Reggio Calabria. Donatello Canzonieri è stato condannato a 9 anni di carcere per il reato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose perpetrata ai danni del Bar Malavenda: questo è quanto ha deciso la Seconda Sezione Penale del Tribunale di Reggio Calabria, presieduta da Olga Tarzia. Canzonieri, difeso dall’avv. Francesco Calabrese, è stato arrestato dalla Squadra Mobile della Questura reggina il 26 agosto del 2009. L’esplosione al bar Malavenda risale alla notte fra il 24 e il 25 febbraio del 2008 quando una bomba distrusse lo storico esercizio commerciale del rione Santa Caterina. Gli autori dell’attentato dinamitardo, che agirono indisturbati per l’assenza di telecamere di video sorveglianza, perpetrarono l’atto intimidatorio a poche settimane dell’inaugurazione del locale che era stato rinnovato in toto nel dicembre del 2007. E proprio la ristrutturazione dell’immobile sta al centro della vicenda a carico di Donatello Canzonieri, ritenuto dagli inquirenti esponente del clan Tegano, come anche affermato da vari collaboratori di giustizia come il neo pentito Nino Logiudice, capo dell’omonima cosca. La famiglia Malavenda, titolare di altri noti locali pubblici reggini, da sempre affidava i lavori edili ad una ditta considerata non solo conveniente nel prezzo delle commesse, ma anche affidabile dal punto di vista qualitativo ossia la “Edil Tripodi” di Giovanni Tripodi, quest’ultimo risulta essere il genero dell’ex super latitante Pasquale Condello, detto il Supremo. Ai Tegano questa cosa non andò giù per nulla. L’allora reggente della cosca Paolo Schimizzi, oggi irreperibile tanto che gli inquirenti sono convinti che sia scomparso, o fatto scomparire, si recò dai proprietari del bar-pasticceria, come a voler “dare” un segnale della supremazia della consorteria criminale in quel territorio. Poiché i Malavenda avevano “osato” commissionare i lavori ad una ditta ritenuta vicino ai condelliani, allora i Tegano non potevano rimanere a bocca asciutta. Schimizzi propose al gestore del noto bar di far fornire arredi per il nuovo locale da un’impresa a lui riconducibile, ossia la ditta “Globus”, ma anche questa opportunità non era stata accolta dai Malavenda. Se i Tegano non si potevano accaparrare la ristrutturazione, la fornitura dei complementi d’arredo, su cosa potevano mettere le mani? Almeno sulla tinteggiatura delle pareti. Questo tipo di attività i Malavenda l’avevano affidata sempre alla “Edil Tripodi”, ma di punto in bianco, li hanno dovuti far eseguire proprio a Donatello Canzonieri. «I Malavenda – ha detto durante la requisitoria il pm Bontempo – non avrebbero mai affidato a Canzonieri i lavori, poiché egli non risulta neanche proprietario di una ditta che opera in tale settore. Ma si sono trovati costretti a farlo poiché il tutto è riconducibile in un’ottica di ‘buon vicinato’». I Malavenda infatti, impauriti di un qualsiasi atto di ritorsione, hanno ceduto alle pressioni sia di Schimizzi che dello stesso Canzonieri che si era recato anch’egli dai titolari per manifestare la propria volontà di eseguire l’appalto. Ma il “contentino” della tinteggiatura non è bastato a lavare l’onta inferta ai Tegano, alla ‘ndrangheta i contentini non piacciono. I Malavenda, costituitisi parte civile e assistiti dall’avv. Giovanni De Stefano, dovevano pagare per quello che avevano fatto, dovevano pagare per non aver affidato fin dal principio la ristrutturazione ai Tegano; i Malavenda non si erano “levati il cappello” dinnanzi all’egemonia esercitata da Paolo Schimizzi. Poiché non si erano levati il cappello, il cappello, gli stessi autori dell’atto dinamitardo, gliel’hanno lasciato fra le macerie del bar, fra quello che era rimasto del negozio di famiglia. Un berretto infatti, è stato trovato dagli investigatori all’indomani dell’esplosione della bomba. Il cappello non era di nessuno dei dipendenti che lavoravano alla pasticceria né di alcun membro della famiglia Malavenda. Quel cappello è il simbolo dello strapotere mafioso presente a Reggio Calabria dove un libero imprenditore onesto in questa città non è padrone di scegliere, senza pressioni, a chi commissionare i propri lavori, a chi pagare in modo pulito per far sì che ristrutturi il negozio di famiglia, frutto di tanto impegno e sacrifici ottenuti e perseguiti in modo lecito.
Angela Panzera