sostituto Procuratore Rosanna Casabona ha avanzato una richiesta di sequestro preventivo al GIP, che nei giorni scorsi ha emesso il decreto di sequestro dei beni. In tema di sequestro beni, in caso di indagati e/o condannati per reati gravi, quali appunto l’usura, la legislazione e la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione attribuiscono l’onere della prova all’indagato, il quale deve dimostrare il reddito legittimo da cui proviene il bene e la veritiera appartenenza dello stesso. Nel caso del Tranchida, i Carabinieri hanno accertato che a fronte di redditi bassi, ondulanti tra i 14 milioni di lire del 1998 ed i 18 mila euro del 2008, cui vanno aggiunti i redditi dichiarati della moglie, che variano da circa 1,100 a 7,800 euro annui, la famiglia ha continuato nel tempo ad accumulare beni immobili, acquistando appartamenti ed altri locali, autovetture e motocicli, senza avere però la relativa capacità reddituale. Tra le carte rinvenute dai Carabinieri in occasione dell’arresto, vi erano pure scritture private dalle quali emergeva chiaramente che il Tranchida aveva acquistato immobili ad un prezzo reale due volte maggiore di quello dichiarato nell’atto di acquisto, con somme pagate in nero, come nel caso di un locale di contrada Sant’Anna di Brolo, di fatto pagato 22.000,00 euro e non 10.000,00 euro come scritto sull’atto di acquisto. Il Tranchida, inoltre, avrebbe acquistato un garage girando direttamente al proprietario le cambiali ricevute dall’imprenditore vittima di usura.
La rilevanza rivestita dalla legge 356/1992 nell’azione di contrasto alla criminalità, sta nel fatto che il giudice non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili ed il reato per cui ha pronunciato condanna e nemmeno tra questi stessi beni e l’attività criminosa del condannato; una volta intervenuta la condanna, va sempre ordinata la confisca quando sia provata la sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità, ed il reddito da lui dichiarato.
Nel caso di Tranchida Giuseppe, non vi è stata condanna. Il procedimento per il quale risulta indagato è tuttora in corso, ma il Gip, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza in merito al reato di usura, ed al fine di preservare i patrimoni che in caso di condanna andrebbero confiscati, ne ha disposto il sequestro preventivo ai fini della confisca. Il sequestro dei beni ha riguardato tre appartamenti siti in Brolo, uno in via Pio La Torre, l’altro in Contrada Lacco ed una mansarda in Via Ferrara, quattro magazzini siti nelle contrade Piana e Sant’Anna, due dei quali intestati alla moglie di Tranchida. Sono stati sequestrati anche un fuoristrada Land Rover Freelander e un motociclo Beverly 500 intestati al Tranchida Giuseppe, un’autovettura Fiat Panda intestata alla moglie, un libretto di deposito cointestato ai due coniugi, un c/c intestato alla moglie ed un libretto di risparmio postale intestato alla figlia minore. Le somme esistenti sui depositi e sul conto corrente sarà conosciuta dai Carabinieri al momento del sequestro di oggi. L’usura è un fenomeno criminale ancora diffuso nell’hinterland pattese e brolese, che resta sommerso poiché spesso le vittime preferiscono non denunciare pur di tenere nascoste le proprie difficoltà economiche.

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