Reggio Calabria. Si saprà venerdì prossimo la sorte giudiziaria del re dei videopoker Gioacchino Campolo, in carcere dal 13 gennaio del 2009. Il 15 gennaio prossimo infatti, la seconda sezione del Tribunale, Olga Tarzia presidente e Barbara Bennato e Maria Ferraro giudici, si riunirà in camera di consiglio e deciderà se accogliere o meno le richieste del pubblico ministero, Beatrice Ronchi, che ha chiesto per l’imprenditore reggino la condanna a 21 anni di reclusione più il pagamento di una multa di 4 mila euro. Gioacchino Campolo è accusato di concorrenza illecita, estorsione ai danni di alcuni dipendenti della ditta di cui era titolare, la “A.R.E.”, che sarebbero stati costretti, tramite la minaccia di licenziamento, a firmare buste paga con un importo economico superiore a quello effettivamente percepito, e di due estorsioni aggravate dalle modalità mafiose; ossia quelle nei confronti di Vincenzo Morabito, titolare della sala giochi “Edonè” ubicata accanto all’altro storico esercizio di sua proprietà ossia il “Ritrovo Morabito”, e di Domenico Putortì, uno dei soci della ditta “T.&.T”. Questa società si occupava del noleggio di apparecchi da gioco e tra i suoi clienti figurava Vincenzo Morabito. Secondo l’accusa, Domenico Putortì dovette ritirare i propri videopoker perché Gioacchino Campolo, appoggiato da Mario Audino, boss di San Giovannello assassinato negli scorsi anni, doveva essere l’unico a noleggiare i video poker al titolare della sala giochi “Edonè”. Domenico Putortì fu assassinato nel gennaio del 2000 mentre riparava un videopoker. I fatti contestati a Gioacchino Campolo risalgono nell’arco temporale compreso fra il 1998 ed il 2008.
Questa mattina intanto, si sono registrati gli interventi difensivi da parte degli avvocati Francesco Calabrese e Maurizio Giannone. La difesa di Gioacchino Campolo ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste per tutti e quattro i capi di imputazioni e per quanto riguarda invece due capi di imputazione, ossia l’estorsione ai danni dei dipendenti della ditta “A.R.E.” e per l’estorsione ai danni di Vincenzo Morabito, l’assoluzione in via gradata perché il fatto non costituisce reato. Difesa in piena linea con le dichiarazioni rese in forma spontanea dallo stesso Gioacchino Campolo che, prima della chiusa dell’istruttoria dibattimentale, rivolgendosi al presidente Tarzia ha professato la propria innocenza e l’esclusione dagli ambienti mafiosi reggini.
Nello specifico Campolo ha affermato che egli non appartiene a nessuna famiglia mafiosa e che non ha commesso alcuna estorsione. “Io sono un imprenditore onesto, ho lavorato per 54 anni in modo pulito, non ho mai frequentato mafiosi e non mi sono mai rivolto a loro – ha affermato l’imputato lunedì scorso – ho sempre lavorato con fatica; la mia vita era lavoro e famiglia e nient’altro. I miei ex dipendenti non troveranno mai un altro datore di lavoro come me, sono sempre stato buono con loro, sarò pure un imprenditore piccolo, ma per onestà non sono secondo a nessuno e non solo a Reggio Calabria, ma in tutta Italia”.
Per quanto riguarda invece i presunti collegamenti con la criminalità organizzata, l’avvocato Giannone ha analizzato i rapporti che gli vengono contestati dalla pubblica accusa, come quello con il boss ucciso Mario Audino e con alcuni esponenti del clan De Stefano. “La condotta e gli stili di vita di Gioacchino Campolo, ammesso che abbiano avuto riscontri con esponenti mafiosi, non sono condotte illecite. La colpa di Gioacchino Campolo non è quella di aver tenuto certe condotte o atteggiamenti, ma quella di aver fatto nascere il sospetto a margine di certi stili di vita. Regalare un biliardino a un figlio di una persona con precedenti penali per ‘ndrangheta non è comunque un reato, affittare in modo lecito con tanto di atti notarili, un immobile non è reato”.
Per quanto riguarda invece la presunta estorsione ai danni del titolare della sala giochi “Edonè”, l’avvocato Calabrese ha affermato, in un passaggio del suo intervento, che Campolo non ha imposto a Morabito i suoi apparecchi da gioco perché, imprenditorialmente parlando, a Campolo non conveniva investire sulla sala giochi “Edonè” perché avrebbe dovuto dividere le vincite con un altro soggetto, ossia lo stesso Morabito titolare della sala giochi. “Ciò – ha sottolineato Francesco Calabrese – sarebbe stato un suicidio imprenditoriale, perché Campolo avrebbe dovuto insistere così tanto per posizionare i suoi apparecchi nella sala di Morabito, a scapito di Putortì, quando era il titolare di tante sale a Reggio Calabria?”.
Angela Panzera