Strage di Alcamo: le intercettazioni potrebbero portare alla revisione della condanna per Gulotta

Reggio Calabria. È proseguito ieri mattina presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria il processo di revisione per la strage della casermetta di Alcamo, in provincia di Trapani; strage in cui vennero uccisi il 27 gennaio del 1976 i Carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Il processo vede imputato Giuseppe Gulotta, difeso dagli avvocati Baldessarre Lauria e Pardo Cellini. Gulotta è stato condannato dalla Corte di Assise di Appello di Catania nel 1989 alla pena dell’ergastolo perché ritenuto colpevole del duplice omicidio dei carabinieri e da due anni è in regime di semilibertà. Ieri mattina dinnanzi alla prima sezione penale della Corte d’Appello, Natina Pratticò Presidente, sono stati ascoltatati come testimoni i due fratelli Michele e Rossana Provenzano, figli di Giovanni Provenzano, carabiniere che all’epoca si occupò delle indagini relative alla strage di Alcamo insieme a Elio Di Bona, Giuseppe Scibilia, Fiorino Pignatella e il brigadiere Olino. Giovanni Provenzano, ormai ultra settantenne, nel 2008 fu chiamato dai giudici della Procura di Trapani a chiarire la propria posizione poiché uno dei componenti del “gruppo”, ossia Olino, aveva dichiarato che i giovani arrestati per la strage, quindi fra questi Gulotta, furono seviziati e che le loro confessioni furono estorte con violenza. Chiamati a rispondere davanti al pm, nonostante la conclamata prescrizione dei reati, i Carabinieri in pensione si avvalsero della facoltà di non rispondere. I figli di Provenzano sono stati chiamati oggi a testimoniare in quanto ritenuti utili alla ricostruzione dei fatti del processo. Sia Michele che Rossana Provenzano hanno affermato di non conoscere alcun particolare relativo alla strage di Alcamo, tutte le loro conoscenze- hanno dichiarato in udienza- provengono esclusivamente dagli articoli di giornale e dalle trasmissioni televisive; il padre Giovanni non gli avrebbe mai detto nulla sulle indagini da lui condotte. Sia il sostituto procuratore generale, Ezio Arcadi, che gli avvocati difensori di Gulotta hanno chiesto ai due fratelli Provenzano se fossero a conoscenza di uno specifico particolare. All’epoca del processo della strage, gli arrestati, fra cui Gulotta, hanno raccontato ai magistrati, negli anni del processo, che si erano autoaccusati del duplice omicidio poiché seviziati proprio da quei Carabinieri che condussero le indagini; e gli stessi carabinieri, per far risultare come non veri i racconti sulle torture, avrebbero cambiato l’arredamento delle stanze di una caserma dove gli arrestati furono sottoposti agli interrogatori con lo scopo di far risultare non veritiero quanto descritto dagli imputati, che sostenevano la loro non colpevolezza. Sia la difesa, che il sostituto procuratore generale, hanno chiesto ai due fratelli Provenzano se fossero a conoscenza di questo presunto “escamotage” usato anche dal loro padre. Rossana e Michele Provenzano hanno detto di non sapere nulla a riguardo. La loro posizione, però si potrebbe aggravare poiché ci sarebbero delle intercettazioni telefoniche che dimostrerebbero la loro conoscenza su quanto fatto dal padre e dagli altri carabinieri. Per tale motivo potrebbero essere accusati del reato di falsa testimonianza, ma di questo se ne occuperà la procura della Repubblica di Trapani; la seconda sezione della Corte d’Appello reggina si limiterà a trasferire questi atti alla procura di competenza. Nel frattempo i giudici della Seconda sezione hanno deciso comunque di acquisire il contenuto di queste intercettazioni telefoniche. La prossima udienza è fissata per il 4 febbraio. Il processo di revisione potrebbe essere arricchito anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara. Il pentito ha recentemente riferito del ruolo della mafia in questa strage in cui furono uccisi senza pietà, l’appuntato Salvatore Falcetta e il carabiniere Carmine Apuzzo.

La strage di Alcamo

È un giallo la strage di Alcamo. Da allora sono trascorsi 35 anni e nel 2008 il caso è stato riaperto. Era il gennaio del 1976 quando furono uccisi due carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, mentre dormivano nella caserma che si trovava ad Alcamo, in provincia di Trapani. Per il duplice omicidio furono arrestati Giuseppe Vesco, Giovanni Mandalà, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Gli inquirenti risalirono a queste 4 persone poiché nel febbraio del 1976, Giuseppe Vesco fu fermato da un posto di blocco e all’interno della sua auto fu rinvenuta una pistola. Durante una perquisizione, avvenuta presso la sua abitazione, venne trovata dai Carabinieri un’altra pistola; quest’ultima arma risultò essere una delle pistole appartenenti ai carabinieri uccisi. Questo elemento, insieme ad altri raccolti, fece accusare Vesco dell’omicidio di Apuzzo e Falcetta, di contro Vesco si dichiarò innocente e sostenne che era in possesso di queste pistole perché doveva consegnarle a qualcuno. Tale dichiarazione fu, poco tempo dopo, smentita dallo stesso Vesco che tirò in ballo anche altre persone fra cui Giovanni Mandalà. Presso una stalla di proprietà di quest’ultimo, furono rinvenuti dai carabinieri le armi e le divise e altri oggetti appartenenti ai due militari uccisi. Vesco disse che aveva compiuto la strage insieme a Mandalà, Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Secondo quanto accertato dagli investigatori, Giovanni Mandalà avrebbe forzato la porta della caserma di Alcamo servendosi di una fiamma ossidrica. Gulotta e Santangelo, invece, avrebbero sparato contro i due militari, Ferrantelli avrebbe rubato le armi, divise e oggetti personali dei carabinieri morti. Tutti vennero arrestati nella notte a cavallo fra il 12 e il 13 febbraio del 1976 e durante gli interrogatori, tutti , tranne Mandalà, ammisero la propria partecipazione all’eccidio. Ma il pomeriggio del 13 febbraio del 1976,alla presenza del magistrato di Trapani e dei loro difensori, presso la casa circondariale di Trapani, Vesco, Ferrantelli, Santangelo e Gulotta, ritrattarono le rispettive confessioni denunciando di essere stati torturati dai Carabinieri per indurli ad ammettere il proprio ruolo nella strage. A Santangelo e Ferrantelli, che all’epoca della strage erano minorenni, venne inflitta una pena di 20 anni di reclusione, Mandalà e Gulotta furono condannati all’ergastolo. La sentenza di merito ritenne inattendibile la ritrattazione degli imputati ed al contrario attendibili le dichiarazioni confessorie, che proprio perché si intrecciavano tra esse, risultavano conducenti. Mentre era in corso il processo Giuseppe Vesco si impiccò nella casa circondariale di San Giuliano; un’impiccagione non del tutto chiara perché Vesco non aveva un arto e quindi risulta difficile che sia riuscito ad arrampicarsi da solo alla grata, dove poi avrebbe legato la corda con cui si uccise. La vicenda del suicidio di Vesco quindi non è del tutto spiegata anche perché ci sono a tal proposito le dichiarazioni di un pentito, Vincenzo Calcara che ha raccontato che il giovane venne ucciso in carcere. Ferrantelli e Santangelo, successivamente in stato di semilibertà, sono espatriati in Brasile, Mandalà morì in carcere in seguito ad una brutta malattia. Dopo 32 anni, nel 2008, il caso è stato riaperto in seguito alle dichiarazioni dell’ex brigadiere dell’arma, Renato Olino, il quale dichiarò che i giovani furono torturati. Renato Olino ha detto che era ad Alcamo per investigare sull’uccisione dei due militari e ha detto di aver visto che a Giuseppe Vesco gli fecero bere acqua e sale e lo seviziarono. Renato Olino ha affermato che quei cinque ragazzi arrestati non c’entravano nulla con la strage e le loro confessioni furono estorte con le torture. A dimostrazione del fatto che si tratti di una vicenda ancora insoluta, c’è l’avvio di un nuovo processo di revisione che si sta celebrando presso la Corte d’appello di Reggio Calabria, a carico di Giuseppe Gulotta, che ha già scontato ventidue anni di carcere e che da tre è in semilibertà. Gulotta si è sempre professato innocente, così come gli altri condannati per quel duplice omicidio.

Angela Panzera
Maria Giordano

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