Lo storico Salvatore Santuccio, Dottore di ricerca in “Storia delle Istituzioni” e docente di “Storia della città e del territorio” presso il Corso di Laurea in Urbanistica della Mediterranea di Reggio Calabria, conclude brillantemente l’affresco storico sull’area dello Stretto avviato su questa Rubrica dal Prof. Giuseppe Caridi, Ordinario presso l’Università di Messina.
(E.C.)
Profilo storico dello stretto di Messina in età moderna: Reggio e Messina tra catastrofi e tentativi di ricostruzione
di Salvatore Santuccio
Fernand Braudel (1998) parlando del Mediterraneo lo descrive come un elemento che “isola e insieme unisce”, unifica paesaggi e generi diversi di vita, non un mare ma un susseguirsi di mari, non una civiltà ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Da sempre infatti il Mediterraneo, visto nella sua dimensione di “pianura liquida” (Di Bella – Iuffrida, 2004), ha avuto una funzione di trasmissione culturale oltre che economica tra “un’isola non isola” (Benigno 2003) la Sicilia e il vecchio continente. Una storia di relazioni che in particolare tra Calabria e Sicilia ha visto la sopravvivenza di un fragile sistema portuale, costituito da Tropea, dagli approdi di Pizzo, Santa Venera, Sant’Eufemia, Nocera ed altri minori da una parte e da Palermo, Catania, Siracusa e Augusta dall’altra, che fino all’epoca borbonica hanno avuto vita difficile fatta di sovvenzioni comunali, interventi militari, e mantenimento del centro degli affari in quell’inquieto specchio di mare tra Reggio e Messina.
L’inizio del Cinquecento come è noto segna un momento di svolta per il Mediterraneo con lo spostamento dei traffici nell’Atlantico e, come se non bastasse, Ferdinando il Cattolico dovette frenare sia l’avanzata ottomana e barbaresca nord-africana ma anche un pericolo forse più grave per la legittimità della sua corona: l’avanzata dei gruppi autonomistico-oligarchici che, soprattutto in Sicilia tentavano di rendersi il più possibile indipendenti dal potere centrale. Una delle protagoniste di questa opposizione alla corona spagnola fu proprio Messina che tentò di opporsi alle vessazioni del viceré mentre Reggio faceva i conti con le frequenti invasioni del pirata Barbarossa e i disastri del terremoto del 1562 che distrusse totalmente Punta Calamizzi, antico porto della città.
Se il pericolo dei pirati aveva frenato il commercio nello Stretto, il Seicento fu un secolo di ripresa in particolare per la sericoltura ed il bergamotto oltre che per l’attività cantieristica. La fine di questo secolo vide Messina, e in generale parte della Sicilia orientale aggravata da una pesante carestia che portò ad un quadriennio di rivolte (1674-1678) non solo contro l’autorità spagnola ma anche a razzie perpetrate dai messinesi sulle spiagge della Calabria ed a un’esplosione del contrabbando tra le due sponde dello Stretto, mente venivano fermate le navi in transito e sequestrato il loro carico. La sconfitta della rivolta di Messina, sancita dall’ingresso nella città dal governatore di Reggio Calabria il conte Teodoro Barbò, portò per la Sicilia un periodo di “amministrazione controllata” da governatori militari capitanati da Francesco Bonavides, conte di Santo Stefano, che lasciò l’isola preda di pesanti vessazioni.
Il Settecento vide i Regni di Napoli e di Sicilia unificati nella persona di Carlo III che cominciò a pianificare una lenta ripresa agognata dalle città meridionali, Carlo fece il suo ingresso trionfale a Messina l’11 marzo del 1735, accolto dal giubilo popolare confermando alla città il porto franco, centrale per risollevarne l’economia della città pianificando anche una riforma del Consolato della Seta. I segni di ripresa furono però spenti quasi subito all’arrivo nel 1743 di un’epidemia di peste che decimò la popolazione di entrambe le città e che perdurò per circa tre anni; a questa seguì il 5 febbraio 1783 un violento sisma che distrusse Messina e gran parte della Calabria e che ovviamente frenarono qualsiasi ripresa economica
Wolfgang Goethe arrivando a Messina nel 1787 osservava come non vi era nulla “di più lugubre della cosiddetta Palazzata”; egli si riferiva al crollo della Palazzata seicentesca, tuttavia per la città la ricostruzione post sisma rappresentò un’occasione di rinnovo e rilancio del porto oltre che di ricostruzione dell’assetto edilizio della città. Infatti sono del 1788 i progetti degli architetti Giovanni Francesco Arena e Francesco Saverio Basile che pianificarono il nuovo piano urbanistico della città mentre l’abate Giacomo Minutoli progettò nel 1809 la nuova Palazzata (Mazza, 2007). Anche Reggio tentò di riprendersi attraverso una nuova pianificazione urbanistica affidata dall’ingegner Giambattista Mori, che fece riedificare gli edifici con criteri più razionali e tracciando strade orizzontali ed ortogonali.
Il periodo a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento vedono in Sicilia la permanenza dei Borbone con Ferdinando I, sotto il protettorato inglese, mentre tutta la penisola italiana è in mano a Napoleone. Il decennio inglese (1806-1815) fu per Messina estremamente proficuo; se da un lato la città rappresentava il punto più estremo di un regno e per questo veniva ulteriormente fortificata, dall’altro la permanenza della British Army fu per la città fonte di trasformazioni territoriali e soprattutto di commercio con l’arrivo in città di numerose ditte e mercanti provenienti dall’Inghilterra. Da Messina partivano per l’Inghilterra prodotti agricoli siciliani (in particolare agrumi, olio d’oliva, grano, vino, uva passa, succo di liquirizia oltre che semilavorati come la manna, lo zolfo, la seta e il tartaro), mentre i negozi inglesi ubicati nella nuova Palazzata offrivano numerosi prodotti tessili e siderurgici oltre che provenienti dalla colonie. In generale poi la permanenza inglese in Sicilia riuscì a rianimare il dibattito culturale nell’isola, un esempio per tutti la pubblicazione della Gazzetta Britannica, e a dare una veste costituzionale al regno con la promulgazione della costituzione del 1812. Dall’altra parte dello Stretto anche il governo francese portò una efficace riforma amministrativa con la formazione delle intendenze oltre che a ulteriori sistemazioni del tessuto urbano, anche se nel 1810 fu bombardata dalla flotta inglese.
Il congresso di Vienna ridiede Napoli e la Sicilia nuovamente ai Borbone che l’anno successivo unificarono i regno col nome di Regno delle Due Sicilie e per Messina e Reggio Calabria si aprirono le prospettive di un miglioramento a livello politico ed economico con la nomina di entrambe le città ad intendenza (capoluogo di provincia). In particolare Messina manteneva la sua caratteristica di porto franco con la possibilità di amplificare i propri commerci. Dopo i moti rivoluzionari del 1848 che videro le città dello Stretto politicamente attive e aperte alle novità liberali, le troviamo partecipi al passaggio di Garibaldi nel 1860 e all’impresa della costruzione della nascente Italia.
L’inizio del Novecento blocca nuovamente qualsiasi attività di espansione politico-commerciale ed in particolare quando il 28 dicembre 1908 Messina e Reggio furono interessate da uno degli eventi sismici più catastrofici che la storia d’Italia ricordi. Il sisma che devastò numerosi centri della Calabria meridionale e della Sicilia orientale fu di 7,2 gradi della scala Richter e causò un impressionante tsunami con ondate devastanti alte dal 6 ai 12 metri. Impressionante fu il numero dei morti: 80.000 circa a Messina mentre a Reggio se ne contarono più di 30.000.
La ripresa fu lenta; il Parlamento deliberò la ricostruzione di Messina nello stesso luogo ma non fu realizzata la Palazzata che aveva sino a quel momento simboleggiato il rapporto della città con il mare segnando anche il declino degli affari commerciali. Reggio cominciò ad essere ricostruita e successivamente, in periodo fascista, si avviò la costruzione della “Grande Reggio”. Il progetto, voluto dal podestà Giuseppe Genoese Zerbi proponeva la creazione di un’unica area urbana attraverso la fusione alla città di altri quattordici comuni: Catona, Gallico, Ortì, Podargoni, Mosorrofa, Gallina, Pellaro, Cannitello, Villa San Giovanni, Campo Calabro e Fiumara, raggiungendo la popolazione di 100.000 abitanti. Dopo i bombardamenti della prima e seconda guerra mondiale che subirono entrambe le città inizia un nuovo tipo di progetto per lo stretto che porterà, in epoca imminente, verso l’area metropolitana.