La Prof. Maria Adele Teti, Ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università “Mediterranea”. grande esperto di Gis (Sistemi informativi geografici), ed Autrice di un “classico” come “La pianificazione delle aree archeologiche. Carta dei vincoli archeologici della Calabria” (Gangemi Editore, Roma, 1993), ci propone questa settimana una riflessione sull’area metropolitana dello stretto dal particolare punto di vista del rapporto informatica / aree archeologiche.
(E.C.)
I Sistemi Informativi Geografici (GIS) per la pianificazione delle Aree Archeologiche
di Maria Adele Teti
Sono sempre più numerosi i piani di area vasta, provinciali o regionali, che pongono al centro dell’attenzione il tema archeologici. In linea generale, sono due i fattori che spingono verso una maggiore valutazione e complementarietà del bene archeologico all’interno del quadro più complesso delle risorse territoriali: l’azione di salvaguardia, legata al processo conoscitivo e interpretativo della storia del territorio e quella, più recente, di attrattore di flussi di turismo culturale in grado di promuovere lo sviluppo ecosostenibile del territorio.
L’inserimento del bene archeologico in un sistema interdisciplinare di indagine, relativo alla storia del territorio e all’analisi delle trasformazioni, ha reso possibile il successivo passaggio alla pianificazione urbanistica, in cui l’azione di vincolo perde la funzione di controllo per assumere quello di indirizzo normativo specifico alla pianificazione comunale.
Il piano di area vasta, fornisce, pertanto, un quadro di conoscenze approfondito, anche nel settore archeologico, da aggiornare costantemente, assieme a elementi di indirizzo normativo o, qualora risulti necessario, di indicazioni cogenti specifiche per la pianificazione comunale (piani strutturali).
Il dato archeologico può fornire ulteriori elementi di valutazione sull’interpretazione del sistema insediativo storico e del patrimonio architettonico, così come possono trovarsi interessanti nessi tra la rete della viabilità storica e l’insieme delle permanenze storiche. Significative considerazioni potranno ancora essere tratte dall’incrocio dei dati archeologici con i vari usi del suolo, urbano o agricolo, per far emergere il livello di sensibilità del territorio ed il rischio archeologico ad esso connesso.
Le informazioni ottenute dalle indagini, sono state, nella quasi totalità dei casi, inserite in un database collegato a software Gis, al fine di archiviazione, aggiornare, e interpolare dati eterogenei (dati geologici, dell’uso del suolo, del sistema insediativo e relazionale ecc.) tra lo complementari.
Complessivamente, negli ultimi decenni, l’ampliamento concettuale di bene archeologico, operato prima dalla legge 431/85, – che ha fatto un significativo passo avanti nel riconoscere i beni archeologici come facente parte di un sistema di aree, ponendo così l’attenzione tra bene e contesto –, e poi dalle numerose leggi regionali, è avvenuto contestualmente alla dotazione di strumenti tecnologici avanzati, in grado di migliorare prestazioni nel campo dell’analisi e della ricerca.
Attraverso la combinazione di più attività (telerilevamento, foto interpretazione, ricognizione di superficie, prospezioni geomorfologiche, classificazione multi spettrale da satellite), affiancate dagli strumenti “classici” di analisi quali delle carte storiche, le fonti orali e scritte è stato possibile ottenere una serie di mappe tematiche utili anche all’analisi archeologica, quali: l’uso del suolo, le aree umide, della vegetazione, delle tipologie di terreno associate ai siti archeologici principali. Si è quindi giunti prima alla costruzione di una cartografia locale, poi ad una proposta interpretativa del paesaggio archeologico virtuale.
L’obiettivo è quello di leggere il paesaggio storico e archeologico attraverso rappresentazioni cognitive, cioè vedere il paesaggio storico attraverso paesaggi virtuali, così che lo spazio diventa luogo, ossia “paesaggio culturale”.
La facoltà di analizzare così in dettaglio dati archeologici georeferenziati, (riferiti cioè alla latitudine e longitudine reale, al fine di rendere possibile la sovrapposizione precisa di più mappe tematiche, quali ad es. l’uso del suolo, i dati geomorfologici, gli scavi stratigrafici) offre grandi potenzialità di ricerca, nella direzione cruciale della conoscenza dello spazio antico, anche attraverso la costruzione di mappe mentali.
Da questa breve introduzione si capisce quanto il sistema delle aree archeologiche e delle aree a verde extraurbano e intraurbano ad esse complementare, sia di fondamentale importanza per la pianificazione di quel territorio, ancora in gran parte indeterminata nei suoi confini, che dovrà costituire l’Area Metropolitana dello Stretto, in particolare del versante calabrese. All’interno di quest’area, i valori ambientali e archeologici, costituiscono il tessuto connettivo dell’intero sistema territoriale e una delle maggiori risorse presenti.
Sussistono tuttavia punti di forza e punti di debolezza che devono essere attentamente valutati al fine di far sì che i beni archeologici, come quelli relativi ad altri beni e servizi, possano proficuamente sviluppare le potenzialità latenti.
I punti di forza possono essere enumerati:nella consistenza notevole dei siti archeologici già noti, quali la Locride, Bova, Reggio Calabria, Oppido Mamertino, ecc. e quelli a rischio archeologico che interpolati alla categoria più ampia dei beni culturali ed ambientali costituiscono, una consistente e porzione di territorio e la trama connettiva dell’intero sistema territoriale
La presenza di beni complementari quali artigianali, ambientali, dei prodotti tipici, (bergamotto, il gelsomino ecc ) offre altresì la possibilità di prevedere altre forme museali, già ampiamente prescritte dal Codice Urbani (n. 42/2004). Secondo le direttive del Codice infatti la formazione di parchi archeologici devono prevedere sempre, oltre alle evidenze archeologiche, anche la compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzati come museo all’aperto. Su questi temi, l’offerta europea in materia è oggi molto vasta e soprattutto può contare su una pluriennale e consolidata esperienza nel settore della sperimentazione, oltre che nel settore della educazione.
Esistono tuttavia punti di debolezza insiti dell’area che fino ad oggi hanno impedito una più ampia fruizione dei beni archeologici e culturali in tutta la Calabria e, in particolare, nella provincia di Reggio Calabria, particolarmente ricca di reperti e di aree significative, come quelle della Locride. In primo luogo lo stato di usura e la poca manutenzione delle aree vincolate, la dispersione dei reperti del patrimonio storico archeologico; la mancanza di appositi canali di divulgazione dei risultati della ricerca scientifica e di sviluppo di nuove attività di studio, rivolti ad un piccolo numero di specialisti, nonché i processi di concertazione, ancora troppo deboli e, di coinvolgimento della collettività. C’è inoltre da rilevare una scarsa percezione da parte dei residenti,, del patrimonio archeologico, che resta circoscritto al settore turistico; quest’ultimo, poi, non sfrutta a pieno le potenzialità del territorio per mancanza di strutture idonee a convogliare flussi turistici verso questi beni, per mancanza di strutture di trasporto e di sistemi di marketing territoriale. Persiste ancora, altresì, la mancanza di coordinamento nei processi di concertazione tra i soggetti presenti, tra pubblico e privati, e tra i responsabili della gestione dei beni culturali, Soprintendenze, Regione, Provincia e Comuni.
A fronte di questi fattori negativi sono evidenti le opportunità che si delineano nella costituenda area metropolitana dello Stretto e le sinergie tra le due sponde in materia di beni culturali e ambientali. L’area infatti costituisce un unicum per cultura, storia e tradizioni, che la caratterizza, anche rispetto alle regioni di appartenenza.
Con la formazione dell’area metropolitana dello Stretto, che allo stato non appare di facile configurazione, per la difficoltà di definire il suo perimetro, si avvia lo studio del territorio volto a definire una visione condivisa dello sviluppo che dovrà improntare l’azione futura. La formazione di un piano strategico dell’area, quale strumento idoneo a valutare le potenzialità archeologiche, dei beni culturali e ambientali, potrà progettare, attraverso una visione condivisa, dopo un’attenta analisi, valutazione e monitoraggio dell’esistente, le azioni future in grado di amplificare il ventaglio delle opportunità, e delle compatibilità delle risorse storico – archeologiche.
Le nuove tecnologie Gis e telerilevamento, all’interno della più ampia azione di pianificazione, possono svolgere un ruolo prioritario al fine di catalogare, archiviare, aggiornare tutte le azioni utili allo sviluppo futuro che presenta ancora molti settori ancora poco studiati quali l’archeologia marina e la classificazione multispettrale da satellite dei territori di costa e interni.
Altre azioni possono essere pensate nel territorio, al fine di sviluppare le potenzialità multiple ancora latenti. Anche in un territorio non definito ufficialmente come parco, si può creare ugualmente un sistema di itinerari integrati che unisca tra loro siti, musei, monumenti, come , ad esempio realizzato nella valle dell’Albegna, Grosseto, con le strade del vino, Archeovino, quale poli di un museo diffuso che si pone l’obiettivo di ricostruire e riproporre l’identità storica del territorio, attraverso l’evoluzione e la stratificazione dei suoi paesaggi.
Altri tipi di parchi si possono realizzare nelle aree urbane dove sono presenti aree vincolate o aree a rischio archeologico. Si verifica, infatti, in molte città italiane ed europee, che all’interno dei parchi urbani siano presenti monumenti storici-archeologici e monumentali, di rilievo che risultano però poco valorizzati a causa della scarsa manutenzione delle aree, e dal fatto che non si assegna un ruolo nel contesto generale dello sviluppo complessivo. E’ il, caso di Reggio Calabria dove i reperti archeologici non svolgono alcuna funzione; spesso sono lasciate nel completo abbandono. Queste aree tuttavia costituiscono risorse enormi, nella rinnovata visione di riqualificazione urbane delle aree centrali e periferiche della città.
Per migliorare le potenzialità di queste strutture, alcune città hanno avviato progetti di formazione di “parchi archeologici urbani” che si pongono l’obiettivo di creare itinerari culturali, ripristinando e eventualmente integrando i percorsi esistenti, dando un disegno unitario e coerente, arricchendolo con aree di sosta, di arredi, di sistemi di sedute, di illuminazione, di chioschi, ecc.; integrando e migliorando la segnaletica, accompagnandola con pannelli descrittivi dettagliati dei vari monumenti, al fine di creare itinerari urbani nuovi e ricchi di valori storico-culturali.
Sarebbe inoltre opportuno valorizzare i parchi archeologici urbani dal punto di vista mediatico, ad esempio organizzando delle giornate di visita dei siti archeologici e monumentali, utilizzando gli strumenti di telerilevamento e Gis anche per ricreare, attraverso la realtà virtuale, il paesaggio paleoarcheologico urbano
Il parco archeologico urbano, quest’inedito strumento di pianificazione e di valorizzazione delle aree archeologiche, si applica nei centri urbani in cui le testimonianze archeologiche sono rilevanti, in cui la città moderna nasce su quella antica: una città nella città, come a Pavia, Aosta, Roma naturalmente, e molte altre; recentemente anche città industriali come Torino hanno riscoperto la forza dell’immagine culturale della città attraverso la valorizzazione del patrimonio monumentale ed archeologico (vedi gli scavi archeologici nell’area del castello).
Questo particole settore dell’archeologia urbana, nasce con lo specifico intento di operare nella città esistente e di promuovere la valorizzazione dei beni archeologici e, contestualmente, promuovere la riqualificazione delle aree centrali, ma anche zone periferiche, al fine di conferire nuova dignità e bellezza e produrre qualità urbana.