La collana Gocce della casa editrice Città del Sole è nata, quasi per gioco, quando pubblicai un mio lungo articolo dedicato a Sir Basil Zaharoff. Dopo si aggiunse un libro, da me curato, che raccoglieva gli scritti di un mio zio morto in seminario. Adesso è Franco Arcidiaco a pubblicare una relazione tenuta al Convegno nazionale sulla letteratura “Chi fuor li maggiori tui?” organizzato dall’Associazione Pietre di Scarto Le favole allegoriche di Joseph Roth tra sradicamento e decadenza (pp. 40 € 5,00). Arcidiaco è rimasto folgorato dal mondo ebraico e, a suo dire, mi ritiene responsabile. Mi sono solo limitato a regalare qualche libro. All’inizio della plaquette, ammiriamo una straordinaria foto di Roth con quel suo sguardo: profondo e sognatore. Joseph Roth era nato a Brodv un villaggio della Galizia allora Impero Austro-Ungarico. La scomparsa del padre lo segnò profondamente e il giovane crebbe con il nonno materno. Due abitudini contraddistinsero la sua giovinezza: guardare il paesaggio invernale incollato al vetro delle finestre e osservare i ragni. Ben presto abbandonerà il paese natio per trasferirsi prima a Vienna e poi a Berlino. Nel frattempo l’Impero Austro-Ungarico crolla e la Kakania cessa di esistere. Le opere di Roth esaminate sono L’allievo modello; La tela di ragno; Hotel Savoy; Aprile. La storia di un amore; Lo specchio cieco e La leggenda del Santo bevitore. Emerge il ritratto di un uomo inquieto e vivace che come scrive Claudio Magris “si dimostra erede della tradizione letteraria jiddish con la concisa predilezione per i minimi dettagli sentimentali, per i pensieri appena abbozzati e non formulati, per le parole non dette, per le possibilità umane svanite”. Roth si era abituato a lavorare nei locali, dove poteva anche bere. Sarà l’alcool a condurlo alla morte nel 1939 a Parigi: aveva solo 45 anni. La fine gli risparmiò l’orrore della Shoah che avrebbe spazzato via la nazione jiddish.
Tonino Nocera