Omicidio Salvatore Cordì. Antonio Cataldo condannato a 30 anni in Appello

Reggio Calabria. Anche per la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, Amodeo presidente e Greco consigliere, Antonio Cataldo, soprannominato “Papuzzedda” è il mandante dell’omicidio di Salvatore Cordì, detto “U cinisi”, avvenuto a Siderno il 31 maggio del 2005, e per questo è stato condannato alla pena di 30 anni di carcere più al pagamento delle ulteriori spese processuali. Regge quindi l’impianto accusatorio del sostituto procuratore generale Ezio Arcadi, che aveva richiesto la conferma della condanna inflitta in primo grado nel 2009 dal gup Tommasina Cutroneo. Il delitto di Salvatore Cordì si inquadra nella faida che vedeva contrapposte, fin dalla fine degli anni Sessanta, le due famiglie mafiose dei Cataldo e dei Cordì. L’omicidio del “Cinisi”, considerato un elemento di primo piano dell’omonima cosca locrese, sarebbe stata la “risposta” all’agguato in cui perse la vita Giuseppe Cataldo, classe 1969, cugino di Antonio Cataldo, ucciso il 15 febbraio del 2005 dinnanzi alla propria abitazione. Sangue lavato con altro sangue, dolore con altro dolore, disonore con altro disonore in una perfetta logica sociale-mafiosa.
Le indagini relative all’omicidio Cordì furono compiute dagli agenti della Squadra Mobile di Reggio Calabria e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina. Il gip presso il Tribunale di Reggio Calabria ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonio Cataldo il 18 dicembre del 2008; ordinanza che gli è stata notificata in carcere in quanto l’uomo si trovava detenuto, per altri fatti, presso la casa circondariale di Ascoli Piceno. Per l’omicidio di Salvatore Cordì non fu coinvolto solo Antonio Cataldo. Alla sbarra finì anche Domenico Zucco, assolto dall’accusa di segnalatore del commando omicida lo scorso novembre dalla Corte d’Assise di Locri, e attualmente ci sono Antonio Panetta, cognato di Zucco, che risponde anche dell’organizzazione del delitto nel secondo processo di Locri che vede coimputati Michele Curciarello e Antonio Martino come i presunti esecutori materiali del delitto Cordì.
Sia in primo grado che durante il processo d’Appello, oltre agli elementi di prova raccolti dagli inquirenti, sono state pesanti, come macigni, le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, che sono state attentamente riscontrate, tra queste quelle di Domenico Novella il quale nel luglio scorso ha affermato che durante il lutto che si è tenuto a casa della vittima prima dei funerali, Novella avrebbe udito da due persone ossia Guido Brusaferri e Salvatore Dieni, che Antonio Cataldo, avrebbe chiesto – con il tramite di Antonio e Salvatore Panetta – il consenso alla famiglia Curciarello affinché l’omicidio si compisse a Siderno. Novella ha affermato inoltre che pur non essendo mai stato battezzato “’ndranghetista” ha preso parte alla cosca Cordì di Locri, conoscendone quindi identità, scopi e strutture. Altro pentito ad aver fornito dettagli sull’omicidio è stato Domenico Oppedisano, fratellastro proprio di Salvatore Cordì. Oppedisano ha riferito che recentemente alcuni esponenti della cosca Cordì lo avevano “invitato” a testimoniare il falso nel processo a carico di Curciarello e Martino, il tutto per favorire la pax mafiosa che sarebbe stata sottoscritta dai Cataldo e i Cordì dopo oltre 40 anni di faida.

Angela Panzera

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