di Sabrina Quattrone
Edoardo Morabito, classe ‘62, perito elettronico e informatico attualmente professore di sistemi automatici presso l’Istituto I.T.I.S. “A. Panella”, nel recente passato è stato collaboratore scientifico presso il Laboratorio di Test non Distruttivi e, successivamente, ha ricoperto il ruolo di responsabile tecnico del laboratorio polifunzionale di elettronica della Facoltà di Ingegneria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, occupandosi, tra l’altro, dell’implementazione hardware di reti neurali. Abbiamo incontrato Morabito per avere un punto di vista in controtendenza con la teoria della “fuga dei cervelli”, un’esperienza che dimostri l’esistenza di punte d’eccellenza anche in settori ad alto contenuto innovativo sul territorio locale.
«In effetti ci si lamenta sempre del fatto che le nostre menti migliori siano costrette ad andare altrove per potersi realizzare professionalmente. Il nostro progetto invece è nato accompagnato dall’ambizione di continuare a operare qui, con tutte le difficoltà che questo, per forza di cose, può comportare» esordisce Morabito.
In cosa consiste esattamente il suo progetto?
«Il progetto in sé nasce durante gli anni trascorsi presso la Facoltà di Ingegneria, in particolare nel 2003, a seguito della partecipazione a un progetto con il Parco Scientifico Tecnologico della Calabria, il quale prevedeva la costituzione, al termine dei lavori, di una società di spin-off accademico. Così è stato, ed è nata la società “Neuratek”. Lo spin-off è una modalità di nascita di nuove imprese attraverso risorse umane messe a disposizione da un’ente, nel nostro caso l’Università, al fine di realizzare, nel corso del tempo, una sorta di conversione del progetto di ricerca in un progetto imprenditoriale, attraverso l’investimento di diversi soggetti. Tale investimento, nel nostro caso specifico proviene dall’Università Mediterranea, e da altri sette soci (compreso Morabito, ndr): quattro sono ricercatori universitari della facoltà di Ingegneria di Reggio Calabria e operano nell’ambito delle reti neurali e dell’elettromagnetismo; si tratta di Matteo Cacciola, Filippo Laganà, Diego Pellicanò, Giuseppe Megali; un altro socio è il prof. Mario Versaci, che insegna Elettrotecnica all’Università; Ruggero De Medici, si occupa invece della parte amministrativa, mentre io curo l’organizzazione della produzione e l’implementazione hardware”.
Di cosa si occupa la Neuratek?
«La Neuratek è impegnata nella realizzazione di progetti su due principali tipologie di piattaforme: una hardware per la rilevazione di dati relativi alle applicazioni richieste e la conseguente elaborazione software al pc; una seconda, sempre hardware, per la rilevazione di dati relativi alle applicazioni richieste e la conseguente elaborazione su hardware dedicato».
Potrebbe farci qualche esempio così da comprendere meglio?
«In linea di massima ci occupiamo della realizzazione di sistemi neural based, in grado di supportare applicazioni in cui è necessaria la predizione, la discriminazione e il monitoraggio di eventi. Lavoriamo soprattutto in campo civile, ad esempio studiando e riuscendo a prevenire eventi franosi, oppure in campo ambientale attraverso la previsione dell’inquinamento ambientale. Tuttavia i settori che ci inorgogliscono maggiormente sono l’aeronautico e il ferroviario, in cui partecipiamo alla realizzazione di aerei e treni attraverso la classificazione dei difetti».
Quindi quali sono i vostri clienti di riferimento?
«Le principali commesse provengono dalle pubbliche amministrazioni, con riferimento al settore civile e ambientale, mentre per quanto riguarda il settore aeronautico e ferroviario, abbiamo stretto delle collaborazioni con diverse imprese a livello nazionale naturalmente: Alenia e Ansaldo Breda tra tutte. E’ chiaro però che per arrivare a questo punto, in questi anni abbiamo faticato tanto, le difficoltà sono state notevoli e ve ne sono tutt’ora».
Quali sono le difficoltà principali che avete incontrato sino a oggi?
«Gli impedimenti maggiori hanno riguardato la costituzione vera e propria dello spin-off, dato che nel 2003 l’Ateneo non aveva ancora una regolamentazione ad hoc, peraltro obbligatoria; questo ha comportato un ritardo nel riconoscimento giuridico della società, quindi l’impossibilità di lavorare e di utilizzare il know how sviluppato in quegli anni in ambito universitario. Questo problema ha delle ripercussioni tutt’oggi: mentre noi eravamo fermi, infatti, la ricerca e le scoperte nel nostro campo andavano avanti, determinando un unico risultato, il nostro know how attuale risulta in parte già vecchio e per questo necessita di un ulteriore lavoro di aggiornamento e riposizionamento di mercato, come se fosse una corsa contro il tempo. Sono comunque convinto del fatto che ce la faremo anche questa volta. La costituzione vera a propria dello spin-off presuppone inoltre la partecipazione dell’ente universitario nella società, il quale detiene la sua quota parte di capitale; questo determina ulteriori rallentamenti di carattere burocratico nella partecipazione a progetti e bandi, nonché una mancanza di piena autonomia nell’uso dei fondi destinati ai vari progetti».
Guardando al futuro, quali sono le aspettative per i prossimi anni?
«Dopo un periodo di attesa di ben sette anni per il riconoscimento formale della società, la speranza principale è da un lato quella di riuscire a consolidare la partnership già attivata con le aziende aeronautiche e ferroviarie di cui dicevo prima, dall’altro, penetrare un mercato così ostile come il nostro – in un certo senso non ancora pronto, perché troppo arretrato – e far accogliere attività così innovative, a elevato contenuto tecnologico; se ben compresa, la nostra attività potrebbe determinare una ricaduta più che positiva sul territorio, non dimentichiamo infatti che operando nei settori ambientale e civile, potremmo rendere diversi servizi di pubblica utilità ai cittadini, basti pensare alla prevenzione degli eventi franosi in un territorio così a rischio come il nostro; in più, un’adeguata informazione sull’attività che svolgiamo potrebbe permetterci di rilanciare l’immagine del nostro territorio a livello nazionale, sfatando un po’ tutto ciò che viene detto di noi. Ancora, un’ulteriore speranza riguarda direttamente l’Università, con l’auspicio di una sua rapida sensibilizzazione circa il ruolo sociale che è chiamata a svolgere, sia da un punto di vista formativo che in termini di professione».