Orsola Fallara, in vita, aveva più nemici che amici. Colpa anche di quella sua durezza di carattere, poi tragicamente smentita dalla sua scelta suicida, con la quale si mostrava in pubblico. Quelle poche volte che l’ho incrociata a Palazzo San Giorgio ci siamo sempre scambiati un saluto, pur non conoscendoci personalmente. A me era ben noto il suo ruolo, dirigente dell’ufficio finanza e tributi, lei sapeva che ero un giornalista. Pur non avendo mai avuto occasione di scrivere di lei, né nel bene né nel male, ricambiava il mio saluto con un sorriso a denti stretti e con un’occhiata diffidente. Non era facile farsela amica, molto più facile invece diventarne nemico. E così, anno dopo anno, bilancio dopo bilancio, lei, vestale custode del mistero delle casse comunali, è andata sommando i nemici, ben oltre le sue oggettive o presunte doti di demerito. Perché bastava essere contro il sindaco Giuseppe Scopelliti, per individuare in Orsola Fallara uno dei generali delle armate scopellitiane. I cecchini, in tempo di guerra, mirano di preferenza ai più alti ufficiali, per indebolire e frastornare le truppe nemiche rimaste sul terreno senza una guida. Così è stato per lei. Chi voleva colpire Scopelliti ha tentato di colpire anche i suoi più stretti e strategici collaboratori, e lei era in cima alla lista.
Tutto corretto fin quando le armi utilizzate sono quelle della politica, a la guerre comme a la guerre. Il problema nasce quando si fa un uso di armi improprie. La politica la si combatte con le argomentazioni politiche. La Giustizia non deve essere strumento di lotta politica, deve appartenere solo ai giudici e ai tribunali, e non a politici e politicchi. Quando un fatto diventa di interesse giudiziario, non dovrebbe essere più argomento di speculazione politica. La Politica, con la p maiuscola, in ossequio al principio di divisione dei poteri dello Stato, dovrebbe fare un passo indietro, e lasciare il campo alle toghe. A maggior ragione in ossequio a quel principio di garantismo che, per certi politici, continua ad avere lo stesso valore delle leggi: con gli amici si interpretano, coi nemici di applicano.
In Italia purtroppo, e anche nella nostra città, ciò non avviene, accade semmai il contrario. Se Karl von Clausewitz sosteneva che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, oggi mutatis mutandis accade che la continuazione della politica è diventata l’indagine giudiziaria. Indagini giudiziarie invocate, suggerite, soffiate, ispirate, pilotate. E quando in Procura ci si scontra con un muro di gomma, per la schiena dritta di valorosi magistrati che non si lasciano dettare da nessuno il registro degli indagati, basta soffiare sul fuoco della stampa, ci si accontenta del processo “mediatico”.
Così è stato anche per Orsola Fallara, fatta oggetto di un linciaggio personale, prima ancora che un solo giudice avesse aperto bocca sulla vicenda. Indipendentemente se Orsola Fallara abbia sbagliato o meno, lei stessa ha ammesso i suoi errori, non toccava alla politica (da quale pulpito) esprimere giudizi di condanna o assoluzione. E’ stata lei stessa, nella sua interiore fragilità, con un atto che le ha procurato indicibili sofferenze, a chiudere il sipario sul “caso Fallara”; la sua tragica fine però dovrebbe aprire uno squarcio nelle coscienze di chi si sente così onnipotente da calpestare ogni cosa o persona intralci il suo cammino verso l’olimpo. Si dicono cristiani e poi adorano simulacri pagani: palazzo Alemanni, palazzo Campanella, palazzo San Giorgio.
Fabio Papalia