Processo al re dei videopoker Gioacchino Campolo. Nella requisitoria, durata ben 9 ore, della pubblica accusa, il brillante pubblico ministero Beatrice Ronchi ha chiesto alla seconda sezione del Tribunale reggino, Olga Tarzia Presidente, che l’imprenditore arrestato il 13 gennaio del 2009 venga condannato a 21 anni di carcere e al pagamento di 4 mila euro di multa. Gioacchino Campolo, difeso dagli avvocati Francesco Calabrese e Giovanni De Stefano, è accusato dell’estorsione nei confronti di alcuni dipendenti della ditta A.R.E., di cui era titolare, di concorrenza illecita e di due estorsioni aggravate dalle modalità mafiose, come previsto dall’articolo 7 della legge 203 del 1991, commesse ai danni di Vincenzo Morabito, già titolare del famoso bar reggino denominato “Ritrovo Morabito” e della sala giochi denominata “Edonè”, e di Domenico Putortì, uno dei soci della ditta “T.&.T”.
Nel dettaglio il pm Ronchi ha chiesto che Campolo venga condannato a 6 anni di reclusione, e al pagamento di 1000 euro di multa, per l’estorsione perpetrata ai danni dei propri dipendenti, e a 15 anni di carcere e 3 mila euro di multa per il reato di concorrenza illecita e le estorsioni aggravate dalle modalità mafiose ai danni di Vincenzo Morabito e di Domenico Putortì, socio della “T. &. T.” Questa società si occupava del noleggio di apparecchi da gioco e tra i suoi clienti figurava Vincenzo Morabito. Secondo l’accusa, Domenico Putortì dovette ritirare i propri apparecchi perché Gioacchino Campolo, appoggiato da Mario Audino, boss di San Giovannello assassinato negli scorsi anni, doveva essere l’unico a noleggiare i video poker al titolare della sala giochi “Edonè”.
Domenico Putortì fu assassinato nel gennaio del 2000 mentre riparava un videopoker. Durante la requisitoria il pm ha parlato della presunta estorsione ai danni di Domenico Putortì riferendo le dichiarazioni rese da Giovanni Putortì, fratello di Domenico nonché socio della “T.&.T. “Giovanni Putortì – ha affermato il pm Ronchi – è un esempio di coraggio e dignità, egli ha dichiarato, nonostante uno stato di costante paura, che ha appreso direttamente dal fratello quanto è accaduto. Giovanni Putortì ha detto che è stato Vincenzo Morabito, intimidito dal boss Audino – ha continuato il pm – a sollevare dall’incarico di noleggio il fratello Domenico perché nella sala giochi l’unico che doveva lavorare era Gioacchino Campolo. A Vincenzo Morabito infatti, durante un incontro avvenuto con Campolo e Audino avvenuto presso un immobile ubicato sul corso Garibaldi, è stato imposto – ha sottolineato il pm Ronchi – di noleggiare i videopoker che gestiva lo stesso Campolo”. Secondo l’accusa inoltre, non c’era solo il boss Mario Audino nelle conoscenze di Campolo. “Gioacchino Campolo – ha affermato Beatrice Ronchi – era amico della famiglia De Stefano, dei Libri, dei Serraino e poi dei Logiudice e degli Zindato. Le sue macchinette erano presenti nelle sale giochi del centro e della periferia nord reggina; ciò è stato anche reso noto da diversi pentiti”. “Il collaboratore Antonino Fiume – ha sottolineato il pm – ha dichiarato che Campolo era “amico” di tutte le cosche. Questa amicizia si traduceva non solo in regali ma anche in favori, come il cambio di alcuni assegni in alcuni momenti in cui le famiglie avevano bisogno di contanti. Oltre a Fiume, anche i pentiti Giovanni Battista Fracapane e Nino Logiudice hanno affermato -ha detto il pm – che Campolo era “amico”delle ‘ndrine”.
L’udienza odierna però, prima dell’intervento della pubblica accusa, è iniziata con le dichiarazioni, rese in forma spontanea, da Gioacchino Campolo il quale si è dichiarato estraneo ai fatti. Nello specifico Campolo ha affermato che egli non appartiene a nessuna famiglia mafiosa e che non ha commesso alcuna estorsione. “Io sono un imprenditore onesto, ho lavorato per 54 anni in modo pulito, non ho mai frequentato mafiosi e non mi sono mai rivolto a loro – ha affermato l’imputato – ho sempre lavorato con fatica; la mia vita era lavoro e famiglia e nient’altro. I miei ex dipendenti non troveranno mai un altro datore di lavoro come me, sono sempre stato buono con loro, sarò pure un imprenditore piccolo, ma per onestà non sono secondo a nessuno e non solo a Reggio Calabria, ma in tutta Italia. Se fossi stato appoggiato dalle famiglie mafiose non avrei subito furti, rapine e incendi, altrimenti queste famiglie non “varrebbero” niente; anche quando ero già in carcere, anzi da quando mi hanno sequestrato, perché io non sono in galera, sono sotto sequestro, mi hanno anche bruciato un escavatore, quindi non sono protetto”. Però per Gioacchino Campolo potrebbero arrivare altri guai giudiziari, ossia che venga accusato anche del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, almeno questo è quanto ha richiesto il pubblico ministero Ronchi.
Angela Panzera