Reggio Calabria. Ha spiattellato tutto, mandanti, accusando se stesso e suo fratello Luciano, ed esecutori materiali. Nei minimi dettagli, tranne sul movente. Perché la cosca Lo Giudice avrebbe piazzato le bombe alla Procura Generale prima, sotto casa del procuratore generale Salvatore Di Landro, poi, e un lanciarazzi infine davanti al Cedir, sede della Procura della Repubblica? Su questo il collaboratore si è limitato a dire che i rapporti pregressi con almeno due magistrati inducevano lui e suo fratello Luciano a pretendere “riconoscenza” così forte da richiedere un intervento in relazione all’arresto di Luciano Lo Giudice. Le dichiarazioni però su chi fossero questi soggetti istituzionali, e in particolare magistrati, appaiono, scrive il gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, “generiche e non individualizzanti”. Un dato questo, che però secondo il gip non inficia la credibilità di Lo Giudice in merito alle altre dichiarazioni sugli attentati.Il movente, insomma, non è ancora del tutto chiarito. Anche uno storico collaboratore di Giustizia di mafia, Tommaso Buscetta, si rifiutò di confidare al giudice Giovanni Falcone quanto sapeva sull’ultimo livello, quello delle connivenze della mafia con politica e magistratura. Si tratta di capire ora se Lo Giudice tace perché si parla di cose che egli non sa, in quanto tali rapporti sarebbero stati intrattenuti dal fratello Luciano, o se invece ha scelto la via del pentitismo alla Buscetta.
Fabio Papalia