Vibo Valentia. Non ci stanno i genitori di Eva Ruscio, la ragazza di 16 anni morta nel corso di un intervento di tracheotomia praticatole presso l’ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia e dal cui processo che ne è scaturito è emersa la sentenza odierna pronunciata dal giudice monocratico Cristina De Luca. Tre condanne e due assoluzioni. A Domenico Sorrentino, primario del reparto di Otorinolaringoiatria, è stata comminata una pena di un anno di reclusione, ai due medici Francesco Morano, Giuseppe Suraci, dieci mesi di carcere. Sentenza assolutoria per il medico Michele Miceli e l’anestesista Gianluca Bava. Troppo poco per soddisfare la sete di giustizia dei genitori della giovanissima vittima che hanno parlato di “sentenza vergognosa”. Giovanna Barone, mamma di Eva Ruscio, davanti ai microfoni del Tg3 ha voluto rimarcare che “Perdere una figlia non è come perdere una scarpa e sentire che due persone coinvolte nella vicenda sono state assolte fa davvero male”. Giuseppe, il padre, dopo aver annunciato l’intenzione di parlare con il procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo e di voler investire del caso la Corte Europea di Strasburgo, ha affermato che ”Non c’è stato rispetto per mia figlia che oggi, con questa sentenza, è morta per la seconda volta. Non si capisce come mai il giudice abbia condannato tre medici ed assolto gli altri due. E’ vero che i medici non volevano uccidere mia figlia, ma è pur vero che non hanno fatto nulla per salvarla”. Poco dopo la lettura della sentenza è arrivato anche il commento di Spagnuolo, a capo della Procura della Repubblica vibonese, che ha dichiarato che “la sentenza ha riconosciuto l’impianto accusatorio. Il giudice ha assolto due imputati per i quali noi ritenevamo di aver dimostrato le loro responsabilità . Ora leggeremo le motivazioni della sentenza e poi presenteremo appello”. Eva Ruscio era ricoverata in ospedale dal 3 dicembre per curare un ascesso peritonsillare e morì due giorni dopo mentre era sottoposta ad un intervento di tracheotomia, deciso dopo che le sue condizioni erano progressivamente peggiorate nelle 48 ore successive all’ingresso nella struttura sanitaria.
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