Reggio Calabria. Dopo circa sette anni, la Corte di Appello di Reggio Calabria pone fine all’odissea giudiziaria che ha visto involontaria protagonista un’impiegata, dalla “condotta irreprensibile ed ineccepibile” (per come si legge nella Sentenza di Primo Grado), della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, accusata di concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato.
Oggi, la Corte di Appello di Reggio Calabria (Russo, Presidente, Pastore e Blatti, consiglieri) ha confermato l’assoluzione piena nei confronti dell’assistente giudiziario già dichiarata dal Tribunale Penale di Reggio Calabria, dott. Barbara Bennato.
L’impiegata presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, Amelia Catanzariti, era stata accusata, nel gennaio 2004, di aver concorso con Antonino Chilà, titolare della ditta Enea, nella truffa da questi perpetrata ai danni del Ministero della Giustizia.
In buona sostanza, il Chilà, che svolgeva attività di consulenza per il servizio di intercettazioni presso la locale Procura con la sua ditta di noleggio apparecchiature per le intercettazioni, aveva, secondo l’accusa, gonfiato numerose fatture, poi liquidate dai Pubblici Ministeri reggini, lucrando circa 2 milioni di euro.
Subito dopo la scoperta della truffa, le indagini condotte dall’allora Procuratore Aggiunto, oggi Avvocato Generale dello Stato, Francesco Scuderi, avevano individuato quale unica responsabile in concorso con il Chilà in seno alla locale Procura, l’addetta all’ufficio liquidazioni, Amelia Catanzariti.
Durante le indagini, l’impiegata, difesa dall’avv. Gianpaolo Catanzariti, era stata citata anche innanzi alla Corte dei Conti di Catanzaro per il risarcimento in favore dello Stato per 1 milione ed 800mila euro. La Corte dei Conti, con sentenza resa nel 2008, assolveva la sig.ra Catanzariti da ogni addebito statuendo, in suo favore, il rimborso delle spese legali a carico dello Stato.
In sede penale, dopo un lungo e complesso dibattimento nel quale sono stati escussi numerosi funzionari, dirigenti e Pubblici Ministeri della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, il Tribunale reggino, evidenziando la totale estraneità della Catanzariti, la assolveva, in maniera piena, da ogni reato contestatole, condannando, invece, il Chilà ad anni 7 di reclusione ed euro 1.500 di multa oltre al risarcimento dei danni in favore del Ministero della Giustizia.
Avverso la sentenza di condanna aveva proposto appello il Chilà, mentre la Procura della Repubblica presso il Tribunale aveva proposto appello avverso uno dei due capi di assoluzione nei confronti della Catanzariti.
In sede di appello, il P.G., dott. Ezio Arcadi, evidenziando le rilevanti lacune dell’appello proposto dalla Procura e la assoluta estraneità della Catanzariti, ha chiesto il rigetto dell’appello di Procura e la conferma dell’assoluzione nei confronti della impiegata nonché la conferma della condanna nei confronti del Chilà.
La Corte, ritiratasi in camera di consiglio dopo le discussioni dei difensori avv. Enrico Boldi, per Antonino Chilà, e Gianpaolo Catanzariti, per Amelia Catanzariti, ha emesso una sentenza che ha confermato l’assoluzione dell’impiegata e la rideterminazione della pena del Chilà ad anni sei e mesi sei di reclusione.
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