Reggio Calabria. L’appello di fine anno del Presidente della Repubblica, che tanto ha toccato le nostre sensibilità, pur nel suo sincero, elevato richiamo al ruolo fondamentale dei giovani nell’Italia di domani, propone un cliché ormai tristemente consolidato che giunge troppo a ridosso di una fase storica che vede un Paese cambiare alcune delle proprie regole fondamentali (vedi il contratto dei lavoratori Fiat) senza un ruolo attivo proprio delle nuove generazioni. In un momento di destrutturazione graduale dell’impalcatura su cui per decenni si è poggiata (non senza storture e privilegi!) l’Italia, il suo appello è frutto poco delle esigenze di protocollo presidenziale e molto di un’analisi politica di eventi sociali contingenti che i vertici dei partiti, invece, non hanno saputo interpretare a dovere e su cui non si sono veramente interrogati.
La questione del ricambio generazionale e della valorizzazione dei giovani è oggi un bluff gigantesco! Perché le nuove generazioni, nella quotidianità, si sono prevalentemente rassegnate ad attendere la “chiamata diretta” e a “dire sempre di sì” e per il fatto che, proprio i giovani, quasi mai superano la fase della competizione sfrenata per mirare ad un cambiamento di sistema che migliori il contesto generale in ottica solidale e non individualistica. Oggi, infatti, di questa coscienza collettiva e nazionale di salvaguardia civica e civile, non c’è traccia e si procede più ad excludendum che in senso inclusivo, eludendo quegli ideali che proprio Napolitano ha richiamato.
Allora, credo sia importante capire quale sia stato il reale fattore ispiratore di quel discorso! Alto ed imparziale per quanto si voglia, ma profondamente politico in un momento in cui il Quirinale viene definito come “unica Istituzione disponibile ad ascoltare”.
Napolitano ha una storia politica e culturale che lo porta istintivamente a fiutare gli umori delle masse e a percepire la nascita di movimenti che possono avere una consistenza numerica e temporale non inficiabili dalle caratteristiche evanescenti e populistiche delle adunate elettorali. Egli sa che le novità in seno al sistema-lavoro provocheranno smottamenti che potrebbero iniettarsi in movimenti molto più dinamici e permeabili, come quelli giovanili e, dunque, generare consenso per chi li sostiene. Quindi, pur senza abbandonare mai equilibrio e garbo e trovando anche il modo di fare un bel richiamo alla Calabria, assecondando la sua natura di uomo con una storia politica netta, dopo aver colto tutti momenti di confronto e di comprensione (vedi l’incontro con gli studenti che protestavano pacificamente contro l’approvazione della Riforma Gelmini) che gli si sono presentati, ha deciso legittimamente di elaborarli e di offrire tematiche forti alla prossima agenda politico-elettorale; sperando, a mio avviso, che a raccoglierle sia per prima la parte politica da cui egli stesso proviene e che da sempre (immeritatamente!) le rivendica. Non traccia, però, scenari definiti. Non ci spiega come l’appello alla legalità dei ragazzi di Reggio Calabria verrà coniugato con l’affermazione del merito. Non condanna in maniera precisa il mercimonio ormai palese di posti di responsabilità e di vertice nelle università, nelle aziende a partecipazione pubblica o l’acquisizione “a gettone” di candidature a vari livelli (parlamentare, regionale, provinciale). Non ci suggerisce, insomma, come favorire irreversibilmente l’acquisizione profonda, da parte delle nuove generazioni, del senso del merito e di rispetto supremo per esso! Ci dice come dovrebbe funzionare una società giusta che vuol bene a sé stessa (e di questo gli siamo sinceramente grati!), ma non ci indica (entro i propri limiti istituzionali!) esplicitamente le generalità di chi ha derogato e deroga alle regole basilari che la costruiscono giorno dopo giorno!
Non condanna adeguatamente i partiti di destra e di sinistra che si sono ridotti, in ispregio alla Costituzione che egli stesso incarna e garantisce in nome del diritto di rappresentatività del popolo italiano, ad agenzie di casting che rifuggono contenuti adeguati e privilegiano superficialità e bella presenza. Non invita gli emergenti di tutti i settori a guardare con maggior fiducia e meno spocchia ai loro coetanei!
Se avesse fatto questo, aiutando chi è stato distratto a farsi un’idea più precisa di chi ha meritato o demeritato nell’assolvere le proprie funzioni, allora avrebbe compiuto un ulteriore passo in avanti verso tutti i giovani italiani che attendono speranzosi di determinare il proprio futuro attraverso scelte oculate e consapevoli!
A chiusura di queste brevi riflessioni, per fare un esempio di quanto detto, basta osservare in queste ore come non vi sia traccia di tutto ciò nel flebile dibattito interno ai partiti e prendere come test l’età media dei candidati a sindaco delle prossime amministrative calabresi. Nella regione guidata da uno dei giovani più brillanti della politica italiana, ad oggi i dati ci segnalano che essa è abbondantemente prossima ai sessant’anni! La matematica, a differenza del discorso del nostro Presidente, non è un’opinione; anche se – ad onor del vero! – se i partiti continueranno a far circolare i nomi impresentabili che si sentono negli ultimi tempi solo perché all’anagrafe si attestano sui trenta o perché fanno bene la claque in giro per l’Italia, allora è meglio attendere un po’ e ripassare tra vent’anni!
Amedeo Canale
assessore polizia municipale e sicurezza pubblica
Comune di Reggio Calabria