Marisa Cagliostro e Dario Puntieri, noti studiosi di storia dell’architettura, hanno predisposto per i lettori della nostra rubrica un affascinante itinerario barocco fra le architetture della provincia Reggina, futura Città metropolitana.
Il significativo contributo scientifico “Itinerario barocco: la provincia di Reggio Calabria nel panorama calabrese”, ricco di note e di apparati, e destinato alla pubblicazione come saggio a stampa, viene qui presentato in forma “alleggerita” per i lettori del web.
Questa settimana offriamo all’attenzione dei nostri fedeli lettori la seconda delle due parti del saggio.
(E.C.)
Itinerario barocco: la provincia di Reggio Calabria nel panorama calabrese
Seconda parte
di Marisa Cagliostro e Dario Puntieri
Scampata ai terremoti del 1783 e del 1908 la cappella del SS. Sacramento di Reggio Calabria, tra le più significative del barocco calabrese, fu ricostruita nell’attuale cattedrale di S. Maria Assunta. Le pareti sono interamente rivestite da tarsie marmoree che disegnano racemi fioriti e uccelli, realizzate probabilmente da maestranze messinesi. Opera seicentesca dello scultore siciliano Placido Brandamonte è il maestoso altare col dossale composto da quattro colonne di portoro nero con al centro una tela del pittore Domenico Marolì, unica testimonianza pittorica superstite, in quanto degli affreschi tardo settecenteschi, che decoravano la volta e le pareti, non rimane alcuna traccia.
Riguardo al linguaggio decorativo della cappella sono state notate come certe soluzioni decorative della trabeazione siano molto simili a frammenti di cornice della distrutta chiesa di S. Nicolò a Messina, ulteriore conferma degli apporti siciliani all’arte calabrese che si aggiungono alle molteplici occasioni di scambio culturale extraregionale di cui la Calabria si è sempre arricchita.
Il salone di rappresentanza del palazzo arcivescovile espone una raccolta di dipinti, alcuni provenienti dall’antica cattedrale, tra questi un’opera di Francesco De Mura che narra attraverso l’espressone solenne dei personaggi, messi in evidenza anche dagli effetti luministici, la Resurrezione di Lazzaro.
Nella ricostruita città reggina poche sono le testimonianze dell’arte barocca, visibili all’interno delle chiese del centro, in quanto gran parte custodite nei principali poli museali, tuttavia di estremo interrese sono, senza dubbio, opere come la Madonna della Cintura della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, appartenente all’ultima fase della produzione di Sebastiano Conca in cui sono ancora evidenti reminiscenze solimenesche, o l’Annunciazione della chiesa degli Ottimati di Agostino Ciampelli nella quale sono stati ravvisate influenze toscane, riconducibili in particolare ad un’omonima opera di Andrea del Sarto del quale importa la ricerca di un naturalismo più pacato, espressa anche dalla delicatezza delle figure e dalla definizione dei particolari.
Dal masso roccioso a picco sul mare svetta la chiesa matrice di Scilla sulla cui facciata è collocata la statua marmorea dell’Immacolata, opera di Giovan Battista Ortega. In commesso marmoreo è l’altare del SS. Sacramento, realizzazione settecentesca come pure il trono ligneo intagliato e dorato. Fanno parte del corredo della chiesa due opere di Giacinto Diano: la Pietà e la Visione di San’Andrea, immagini sacre di grande vigore evocativo, dichiarato dalla forte tensione emotiva dei personaggi trattati con una sensibilità classicista romana, combinata a suggestioni demuriane. Paraste angolari ribattute e un ampio portale con timpano arcuato, sormontato da una apertura quadrilobata, definiscono la facciata della chiesa dello Spirito Santo, decorata all’interno da stucchi attribuiti a Gioacchino Gianforma e da un considerevole coro ligneo settecentesco. L’altare maggiore e i quattro laterali sono in commesso marmoreo su uno dei quali è collocata una tavola con S. Francesco di Paola di autore ignoto della seconda metà del XVIII sec., mentre l’altare principale è occupato dalla Discesa dello Spirito Santo, di Francesco Celebrano, in questo periodo influenzato da espressioni classicistiche, che attenuano la sua formazione solimenesca, chiaramente evidenti in quest’opera dove sono attenuate le espressioni barocche attraverso anche la semplificazione d’impianto più vicino a un gusto neoclassico.
Di fondazione medievale è il Santuario della Madonna dei Poveri a Seminara. Tra le numerose opere che la chiesa conserva vi è la statua marmorea firmata da Rinaldo Bonanno, una Madonna con Bambino della scuola del Montorsoli e, sull’altare maggiore, l’immagine lignea della Madonna detta dei Poveri, databile tra XII e XIII sec., racchiusa in un trono settecentesco con baldacchino. Opera di artisti messinesi del XVI sec. è la pala marmorea raffigurante l’Adorazione dei Magi della chiesa di S. Marco, come all’area siciliana sembrerebbe appartenere un frontale di tabernacolo cinquecentesco, racchiuso in una cornice in stucco, e una statua della Madonna, attribuita ad Antonello Gagini. I pregevoli paliotti degli altari possono essere databili tra XVII e XVIII secolo, opere invece di maestranze napoletane, attive nella prima metà del Settecento, sono un paliotto e un tabernacolo marmoreo dell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio.
Presumibilmente alla stessa produzione possono essere ricondotti anche il paliotto e il tabernacolo dell’altare della chiesa di S. Nicola di Oppido Mamertina, mentre è documentata la presenza del napoletano Arcangelo Testa che realizza nel 1841 il gruppo ligneo dell’Annunciazione per la cattedrale dell’Assunta. Ad ambito messinese della seconda metà del Cinquecento è possibile ricondurre la statua della Madonna con Bambino.
Su progetto di Biagio Scaramuzzino, autore anche di palazzo Valensise, venne realizzata, sul finire del XVIII sec., la facciata della chiesa di S. Marina di Polistena, definita da lesene giganti e dalla sovrapposizione, tipica dell’architetto serrese, di portale finestra e edicola. Sull’altare, in marmi policromi, è posta la settecentesca statua della patrona e, in una cappella, l’altare col bassorilievo della Deposizione, opera marmorea del XVI secolo.
Ricostruita dopo il terremoto del 1783, la facciata della chiesa della Trinità si sviluppa su due piani. La cupola è rivestita di embrici maiolicati policromi. All’interno è custodita un’opera lignea del serrese Vincenzo Scrivo, mentre di Pietro Bernini è la Santa Lucia, custodita nella chiesa di S. Maria Immacolata che possiede un altare settecentesco in marmi policromi con fastigio.
Di un certo rilievo architettonico, i palazzi polistenesi si caratterizzano per la predominanza del portale lapideo come quello di palazzo Cavatore, vasta costruzione, con corte interna sulla quale si apre il corpo scala.
Nella nuova città, ricostruita dopo il terremoto del 1783, secondo un progetto di Pompeo Schiantarelli, il palazzo baronale dei Milano si pone come elemento di connessione tra la piazza antistante e quella laterale su cui prospetta la chiesa di S. Francesco di Paola, probabilmente secondo l’intenzione della famiglia di creare un collegamento diretto tra chiesa e palazzo che si impone con il suo volume compatto secondo la consueta tipologia a corte, privo di particolari connotazioni architettoniche, riconoscibile come residenza nobiliare solamente dallo stemma gentilizio. Commissionata dalla stessa famiglia è la fontana del 1664, attualmente ubicata in largo Amendola, costituita da una vasca poligonale dalla quale emerge un gruppo di volute arricchite da motivi fitomorfi; può essere considerata uno dei pochi manufatti seicenteschi esistenti nella regione molto simile per tipologia a quella di Girifalco.
Un esempio significativo di architettura tardo barocca è palazzo Zerbi a Taurianova che presenta uno sviluppo planimetrico intorno alla corte aperta verso il giardino. Il corpo centrale della facciata è impostato con un ampio finestrone che sovrasta il portale. Cornici in stucco e mensole in granito, raffiguranti figure antropomorfe, abbelliscono i balconi del piano nobile. Del palazzo, purtroppo, non si conosce l’autore anche se recentemente è stato attribuito a Scaramuzzino, documentato in quella zona alla fine del Settecento per la chiesa di S. Marina e per il progetto di palazzo Valensise a Polistena. L’ipotesi attributiva è stata avanzata sulla base di indagini stilistiche con altre realizzazioni dell’architetto serrese e in particolare con la facciata della chiesa dell’Addolorata di Serra San Bruno, opere in cui traspaiono elementi di derivazione napoletana, particolarmente di ambito sanfeliciano.
La chiesa del Rosario, sempre a Taurianova, ricostruita nel 1809, conserva in facciata il portale, sormontato da una piccola edicola e affiancato da paraste composite ribattute. L’altare maggiore, in marmi policromi e dossale in stucco, è tardo settecentesco. Al suo interno si trova il tondo della Vergine col Bambino attribuita a Girolamo Santacroce e, prima del trafugamento, custodiva un opera di Emanuele Paparo.
L’impianto urbano di Cittanova, definito da un andamento regolare e attraversato da due direttrici ortogonali, lo accomuna sia alla struttura a scacchiera del centro di Bagnara, segnata dall’asse del corso parallelo alla linea di costa, sia allo schema planimetrico di Palmi, contraddistinto dalla sequenza di tre piazze, collegate dall’asse viario principale. Della chiesa matrice singolare è il movimento della facciata articolata da due campanili conclusi da cupole a forma di bulbo, tipologia che rimanda a esempi tedeschi e siciliani dei primi del Settecento. Inserito tra due strade principali del centro antico, palazzo Cavaliere si mostra col suo bel prospetto, scandito da un ordine di paraste giganti e da una serie di balconate nell’ultimo piano.
Balconi angolari e una balconata in corrispondenza del portale sottostante definiscono la facciata di Palazzo Terranova Alessi il quale è composto superiormente dalla sequenza di aperture coronate da timpani triangolari e curvilinei.
Come è noto il terremoto del 1783, pure per questa parte della regione, ha causato la scomparsa di un patrimonio artistico che la ricostruzione è riuscita in minima parte a recuperare anche se nella maggior parte dei casi le opere si sono irrimediabilmente perdute o sono state ricomposte in modo poco coerente all’interno edifici delle città ricostruite, come è avvenuto in quelle appena citate.
Il luogo che più di tutti sintetizza tale condizione è il convento domenicano di Soriano Calabro, anche se ricade nei confini amministrativi di un’altra provincia, ma può essere significativo per ricordare, se ancora ce ne fosse bisogno, l’enorme perdita che non solo l’arte barocca regionale ha dovuto subire, una condizione che ha reso più difficoltosa l’affermazione delle espressioni artistiche calabresi nel panorama più ampio della storia dell’arte italiana, nonostante gli sforzi di rivalutazione provenienti, soprattutto recentemente, da studi autorevoli.
A conclusione di questo itinerario si ricordano brevemente le principali vicende artistiche che si sono consumate all’interno di uno dei centri egemoni della cultura barocca calabrese, principalmente per i rapporti che si erano instaurati con Roma, Napoli e la vicina Sicilia.
Si è addirittura ipotizzato l’intervento di Guarino Guarini, attivo a Messina tra il 1660 e il 1662, in quanto in un documento si legge: “padre theatino architetto in Soriano venuto da Messina”. È probabile un coinvolgimento dell’architetto modenese nel ruolo di consulente in una fase costruttiva probabilmente di ampliamento del convento, mentre per il progetto complessivo della chiesa conventuale non sembra improbabile l’intervento di Martino Longhi, peraltro autore certo dell’altare maggiore.
Un posto di rilievo è occupato da Bonaventura Presti, autore di un ampliamento del convento nel quale era previsto un progetto di riconfigurazione della chiesa, di cui purtroppo rimane la parte inferiore insieme ai resti dell’impianto planimetrico, costituito da una navata centrale, affiancata da cappelle laterali, conclusa da un’ampia zona presbiterale secondo il tipico impianto controriformato.
Importante è il ruolo svolto dalle tante maestranze provenienti da luoghi diversi, aprendo nuove ipotesi circa la possibilità di uno scambio culturale fra ambienti artistici. Tra le figure emergenti il romano Giacomo Calcagni, collaboratore di Innocenzo Mangani, chiamato da Cosimo Fanzago per sovrintendere al montaggio del ciborio della chiesa certosina di Serra S. Bruno, e Antonio Corradini, giunto a Napoli dopo un lungo soggiorno romano, al quale fu commissionata nel 1750 l’esecuzione dei brani scultorei per il nuovo altare che avrebbe sostituito quello longhiano.
I rapporti con l’ambiente romano furono assicurati anche dalla presenza del perugino Giuseppe Scaglia, il quale trascorse gli ultimi anni della sua vita a Soriano, prestando la sua opera in altri centri del territorio circostante.
Dai tanti frammenti recuperati dopo il terremoto del 1783 è possibile immaginare la ricchezza dell’apparato decorativo che investiva l’interno della chiesa e in particolare i piloni della navata centrale, rivestiti sulle facce anteriori da tondi sostenuti da angeli, secondo il modello berniniano di S. Pietro.
D’altronde l’influenza del Bernini è chiaramente riconoscibile nel busto marmoreo di S. Domenico, attribuito a Giuliano Finelli, allievo dello scultore romano, ricordando che recentemente è stata attribuita allo stesso Gian Lorenzo una testa di S. Caterina da Siena, attualmente custodita nel nuovo spazio museale all’interno del convento.
Basterebbe quest’ultimo esempio per confermare l’esigenza del proseguimento degli studi, attuati anche attraverso una revisione delle opere verso le quali si impone un’attenzione maggiore non soltanto da parte degli studiosi, ma da quanti sentono il desiderio di migliorare la conoscenza della storia calabrese che, come si è tentato in questa sede di raccontare, non è stata attraversata solamente da arretratezza culturale, ma ha conosciuto importanti fasi di sviluppo promosse soprattutto da una committenza facoltosa come quella delle istituzioni monastiche che, come visto, sono stati determinanti per la fioritura delle attività artistiche.